SPAGNA: NEOCOLONIA DI UN’EUROPA TEDESCA di Manolo Monereo
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[ 14 maggio ]
Manolo Monereo, membro della direzione di Izquierda Unida, sarà uno dei protagonisti spagnoli del prossimo Forum di Atene.
Qui la foto della drammatica situazione in cui si trova la Spagna ed i suoi popoli.
IL PROGRAMMA DEL FORUM E LE INFORMAZIONI PER PARTECIPARE
Il dibattito proibito. Moneta, Europa e povertà era il titolo di un libro pubblicato nel 1995 da Jean-Paul Fitoussi, nel quale —è stato uno dei pochi— mise in guardia contro i pericoli che l’Unione europea rappresentava per i diritti sociali, per le nostre concrete libertà e, in particolare, per la nostra martoriata democrazia. Rimane in Spagna un dibattito vietato.
Basta osservare la campagna elettorale [In Spagna si vota il 24 maggio per il rinnovo dei parlamenti regionali e dei consigli comunali, Ndr] per capire che nessuno vuole entrare nel merito di una UE che è diventata una potente macchina per l’esproprio di beni, i diritti e le libertà dei cittadini europei, in particolare i popoli del Sud.
Stupisce la solitudine della Grecia, che non ci sia un’effettiva solidarietà delle forze progressiste che si riempiono la bocca con parole per cui non esistono soluzioni nazionali alla crisi, che sono necessarie maggiori convergenze e che abbiamo bisogno di più Europa. Mentre, ancora una volta, la Grecia è solo contro tutti gli altri governi della zona euro. Dove è andato a finire l’internazionalismo della cosiddetta sinistra europea?
Il paradosso più sorprendente è che più di sette anni di crisi e di risultante integrazione, danno forza ai ragionamenti di quelli come noi che erano contro l’Unione europea in generale e l’euro in particolare. Non eravamo molti, è vero, ma avevamo visto giusto nel considerare la critica alla costruzione europea come un elemento centrale della critica del capitalismo neoliberista; entrambi, l’integrazione europea e il neoliberismo, fanno parte dello stesso processo che può essere descritto come una regressione di civiltà.
Ci sono tre questioni che sono intimamente legati e dalla cui soluzione dipenderà il futuro del nostro paese e soprattutto delle giovani generazioni che cercano un futuro di dignità, giustizia e libertà. Questi tre temi formano un nodo che deve essere tagliato e mandato in pezzi: a) Spagna, periferia sud dell’Unione europea; b) il modello di produzione disegnato dalle politiche di austerità c) la crisi del regime del ‘78. Come è stato detto, è una cosa sola con tre nodi che si intersecano e si relazionano a vicenda.
Che cosa significa essere parte della periferia dell’UE? Eduardo Galeano ha detto che la divisione del lavoro è un meccanismo in cui alcuni si specializzano nel guadagnare e gli altri si specializzano nel perdere. Nell’Unione europea, la zona euro, è stata l’organizzazione di una divisione del lavoro intorno ad un centro forte e sempre più potente ed una periferia sempre più subordinata e dipendente i cui modelli di produzione si sono andati strutturando secondo le necessità, gli obiettivi e le strategie dei paesi dell’Europa centrale.
Agosto 2014: Monereo (a destra) al Forum di Assisi |
Gli anni della crisi non hanno fatto altro per radicalizzare questo sistema di potere e la Spagna, come gli altri paesi del Sud, si è specializzata nei rifiuti. E’ patetico che si parli oggi di rilanciare i diritti sociali, del lavoro e sindacali, cioè di realizzare politiche sociali ed economiche democratiche come se l’Unione europea non esistesse. Noi abbiamo rimarcato più e più volte che, come forze nazional-popolari, abbiamo oggi la possibilità di costruire un ampio blocco politico e sociale in difesa dei diritti umani fondamentali e delle libertà fondamentali, vale a dire, un programma di ricostruzione nazionale economico e sociale anti-neoliberista. L’altro aspetto, quello che soffre la Grecia di Syriza, è che i limiti per le riforme, anche molto moderate, sono enormi. Per dirla in altro modo, l’Unione europea è una struttura funzionale alla globalizzazione neoliberista dominante e non ammette politiche alternative, anche minimali.
Le persone serie lo sapevano e hanno detto. L’introduzione dell’euro, senza una politica economica comune, una casa comune ed una legislazione sciale e del lavoro comune, vale a dire una moneta senza Stato dietro e con economia estremamente eterogenee, avrebbe determinato l’approfondimento degli squilibri già esistenti: un centro sempre più forte e potente e una periferia, il Sud, sempre più dipendente economicamente, più subalterno politicamente più lavoro subalterno quindi la regressione sociale.
La storia ci viene narrata è peggio di una menzogna. Si tratta puramente e semplicemente di bloccare il futuro del nostro paese per condurci verso il sottosviluppo economico, sociale e politico. Se non ci sono serie politiche redistributive nella UE, e in particolare nella zona euro, siamo condannati ad una “svalutazione interna” permanente liquidando quel poco che rimane di uno stato sociale già debole. Avremo, come sempre, che si agirà sulla variabile salariale per guadagnare competitività riducendo i diritti sociali, i diritti del lavoro e precarizzando sistematicamente la forza lavoro.
Qualcuno può immaginare che lo stato tedesco spenda l’8 o il 10 per cento del suo PIL per aiutare i paesi del Sud? Qualcuno riesce a immaginare che il resto dei paesi ricchi faccia lo stesso? Di quale federalismo parliamo se non c’è redistribuzione territoriale, sociale ed economica del reddito e della ricchezza in questa sempre più disuguale e ingiusta Unione europea? Quale solidarietà? Quale modello sociale? Il federalismo è la copertura che legittima non solo le politiche neoliberiste, ma, paradosso dei paradossi, impedisce l’Europa politica. Friedrich Hayek questo ha difeso, e nient’altro.
Il modello economico che emerge dopo la crisi politica è sempre più chiaro: un’industria debole, dipendente e scarsamente integrata nell’economia produttiva nazionale; un settore dei servizi ipertrofico, basato su un turismo di massa a basso costo e, nuovamente, il mattone come meccanismo del futuro, a cui si aggiunge un’agricoltura senza spinta e in molti modi bloccata. La questione è semplice, un simile modello economico non genera la piena occupazione con diritti, fa della precarietà la forma predominante di gestione del lavoro e consolida rapporti di lavoro servili.
Il nostro sistema produttivo è, soprattutto, un sistema di potere; entrambi sono strettamente correlati. Non è un caso che la crisi economica abbia enormemente eroso il “regime del ‘78”. Poteri economici, l’alleanza tra l’oligarchia spagnola ed i grandi poteri economici europei, decisero che i diritti e le libertà sanciti dalla Costituzione del 1978 oggi non servono al capitalismo selvaggio e predatorio che sta emergendo e dalla crisi. La “Costituzione materiale” è stata cambiata coi diktat e le direttive europee e Zapatero alla trasformò anche la costituzione formale modificando l’articolo 135.
Il processo costituente, per meglio dire, destituente, iniziò molto tempo fa con una piccola e singolare variante: al di fuori e contro il popolo sovrano. Essere periferia di un’Europa tedesca significa più disuguaglianza, perdita concreta dei poteri libertà e reali, in ultima analisi, la cittadinanza condannata all’insicurezza economica, alla vulnerabilità sociale, a semplice merce in un mondo crudele, senza cuore e senz’anima. Non c’è da girarci attorno. Ad un modello economico così configurato corrisponde una democrazia sempre più limitata e oligarchica e una classe politica per la quale la corruzione diventa il modo normale di gestione della cosa pubblica.
Alla fine il nodo si stringe e rafforza sempre più. Il tipo di Unione europea che il governo tedesco garantisce, rappresenta un’alleanza duratura tra le élite economiche e politiche, tra le oligarchie in guerra di classe contro le loro popolazioni. Le élite economiche e finanziarie che governano oggi nel nostro Paese, tra cui la borghesia basca e catalana, sono d’accordo con questo modello di società, con questo sistema economico e con la conseguente struttura di potere. Sono i nemici della Spagna e solo affrontandoli sistematicamente saremo in grado di vincere. O loro o noi.
Quando ci renderemo conto che i nostri popoli hanno un nemico comune e che solo insieme possiamo sconfiggerlo?
* Fonte: cuarto poder
** Traduzione a cura della Redazione