ECCOLA LA DIFFERENZA CON STEFANO FASSINA
Qui di seguito l’intervento che Stefano Fassina [nella foto] ha svolto all’incontro svoltosi ieri a Parigi (di cui davamo conto l’11 settembre) ed al quale hanno partecipato Oskar Lafontaine, Jean-Luc Mélenchon e Yanis Varoufakis.
«La bruciante vicenda greca ha un significato politico generale. La mia sensazione è che siamo qui oggi, a causa della capitolazione del governo greco nella drammatica notte dello scorso 12 luglio a Bruxelles. Quella notte, secondo la mia lettura degli eventi, ha segnato un punto di svolta. Si è trattato di una logica conseguenza: il taboo dell’irreversibilità dell’euro era stato apertamente violato. Il governo tedesco aveva messo sul tavolo la proposta di Grexit, leggermente ammorbidita dall’aggettivo “temporanea”. Non si è trattato solo di una manovra tattica, ma di un’opzione strategica per affrontare le profonde lacune e le contraddizioni della “costituzione” dell’Eurozona e dell’agenda politica: alcuni giorni dopo, la possibilità di abbandonare la moneta unica è stata presentata in un report del Comitato degli Esperti Economici, il più importante comitato consultivo del governo tedesco, come possibilità di risolvere le contraddizioni presenti nei Trattati: l’impossibilità di un taglio del debito.
Che lezione possiamo trarre dalla vicenda greca? Alexis Tsipras, Syriza e il popolo greco hanno l’innegabile merito storico di aver strappato il velo della retorica europeista e dell’obiettività tecnica finalizzata a mascherare le dinamiche in eurozona. Ora è possibile vedere la politica di potere ed il conflitto sociale tra l’aristocrazia finanziaria e le classi medie: la Germania, incapace di essere egemone, domina l’euro zona e persegue un ordine economico funzionale al proprio interesse nazionale e a quello della grande finanza.
Ci sono due punti da affrontare qui. Il primo: il mercantilismo neo-liberista dettato da Berlino e ivi incentrato è insostenibile. La svalutazione del lavoro in alternativa alla svalutazione della valuta nazionale, come via principale per aggiustamenti “reali”, comporta una cronica insufficienza di domanda aggregata, disoccupazione persistentemente elevata, deflazione e esplosione dei debiti pubblici. In un tale contesto, al di là dei confini dello stato-nazione dominante, l’euro porta ad uno svuotamento della democrazia, trasformando la politica in amministrazione per conto terzi e spettacolo.
Questo è il punto. Non è un punto economico ma politico. Il significato di democrazia nel XXI secolo. Esiste un conflitto sempre più evidente tra il rispetto dei Trattati e delle regole fiscali da una parte e i principi di solidarietà e democrazia iscritti nelle nostre costituzioni nazionali dall’altra. Fatemi essere estremamente chiaro su questo: la moneta unica di per se stessa non è la causa della svalutazione della democrazia ma ne è sicuramente un fattore peggiorativo. L’euro, secondo l’ingenuo piano progressista, avrebbe dovuto rappresentare una protezione contro la svalutazione del lavoro e della democrazia, generata dalla globalizzazione economica SREGOLATA. In realtà l’euro è stato realizzato come un mezzo per aiutare la grande impresa ad indebolire i diritti dei lavoratori e a debilitare le istituzioni dello stato sociale. Dobbiamo ammetterlo: l’euro è stato un errore.
Questa rotta è reversibile? Questo è il secondo punto. È difficile rispondere “si”. Sfortunatamente, le necessarie correzioni per rendere l’euro sostenibile appaiono non percorribili per ragioni culturali, storiche e politiche. La strada per completare l’unione politica al fine di “democratizzare” la moneta comune richiede molto più di un’operazione di ingegneria istituzionale calata dall’alto. Richiede un livello di solidarietà economica tra i popoli europei che al momento manca. Le opinioni pubbliche nazionali hanno punti di vista divergenti e posizioni conflittuali, rese ancora più distanti dall’agenda dominante in eurozona dopo il 2008.
Inoltre, dati gli attuali squilibri di potere tra Stati membri, tra debitori e creditori, il proseguire lungo la rotta di una maggiore integrazione politica è molto probabile che si risolverà in un consolidamento delle attuali asimmetrie.
I primi due punti dell’analisi portano ad una verità sconfortante: dobbiamo essere consapevoli che l’euro è stato un errore di prospettiva politica. Dobbiamo ammettere che nella gabbia neo-liberista dell’euro, la sinistra perde la propria funzione storica ed è morta come forza impegnata a dare dignità e rilevanza politica al lavoro e ad perseguire l’affermazione della cittadinanza sociale quale veicolo di democrazia effettiva. L’ irrilevanza o la connivenza dei partiti della famiglia socialista europea è manifesta. Senza il nostro Piano B, continuare ad invocare, come si sta facendo, gli “Stati Uniti d’Europa” o una “riscrittura pro-lavoro” dei Trattati è un esercizio virtuale che porta a una continua perdita di credibilità politica.
Cosa dovrebbe essere fatto? Siamo ad un crocevia della storia. Da una parte, il sentiero della continuità legata all’euro, che è accettazione della fine della democrazia delle classi medie e dello stato sociale: un equilibrio precario di sotto-occupazione e rabbia sociale, minacciato da alti rischi di rotture nazionalistiche e xenofobe. Dall’altra, una decisione condivisa, senza atti unilaterali, del nostro Piano B per superare la moneta unica ed il connesso quadro istituzionale, e soprattutto per aggiustare la accountability democratica della politica monetaria: una soluzione reciprocamente benefica, nonostante il percorso difficile ed incerto e il rischio di conseguenze pesanti almeno nel periodo iniziale.
La strada della continuità è l’opzione esplicita delle “grand coalition” a trazione conservatrice e esecutivi “socialisti” (in Francia ed Italia per esempio). La strada della discontinuità può essere l’unica per tentare di salvare l’unione europea, rivitalizzare le democrazie delle classi medie e invertire il trend della svalutazione del lavoro. Per rendere il Piano B un’opzione possibile ed un effettivo asset negoziale, dobbiamo costruire un’ampia alleanza delle forze progressiste in euro zona e in UE. Il tempo a disposizione è sempre di meno».
Uno dei motivi comprensibili (escludo quì quelli disonesti, di convenienza, di legami di interessi ecc. che sono senz'altro rilevanti) per i quali la sinistra (tutta, fino a molti eurocritici) è riluttante all' uscita da Euro e Unione Europea è che non comprende come un sistema di monete nazionali indipendenti possa essere un sistema collaborativo. In realtà, come sappiamo, è il contrario: un sistema di valuta unica con libera circoilazione di capitali è il sistema più anticooperativo che esista: in tale sistema l'unico elemento di competizione fra sistemi diversi resta il costo del lavoro per unità di prodotto espresso in valuta forte (comprensivo di salario indiretto o welfare e di salario differito o pensioni).Per capire come un sistema di libero scambio di merci(N.B.: DI MERCI: per servizi, capitali e persone il principio non vale affatto…!) possa essere un sistema cooperativo occorre andare a Ricardo e alla sua teoria dei Costi Comparati. Con tale teoria Ricardo dimostra come, ipotizzando un sistema di due paesi con due merci e lo scambio via baratto, il livello di costi assoluti è DEL TUTTO irrilevante (N.B.: DEL TUTTO, non "in parte"). In altri termini, se in Portogallo il vino costasse un milione di ore di lavoro per ettolitro e il tessuto 3 milioni di ore per ettometro, e in Inghilterra il primo 3 ore di lavoro e il secondo una, il Portogallo esporterebbe vino contro tessuti e il vantaggio sarebbe di entrambi i paesi.Il discorso non cambia estendendo tale ragionamento a n merci e a n paesi; sostituendo però necessariamente l'ipotesi di baratto con quella di monete a circolazione forzosa, o fiat come è di moda dire oggi. Il sistema diverrebbe perciò un sistema estremamente cooperativo fra diversi paesi. Che d'altronde è quanto sapeva anche Marx quando diceva che "il piano della SOLA circolazione delle merci sarebbe un Eden dei diritti naturali"; e che spiegò il suo impegno a favore dell'abolizione delle leggi protezionistiche sul grano del 1846 in Inghilterra. Certo, non è che così finisce la competizione fra sistemi: per intenderci, se in Portogallo avessero bisogno di un milione di ore di lavoro per produrre un ettolitro di vino morirebbero assretati e nudi.. Però diverrebbe un problema interno, e la competizione si sposterebbe sul piano filosofico, dei valori ecc., e la produzione portoghese non verrebbe spazzata via solo perché i suoi costi sono "dell'1% superiori" a quelli internazionali come è invece ora.A.C. (Siena)
"Esiste un conflitto sempre più evidente tra il rispetto dei Trattati UE e delle regole fiscali da una parte e i principi di solidarietà e democrazia iscritti nelle nostre costituzioni nazionali dall’altra."Questa frase del discorso di Fassina è emblematica e riassume in ristretta sintesi il pensiero del parlamentare circa la situazione politico-economica dell'UE.In pratica i trattati UE sono contraddittori e potenzialmente distruttivi delle filosofie nazionali dei componenti e della loro stessa ragione di essere storica.In nuce la realtà UE svolge un programma dissolutore delle sovranità nazionali dando in cambio solamente svantaggi, non solo, ma è la negazione della loro natura storica anche recentissima.
Tutte le critiche a Fassina sono fondate ma resta il fatto che il fronte sovranista rimane orgogliosanente diviso in innocui pezzettini.Non si riescono a mettere insieme non dico mpl con ARS, che rifiutano il recinto della sinistra, ma neanche con quelli della rete dei comunisti.Tra l'altro anche il progetto ORA, a giudicare dagli aggiornamenti del sito, pare nato morto.A.o.
Mi permetto di non essere d'accordo interamente: la dissoluzione dell'euro significherebbe anche la fine di questo tipo di unione europea che si è andata costruendo molto prima di Maastricht e della effettiva introduzione della moneta unica, con la creazione nel 1979 (non a caso lo stesso anno delle prime elezioni continentali) dello sme a tutti gli effetti un pre euro. La Ue si è costruita nel cammino verso l'unità monetaria (e i suoi presupposti ideologici) per cui il venir meno di questo elemento significa di fatto smantellare l'unione. Tanto questo è vero che i trattati firmati dopo l'affermarsi della crisi finanziaria e il timopre per la tenuta della moneta unica sono in realtà trattati fra stati che non fanno formalmente parte dei patti della Ue, ma ne sono una surfetazione che permarrebbe anche a Unione sciolta. Dunque insistere sulla dissoluzione europea anche oltre la moneta unica sarebbe da una parte superfluo dall'altra insufficiente e comunque tatticamente poco producente. Vista la situazione mi pare il caso di insistere sui minimi comun denominatori piuttosto che sui massimi comun divisori.