90 visite totali, 1 visite odierne

Browse By

L’IMMIGRAZIONE E NOI, RISPOSTA A LUCIANO CANFORA di Piemme

90 visite totali, 1 visite odierne

[ 18 settembre]

Su un punto, se sulla questione dell’immigrazione si vuole un dialogo serio, dobbiamo metterci preliminarmente d’accordo.

Siamo in presenza di un flusso ordinario o dobbiamo parlare, date le sue dimensioni moltitudinarie, di “emergenza migratoria”?

Risposta: l’Italia e l’Europa sono alle prese con una pressione migratoria di massa senza precedenti, che tenderà a persistere nel prossimo periodo, e dunque di fronte una situazione d’emergenza —il che si badi, senza dover scomodare l’aggettivo pantagruelico “epocale”, che contraddistinguerebbe appunto un’intera epoca storica. Un’emergenza che è al contempo sociale, politica e istituzionale.

Con chi valuta che il problema “non esiste”, che è un’invenzione mediatica, secondo me è un’imbecille, e con gli imbecilli nessun dialogo è possibile.

Bene. Se il problema esiste va da sé che occorre trovare una soluzione.

Una soluzione è appunto quella degli “integralisti dell’accoglienza” e che possiamo sintetizzare così: “non ci resta che accettarli tutti”. Una tesi che nessuno ha espresso meglio di Luciano Canfora:

«Il cosid­detto feno­meno migra­to­rio ha carat­tere strut­tu­rale ed epo­cale. Ogni tro­vata mirante a inter­rom­perlo (respin­gi­menti, inter­venti nei luo­ghi di par­tenza) è risi­bile. E’ come voler svuo­tare il mare col mestolo. L’Occidente – fab­bri­canti di armi sem­pre pronti a com­muo­versi, inter­venti impe­riali in Irak, Siria, Libia ecc. — ha creato i disa­stri, una cui con­se­guenza è tale migra­zione di popoli».

Com’è evidente, si tratta di una pseudo-soluzione, è semplicemente una capitolazione disarmante davanti ai fatti, alla cui base c’è una concezione fatalistica delle vicende storiche, come se nel campo sociale valessero le leggi bronzee e necessitate della natura, l’idea dunque che i processi sociali, una volta innescati, siano irreversibili e di fronte ai quali non resterebbe che una stoica resa, una ineluttabile presa d’atto.


Che le cose non stiamo così lo dimostra un’analisi obiettiva dei flussi migratori a scala globale, di come essi, lungi dall’essere ineluttabili e unidirezionali, possono essere, in alcuni casi arrestati, in altri deviati, in altri ancora pilotati.

Occorre quindi correggere un errore pacchiano nel ragionamento degli “integralisti dell’accoglienza”. Il primo fattore che causa l’emigrazione di massa Sud-Nord, Est-Ovest, e Sud-Sud, non consiste affatto nelle guerre imperialistiche o fratricide (come quella che coinvolge il mondo islamico), e nemmeno nel carattere tirannico di certi regimi politici.


La prima causa è la globalizzazione, il libero-scambismo dispiegato, le politiche neoliberiste adottate a scala mondiale, non solo dalle classi dominanti dei paesi “avanzati” ma pure dai regimi fantoccio dei paesi “arretrati”. La globalizzazione, la supremazia della sfera finanziario-predatoria —questo si che è un fenomeno epocale— non ha prodotto profondi sconvolgimenti nelle strutture sociali dei paesi imperialistici, ha prodotto mutamenti ancor più devastanti nei paesi che venivano definiti “in via di sviluppo” o del “terzo mondo”, una delle conseguenze è appunto l’emigrazione di massa.

Cosa è cambiato con la globalizzazione nei paesi del Su del mondo?
In estrema sintesi: 

(1) gli stati nazionali sono stati progressivamente disarticolati, fino addirittura ad essere smembrati, ombre di ciò che essi furono. Tranne rarissime eccezioni le corrotte classi dominanti autoctone, convertitesi al neoliberismo, hanno smantellato le già deboli barriere difensive statuali, lasciando che i capitali stranieri potessero compiere le loro scorribande, ovvero la loro politica di rapina; (2) la penetrazione massiccia di capitali e investimenti stranieri ha causato la distruzione del tessuto economico e sociale tradizionale di questi paesi il quale, per quanto capitalisticamente arretrato, consentiva alle comunità, anzitutto quelle rurali, la possibilità di sopravvivere. La ricchezza prodotta era modesta, ma il grosso non veniva accaparrato da un’esigua minoranza.  (3) Non occorre tuttavia pensare che la globalizzazione abbia accentuato il “sottosviluppo” capitalistico. Al contrario! la gran parte dei paesi del Sud del mondo (Africa compresa) conoscono da un quindicennio tassi di sviluppo economico, in alcuni casi notevoli se paragonati alla stagnazione dei paesi del Nord. Per cui, se con il “sottosviluppo” si mangiava poco ma si mangiava tutti, con lo “sviluppo” ci sono ceti e classi che sono alla fame, mentre altri, gli strati compradores che sono gli intermediari della rapina delle multinazionali, raggiungono livelli di vita quasi occidentali.

Non è affatto una “trovata”, quindi, affermare che per bloccare l’emigrazione di massa il primo passo è porre fine alla globalizzazione. La soluzione è la de-globalizzazione, a Nord come a Sud, ad est come ad Ovest.

E’ come minimo singolare che gli eredi dei movimento no-global, quelli che oggi protestano con noi contro trattati di libero scambio sciagurati come il Ttip, considerino “reazionaria” ogni difesa delle sovranità statuali e nazionali. Logica vuole che sei sei contro il libero scorrazzare dei capitali, quindi anzitutto di quelli multinazionali, il solo modo per farlo è di ripristinare delle barriere difensive, barriere che possono essere approntate solo dagli stati e dalle nazioni, isolatamente od in concerto fra loro. 

E’ addirittura grottesco che gli stessi che urlano contro il Ttip difendano l’Unione europea e la moneta unica. E’ assurdo che gli stessi che protestavano contro la “direttiva Bolkestein” che liberalizzava il mercato del lavoro (e non solo quello) in seno alla Ue, e quindi aumentava la concorrenza tra lavoratori implicando l’abolizione di diritti acquisiti e salari al ribasso; è assurdo, dicevo, che queste stesse anime belle si rifiutino di vedere che l’immigrazione moltitudinaria dal Sud produrrà effetti devastanti sul mondo del lavoro europeo e italiano in particolare, che al confronto la direttiva Bolkestein  era una mammoletta. Come si fa a non vedere che l’importazione di grandi masse di immigrati è anzitutto funzionale al grande capitalismo

Gli “integralisti dell’accoglienza”, pur di tenere fede (ahimè in compagnia dei globalisti) al loro dogma di un “mondo senza frontiere”, fingono di non sapere che la fuga di uomini e donne, in breve di forza-lavoro manuale e intellettuale, dai paesi del Sud, impoverisce questi stessi paesi. Fingono di non vedere che l’emigrazione endemica verso il Nord è un aspetto della rapina neocolonialistica di questo stesso Nord ai danni dei paesi del Sud. Un’emigrazione che contribuisce alla loro futura desertificazione —l’emigrazione Sud-Nord in Italia dovrebbe aver insegnato pur qualcosa! No, non vogliono ragionare, s’arrabbiamo anzi quando definiamo l’emigrazione “deportazione” indotta. 
Gli “integralisti dell’accoglienza”dovrebbero quindi essere coerenti, dovrebbero chiedere di consegnare un premio agli scafisti perché svolgono un encomiabile funzione di supplenza —fossero coerenti dovrebbero anzi chiedere che i governi europei dovrebbero approntare centinaia di voli charter settimanali per prendere in consegna tutti coloro che vogliono venire. Non “trafficanti di morte” quindi, ma persone benemerite.

Ma gli “integralisti dell’accoglienza” obiettano: “sì, vabbè, ma in attesa della fine della globalizzazione, che facciamo? Buttiamo tutti a mare?”

Ovviamente no. Ma “accogliere tutti”, a prescindere se ad essi spetti l’asilo politico o lo status di rifugiato è una soluzione impraticabile, disastrosa. Come segnalato anche Pasquinelli “la grande immigrazione non è sostenibile“. Fa specie che coloro i quali un giorno sì e l’altro pure parlano di “economia sostenibile”, di “politica energetica sostenibile, di “politica ambientale sostenibile” e financo di “consumi sostenibili”, rifiutino anche solo di porsi il problema se un’immigrazione moltitudinaria sia sostenibile o meno, e se sì quali siano le evidenze che la rendano tale.

E’ evidente che principi morali vengono messi davanti ad ogni altra considerazione, Anzi, ogni altra considerazione viene scartata e vengano addirittura lanciati (non a caso con l’appoggio dei massimi organi di stampa globalisti e neoliberisti) gli anatemi di “razzismo, xenofobia e leghismo.

Ed a questo punto il dialogo diventa come quello con gli imbeccili, inutile ed impossibile.


3 pensieri su “L’IMMIGRAZIONE E NOI, RISPOSTA A LUCIANO CANFORA di Piemme”

  1. Vincenzo Cucinotta dice:

    Bell'articolo che condivido diciamo parola per parola. Del resto, dico le stesse cose da mesi ma PIEMME mi par ele esprima in modo più efficace di me. Volevo solo aggiungere che abbiamo evidenze molto recenti di come, oltre i motivi strutturali che l'articolo richiama (io aggiungerei l'invasione mediatica tramite le TV satellitari), esistono motivi molto contingenti. Ad esempio, dopo svariati anni di guerra in Siria, in cui l'emigrazione verso l'europa avveniva in modo graduale e sostanzialmente modesto rispetto almeno ad altre loclaità di partenza (tipicamente l'africa subsahariana), è subentrato un flusso continuo e molto numeroso. Qhuesta improvvisa accelerazione è dovuta a due fattori, da una parte la Turchia di Erdogan che ssotanzialmente li ha scacciati dai campi dove si trovavano in grande numero e soprattutto le sciagurate dichiarazioni della Merkel che, affermando in maniera così diretta una disponibilità così ampia all'accoglienza, ha stimolato questi flussi. I migranti vedono insomma la loro fuga come un ostacolo transitorio da superare per giungere al paradiso prossimo futuro, e per questo è comprensibile che siano pronti anche a farsi uccidere.

  2. Andrea Boari dice:

    L'articolo individua e correla in maniera convincente i flussi migratori con la mondializzazione capitalista e le guerre indotte dai paesi occidentali. Ma non sottolinea – mio parere – a sufficienza i processi "soggettivi" intervenuti negli ultimi 20 anni nel cosidetto terzo mondo.In relazione ai flussi migratori di profughi generati dalle guerre, nessuno ha mai inteso paragonare i flussi prodotti dalle guerre passate con quelli odierni.La guerra Iran Iraq, notoriamente, ha prodotto la morte di circa 800.000 giovani maschi, le guerre Etopia/ Eritrea decine di migliaia. Il punto consiste che quelle guerre non hanno prodotto uscite di cittadini se non in maniera sporadica.Amettiamo pure che il fronte avesse in quegli episodi bellici, una sua stabilità. Ma in Siria benchè molto variabile, quasi il 90% della popolazione risiede in territori controllati dallo stato siriano (per i media il regime di Assad). Sembra che la capitale Damasco (ancora intatta) non esista. Eppure a Damasco la vita continua.La domanda per una sinistra reale è la seguente, perchè milioni di giovaninon combattono in difesa del proprio paese e praticano la migranza.Per finire la guerra e salvare il paese, sarebbe stato sufficiente l'apporto di 100.000 giovani profughi, sottratti alla leva dell'esercito siriano.La mia opinione è questa. Scontiamo pure l'incerta fedeltà della componente sunnita della società siriana, ma rimane la dissoluzione dei vincoli di appartenenza ed identitari (le componenti soggettive) che formano la base di ogni reazione di massa alle minacce esterne ed interne. Moreno Pasquinelli in un articolo recente che ha generato forti polemiche, ha imputato alla migranza multiculturale l'effetto demolitivo del demos del popolo ospitante.L'osservazione andrebbe estesa. In un paese quasi socialista come la Siria, privo o quasi del fenomeno dell'emigrazione, si scopre che una parte consistente della popolazione si è "modernizzata" e non si sente più vincolata ad un senso di appartenenza nei confronti del paese e della nazione. Nel momento del conflitto, preferisce, "disertare", uso questo termine perchè circa 18 milioni di siriani sono rimasti. Ma la meglio gioventù – certo la più benestante – li ha abbandonati.Andrea

  3. Anonimo dice:

    Un articolo intelligente, che condivido parola per parola.L'umanitarismo dell'accoglienza indiscriminata, caro alla Chiesa, ai cattocomunisti e alla borghesia liberal, produce e produrrà conseguenze devastanti nelle nostre società, danneggiando in primis i ceti popolari. Vale il vecchio motto anche in questo caso: di pie intenzioni è lastricata la via dell'inferno. L'immigrazione selvaggia e incontrollata è il nostro inferno prossimo venturo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *