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NON C’È SINISTRA NELLA GABBIA DELL’EURO di Stefano Fassina

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[ 17 luglio ] 


Si è svolto ieri a Roma, organizzato da “ideecontroluce” il seminario «Europa, sovranità democratica e interesse nazionale». [vedi foto] Presiedevano Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre. Tra i presenti, oltre ad alcuni esponenti del Pd e di Sel —essi non solo hanno difeso, con argomenti debolissimi, il micidiale operato di Tsipras ma insistito sulla necessità di restare nell’euro(unione)—, alcuni economisti e politici che in questi anni hanno svolto un’intensa battaglia di verità sull’euro e l’Unione europea: Sergio Cesaratto, Alberto Bagnai, Valdimiro Giacchè, Emiliano Brancaccio, Luciano Barra Caracciolo, Moreno Pasquinelli. 
Prima possibile pubblicheremo un resoconto di questo seminario, che ha mostrato, semmai ce ne fosse stato bisogno, la distanza incolmabile tra la sinistra eurista e quella anti-eurista. Ma le cose sono in movimento, aumentano a sinistra coloro i quali si stanno liberando dal dogma del “più Europa”.  
Questo intervento ricapitola bene le posizioni espresse ieri da Fassina, che riassumiamo in due punti: la sconfitta greca dimostra che è ineludibile la rottura con il regime dell’euro; non avrebbe senso fondare un nuovo partito a sinistra che non si liberi dell’illusione europeista e che non possieda un “piano B” per l’uscita.


«Sulla bru­ciante vicenda greca, par­tiamo dai con­te­nuti dello «Sta­te­ment» dell’Eurosummit del 12 luglio scorso, prima di fare valu­ta­zioni poli­ti­che. È impos­si­bile nascon­derne l’insostenibilità eco­no­mica e di finanza pub­blica. Le misure impo­ste sono bru­tal­mente reces­sive, oltre che regres­sive sul piano sociale, nono­stante gli aggiu­sta­menti con­qui­stati dalla dele­ga­zione greca a Bru­xel­les. Gli inter­venti di com­pen­sa­zione macroe­co­no­mica sostan­zial­mente ine­si­stenti. I finan­zia­menti pre­vi­sti per il sal­va­tag­gio sono dedi­cati alla rica­pi­ta­liz­za­zione delle ban­che e al paga­mento dei debiti verso Bce, Fmi e cre­di­tori privati.

Nulla va alla spesa in conto capi­tale. Men­tre la cre­di­bi­lità della Com­mis­sione euro­pea a aiu­tare il governo greco a mobi­li­tare in 3–5 anni fino a 35 miliardi di euro per inve­sti­menti va pesata in rela­zione all’incapacità di repe­rire le risorse minime per il Piano Jun­ker. Infine, la pro­messa di valu­tare la soste­ni­bi­lità del debito pub­blico apre una pro­spet­tiva comun­que priva di rica­dute reali fino al 2023, ter­mine del grace period con­cesso dagli Stati euro­pei sui rispet­tivi crediti.

Quali lezioni trarre dalla para­bola greca? Ale­xis Tsi­pras, Syriza e il popolo greco hanno il merito sto­rico, inne­ga­bile, di aver strap­pato il velo della reto­rica euro­pei­sta e della ogget­ti­vità tec­nica steso a coprire le dina­mi­che nell’eurozona. Ora si vede la poli­tica di potenza e il con­flitto sociale tra ari­sto­cra­zia finan­zia­ria e classi medie: la Ger­ma­nia, inca­pace di ege­mo­nia, domina l’eurozona e porta avanti un ordine eco­no­mico fun­zio­nale al suo inte­resse nazio­nale e agli inte­ressi della grande finanza.

In tale con­te­sto, i punti da affron­tare sono due. Il primo: il mer­can­ti­li­smo libe­ri­sta det­tato e imper­niato su Ber­lino è inso­ste­ni­bile. La sva­lu­ta­zione del lavoro, in alter­na­tiva alla sva­lu­ta­zione della moneta nazio­nale, come unica strada per aggiu­sta­menti “reali” deter­mina cro­nica insuf­fi­cienza di domanda aggre­gata, ele­vata e per­si­stente disoc­cu­pa­zione, defla­zione e rigon­fia­mento dei debiti pub­blici. In tale qua­dro, l’euro esige, oltre i con­fini dello Stato-nazione domi­nante, lo svuo­ta­mento della demo­cra­zia e la poli­tica come ammi­ni­stra­zione per conto terzi e intrattenimento.

Tale qua­dro è rever­si­bile? Ecco il secondo punto. È dif­fi­cile rispon­dere sì. Pur­troppo, le neces­sa­rie cor­re­zioni di rotta per ren­dere soste­ni­bile l’euro appa­iono impra­ti­ca­bili per ragioni cul­tu­rali, sto­ri­che e poli­ti­che. Le opi­nioni pub­bli­che nazio­nali hanno posi­zioni con­trap­po­ste, allon­ta­nate ancor di più dall’agenda impo­sta dopo il 2008. Le posi­zioni pre­va­lenti nel popolo tede­sco sono un fatto. In Ger­ma­nia, come ovun­que, i prin­cipi demo­cra­tici rile­vano nell’unica dimen­sione poli­tica rile­vante: lo Stato nazione.
Dai primi due punti di ana­lisi deriva una agra verità: nella gab­bia libe­ri­sta dell’euro, la sini­stra, intesa come forza impe­gnata per la dignità e la sog­get­ti­vità poli­tica del lavoro e per la cit­ta­di­nanza sociale come vei­colo di demo­cra­zia effet­tiva, perde senso e fun­zione sto­rica. È morta. La mar­gi­na­lità o la con­ni­venza dei par­titi della fami­glia socia­li­sta euro­pea sono mani­fe­ste. Con­ti­nuare a invo­care gli «Stati Uniti d’Europa» o la «riscrit­tura pro-labour» dei Trat­tati è un eser­ci­zio astratto, vet­tore di auto­re­fe­ren­zia­lità e di allon­ta­na­mento dal popolo.

Che fare? Siamo a un bivio sto­rico. Da una parte, la strada della con­ti­nuità vin­co­lata all’euro, ossia della ras­se­gna­zione alla fine delle demo­cra­zia delle classi medie oppure dell’illusione di «svol­te­buone»: un equi­li­brio pre­ca­rio di sot­tooc­cu­pa­zione e di rab­bia sociale, minac­ciato da rischi ele­va­tis­simi di rot­tura. Dall’altra, il supe­ra­mento con­cor­dato, senza atti uni­la­te­rali, della moneta unica e del con­nesso assetto isti­tu­zio­nale, innan­zi­tutto per il recu­pero dell’accountability demo­cra­tica della poli­tica mone­ta­ria: un per­corso imper­vio, incerto, dalle con­se­guenze dolo­rose almeno nel periodo iniziale.

La scelta è dram­ma­tica. Fare l’euro è stato un errore di pro­spet­tiva poli­tica. Siamo stati inge­nui o, peg­gio, incon­sa­pe­voli degli effetti di mar­gi­na­liz­za­zione della poli­tica impli­cati nei Trat­tati. Oggi la strada della con­ti­nuità è opzione espli­cita dei Par­titi della Nazione o delle grandi coa­li­zioni a guida con­ser­va­trice. È anche per­corsa invo­lon­ta­ria­mente e con­trad­dit­to­ria­mente da chi in Ita­lia si mobi­lita con­tro il Jobs Act ma giu­sti­fica, in nome del «no Gre­xit», l’attuazione dell’Agenda Monti in ver­sione esi­ziale a Atene. La strada della discon­ti­nuità può essere l’unica per ten­tare di costruire una forza poli­tica in grado di ria­ni­mare la Costi­tu­zione della «Repub­blica demo­cra­tica, fon­data sul lavoro». La scon­fitta subita dal Governo Tsi­pras, e da noi a suo soste­gno, dovrebbe can­cel­lare l’illusione dell’inversione di rotta lungo la strada della con­ti­nuità. Il tenace attac­ca­mento all’illusione dovrebbe almeno scon­si­gliare avven­ture poli­ti­che oltre il Pd».


* Fonte: il manifesto del 17 luglio

Un pensiero su “NON C’È SINISTRA NELLA GABBIA DELL’EURO di Stefano Fassina”

  1. Anonimo dice:

    Fassina vede giusto: la cosiddetta via della continuità con la visione socio-antropologico- politica inaugurata da Monti, è del tutto incompatibile con una concezione "di sinistra". Ed è cosa rigorosamente logica perché, come più volte ho ribadito (e del tutto inascoltato) la"sinistra" è stata messa al bando con la Fatwa" del 1988 (bellamente ignorata dai commentatori politici.) Quando la Sinistra fu dichiarata "antisionisTA, se ne pronunciò la condanna a morte inappellabile.Il "principale torto di Tsipras è la sua dichiarata appartenza ad una sinistra e non è da attribuire tanto alle sue soluzioni tecnico economiche quanto il rappresentare ancora ideali "di Sinistra" in Europa

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