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MEGLIO FARE DEFAULT CHE RESTARE NELL’EURO (la prova provata) di Matt O’Brien

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[ 23 luglio]

Un articolo interessante che dimostra come l’euro sia un fardello non solo per i “Piigs” ma pure per paesi dell’eurozona considerati “core”. 
Il confronto, vedi tabella accanto) è proprio con l’islanda, e riconferma che il default sui debiti, a patto che il paese abbia sovranità monetaria, è condizione per il rilancio del ciclo economico. Precisazione: l’autore usa l’aggettivo “bancarotta” per indicare il default dell’Islanda. Errore: uno Stato sovrano non può mai andare in bancarotta, e non ci va nemmeno se viene dichiarato insolvente.

«Meglio andare in bancarotta che far parte dell’Eurozona. 
E’ quanto meno il caso della Finlandia e dell’Olanda le quali, a partire dal 2007, sono cresciute meno dell’Islanda. Questo paese era fallito, nel 2008. E’ decisamente il caso di ricordarlo. E’ vero che Finlandia ed Olanda hanno avuto la loro giusta razione di problemi economici, ma questi avrebbero dovuto essere del tutto gestibili. Nessuno dei due paesi è un caso disperato, ed entrambi hanno fatto quello che dovevano fare. Hanno seguito le regole … ed il risultato è stato una catastrofe.

Questo perché l’euro una catastrofe lo è già di per sé. O, se vogliamo essere educati, “la moneta comune è imperfetta, ed essendo imperfetta è fragile, vulnerabile e non dà tutti quei vantaggi che invece avrebbe potuto dare”. Quello fra virgolette è il verdetto emanato Giovedì scorso dal Governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi.

E allora, cos’è successo a questi due paesi?

Beh, senza scavare troppo in profondità, non è esagerato sostenere che è stata la Apple a mettere in ginocchio l’economia finlandese. I suoi prodotti più esportati sono i telefoni della Nokia e la carta [il legno e tutti i suoi tutti i derivati] ma, come ha sostenuto l’ex Primo Ministro di quel paese, Alex Stubb, l’i-Phone ha ucciso il suo predecessore [i telefoni portatili della Nokia], e sarà ucciso a sua volta dall’i-Pad. Ora, il modo normale per superare i problemi sarebbe quello di tagliare i costi attraverso la svalutazione della moneta, se non fosse che la Finlandia una moneta da svalutare non ce l’ha più. Ha l’euro. E così, per ridurre i costi, invece di svalutare la moneta ha dovuto tagliare i salari, provocando ulteriori danni economici perché, per convincere le persone ad accettare il taglio dei salariali, è necessario prima licenziare [il riferimento è alla riduzione dei consumi generato dai tagli salariali].

Il risultato? La recessione più lunga a memoria d’uomo, più lunga anche della grande depressione finlandese dei primi anni ‘90. Le regole dell’Eurozona, naturalmente, non hanno aiutato, costringendo il governo finlandese a tagliare, contemporaneamente alla crisi, il bilancio dello stato. Quella dell’Olanda è invece un’altra storia. I beni che produce sono più che competitivi all’estero – il suo surplus commerciale è di un assurdo 10% del Pil – ma la sua spesa domestica è un autentico problema [consumi delle famiglie].

L’Olanda è stata oggetto di un’enorme bolla immobiliare (alimentata, in parte, dalla totale deducibilità fiscale degli interessi) che si è sgonfiata, nel frattempo, di circa il 20%. Quel che resta alle famiglie olandesi è un livello d’indebitamento più grande rispetto a quello di qualsiasi altra famiglia dell’Eurozona. Oltre a questo, c’è stata la solita austerità ad ostacolare la ripresa, ammesso che una ripresa possa mai esserci.

La dimensione dell’economia olandese, in effetti, è un po’ più piccola, alla fine del 2014, di quanto lo fosse alla fine del 2007 [si è ridotta dello 0.3%]. L’economia olandese, quindi, pur in una situazione migliore rispetto a quella finlandese (la cui economia si è ridotta del 5.2%, nello stesso periodo), è comunque in ritardo rispetto a quella islandese, che è cresciuta del 1,1%.


Ora, è davvero difficile far peggio di quanto a suo tempo abbia fatto l’Islanda. Aveva trasformato la sua economia in una specie di hedge-fund, che nel 2008 è miseramente crollato. Le sue banche erano insolventi, il suo governo si è salvato grazie ad un intervento esterno [bail-out] e la sua moneta è crollata del 60%. Non solo. Tra il 2009 e il 2014 l’Islanda ha fatto quasi il doppio di austerità rispetto all’Olanda, e di ben 12 volte rispetto alla Finlandia. E, come se questo non bastasse, la geremiade [discorso lungo e lamentoso] economica dell’Islanda comprendeva anche un alto indebitamento delle famiglie e il controllo sui capitali, per impedire che le persone potessero spostare i soldi fuori dal paese. Ma, nonostante tutte queste misure, l’economia islandese è riuscita a sopravanzare sia quella finlandese che olandese. Com’è stato possibile? Ebbene sì, l’Islanda non ha l’euro. Ha una propria moneta, la corona. E, per quanto la gente d’Islanda avesse perso molto del suo potere d’acquisto sui beni importati, quando la corona si è svalutata del 60%, tutto questo ha aiutato l’economia islandese, rendendo i suoi prodotti più competitivi all’estero. Questo è stato sufficiente perché una brutta recessione non si trasformasse in una vera e propria depressione.

L’euro, invece, ha fatto il contrario.

I paesi membri non possono svalutare le loro monete, o tagliare i loro tassi d’interesse, o anche spendere un po’ di più, quando si trovano nei guai. E quindi restano in difficoltà. Tutto quello che possono fare è tagliare i salari e le spese. Il taglio dei salari, quindi, è da intendere più che altro come una specie di penitenza per qualsiasi trasgressione economica un paese possa aver commesso … oppure no [palese il riferimento a Finlandia e Olanda]

La camicia di forza dell’euro, in altre parole, trasforma i problemi comuni in problemi straordinari (Finlandia), e i problemi straordinari in problemi storici (Grecia). Questo è quello che può capitare, se non si seguono le regole. L’euro è un dio capriccioso, punisce sia i peccatori che i santi!.

* Fonte: The Washington Post del 17 luglio
** Come Don Chisciotte

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