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Alla fine, questa è la rassegnazione. Questa è la vera sconfitta di un intero popolo. di Luciano Barra Caracciolo

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[ 29 agosto ]

Le gerarchie contano

[Nella foto Luciano Barra Caracciolo al convegno ci Chianciano terme del gennaio 2014]

Ma non quelle formali, regolate dalle leggi (Hayek direbbe dalla “legislazione”, regolazione statale strettamente asservita alla Legge, naturale, fenomeno biologico – per lui- che riduce l’essere umano al “mercato”): quando le leggi stabiliscono una gerarchia, infatti, devono esplicitare, in qualche modo, per quale interesse generale, o quantomeno pubblico e collettivo, siano dettate.
Un compito estremamente fastidioso, specialmente in democrazia: e non tanto e non solo perchè poi occorre fare i conti con il consenso legato a questa scelta (se non prometto meno tasse per tutti-tutti, avrò inevitabilmente privilegiato qualcuno a scapito di altri), quanto perchè dalla scelta trapelano obiettivi e valori che vuole realizzare chi la compie. 

E questo, se valori e obiettivi possono essere comparati con quelli legalmente superiori, cioè quelli scritti una volta per tutte, nelle Costituzioni, risulta evidentemente pericoloso.

Almeno finchè esista un sistema costituzionale e la sua gerarchia delle fonti (che è l’unica gerarchia garantista dei valori costituzionali e che dunque limita le gerarchie fra gli uomini, stemperandole nell’obbigo di realizzare solo gli interessi del popolo sovrano).
Le gerarchie che contano veramente, quindi, sono quelle che stanno scritte dentro i cuori (rassegnati e intimoriti) degli uomini: più precisamente, quelle che riescono a imporsi in base al timore che suscita chi le stabilisce, senza dover ricorrere a regole formali, preferibilmente. O peggio ancora, aggiustando le regole secondo la propria convenienza nel conservare la propria posizione di potere.
Questa sì è una prospettiva terrificante, per i “sottoposti”, un elemento portatore di disperazione.

Insomma, sono il costume e l’ambiente culturale che favoriscono le gerarchie: quindi chi controlla costume e ambiente culturale è, in realtà, il vero vertice della gerarchia (che conta).
Una vera posizione di supremazia all’interno del rapporto gerarchico, implica connaturalmente la irresponsabilità del “superiore”: una irresponsabilità non tanto funzionale, perchè il singolo superiore, come individuo, in qualche modo sa che se le cose non funzionano, la colpa verrà attribuita, in un inevatabile processo sociale, a chi impartisce l’ordine.

L’irresponsabilità di cui parliamo è “di genere”: cioè, complessivamente, coloro che sono posti, come classe di individui, in posizione di comando gerarchico, sono considerati collettivamente fuori da un giudizio di merito, dal dover rendere conto.

 
Questo garantisce una forma di irresponsabilità che veramente, nei fatti della vita, rende esente da rimproveri di colpa ogni singolo “superiore”: i subordinati sanno infatti che se anche fosse individuato come colpevole un singolo esponente della classe dominante, un altro, esattamente con le stesse attitudini, prenderebbe il suo posto.

Quindi il timore su cui si basa la gerarchia, e che la rende effettivamente capace di ordinare, conformare, i sottoposti, è legato alla rassegnazione di chi si trova a subirla. Il senso dell’inevitabilità prevale; e da questa nasce l’indifferenza, l’idea che nulla possa mai veramente cambiare.
Come direbbe Funari-Guzzanti (“Onorevole Broda”) sapete perchè vi dico tutto questo? Perchè, dal caso Tsipras al “battiamo i pugni sul tavolo”, passando per “tagliamo le tasse tagliando la spesa pubblica”, tutto dimostra che la possibile alternanza di assetti di potere su cui si basa la democrazia costituzionale, è venuta meno.
A questo punto del discorso fatto su questo blog, questa parrebbe quasi, anzi “proprio”, un’ovvietà.
Ma il punto è un altro: il “costume” di accettazione come inevitabile di questo stato di cose è mutabile?

Di sicuro non lo è se non si vota. 
Di sicuro non lo è se chi è in posizione, di fatto, di supremazia gerarchica, riesce a far passare l’idea che votare sia segno di instabilità, piuttosto che di irresponsabilità di chi detiene il potere. 

Ma è ancora peggio se chi dovrebbe contestare le cose, e che chiede di svolgere le elezioni, per “cambiare le cose” su cui si basa la gerarchia irresponsabile attuale, in fondo persegue gli stessi obiettivi e le stesse convinzioni: tagliare la spesa pubblica per tagliare le tasse.

Cioè un “altro” esattamente con le stesse attitudini avrebbe preso il posto del precedente “superiore”.

Alla fine, questa è la rassegnazione. Questa è la vera sconfitta di un intero popolo.

* Fonte: Orizzonte 48

Un pensiero su “Alla fine, questa è la rassegnazione. Questa è la vera sconfitta di un intero popolo. di Luciano Barra Caracciolo”

  1. Ippolito Grimaldi dice:

    Che scoperta, è la differenza tra Politico ed amministratore, purtroppo ci hanno fatto credere che siano la stessa cosa.Se dobbiamo sceglierci un amministratore piû più onesto, più bello, ma in sostanza solo più bravo a portare a compimento sempre lo stesso compito contuiamo pure così, con gli amministratori. Se crediamo invece che bisogna cambiare modelli, obiettivi e quindi i compiti sarà il caso di darsi da fare con la Politica.

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