“RIFORMA” DEL SENATO E NUOVA LEGGE ELETTORALE: IN ITALIA COME IN UNGHERIA di Mauro Volpi
[ 3 ottobre ]
Volpi, rispondendo a D’Alimonte, denuncia come antidemocratico il combinato disposto della nuova legge elettorale Italicum e della cancellazione del senato elettivo.
In questo quadro la battaglia per l’elezione popolare del Senato, anche se non sufficiente, va condivisa per una ragione di principio, derivante dalla necessità di rispondere alla crisi della partecipazione popolare attestata dalla crescita dell’astensionismo, ed è convalidata dai sondaggi che segnalano la volontà di una grande maggioranza dei cittadini di eleggere il futuro Senato. Ma vi è anche la necessità di salvaguardare gli equilibri costituzionali, compromessi da una legge elettorale abnorme che alla Camera potrebbe assegnare la maggioranza più che assoluta dei seggi ad un solo partito che, in considerazione del livello di astensionismo, ottenga un numero anche ridotto dei voti degli elettori, e darebbe vita ad un’assemblea formata per circa due terzi da nominati.
Contro la proposta del Senato elettivo si è scatenata l’offensiva di opinionisti e di studiosi filo-renziani, che ultimamente ha utilizzato argomenti di natura comparativa per squalificarla. Così si è scritto che la designazione indiretta dei senatori sarebbe dominante negli Stati federali e in quelli regionali. Per i primi niente di più falso: l’elezione popolare del Senato è prevista negli Stati Uniti (dove fu introdotta nel 1913, anche per ridurre i fenomeni di corruzione determinata dall’elezione da parte dei Parlamenti degli Stati membri), in Svizzera, in Australia e negli Stati federali latino-americani (Argentina, Brasile e Messico). Quanto agli Stati regionali, vi è il caso, non certo di scarso rilievo, della Spagna, dove i quattro quinti dei senatori sono eletti dal popolo e solo il quinto restante è designato dai Parlamenti delle Comunità autonome. Qualcuno sposta l’attenzione sull’Unione europea per arrivare all’affermazione di D’Alimonte (ne Il Sole 24 Ore del 17 settembre) secondo la quale solo in cinque Paesi su ventotto è prevista l’elezione popolare della seconda Camera.
Ma quanti sono i Paesi che adottano il modello renziano del Senato composto da membri dei Consigli regionali o locali da questi designati? Intanto dagli otto Paesi bicamerali che non prevedono l’elezione popolare della seconda Camera, va scorporato il Regno Unito, dove la Camera dei Lord non rappresenta certo le istituzioni territoriali e per la quale il governo conservatore-liberale aveva presentato un disegno di legge che prevedeva l’elezione popolare dell’80% dei componenti. Ma non vi rientra neanche la Germania che adotta un sistema non senatoriale, ma ambasciatoriale, nel quale i consiglieri sono espressione degli esecutivi dei Laender e ogni delegazione esprime un unico voto. In Irlanda i senatori non rappresentano le istituzioni locali, ma diversi interessi culturali e professionali, come si verifica in Slovenia per il 40% dei senatori. In Francia è molto ampia la platea degli elettori (circa 150.000) in rappresentanza di tutte le collettività territoriali. Non restano che Austria, Paesi Bassi e Belgio, ma nei primi due Paesi, così come in Francia, può essere eletto senatore qualsiasi cittadino, mentre solo in Belgio 50 senatori su 60 sono eletti dalle assemblee rappresentative delle Comunità linguistiche tra i propri membri. Utilizzando il metodo D’Alimonte, si potrebbe affermare che ad oggi tra i ventotto Paesi dell’Unione uno solo, il Belgio, prevede che i senatori siano designati dai Parlamenti delle istituzioni territoriali tra i propri componenti.
Infine, tra i cinque Paesi che prevedono l’elezione popolare, solo in due (Italia e Romania) il Senato vota la fiducia e la sfiducia al Governo, mentre negli altri tre (Repubblica Ceca, Polonia, Spagna) il rapporto di fiducia intercorre solo fra Governo e Camera dei deputati. Il che smentisce l’opinione secondo la quale l’elezione popolare del Senato imporrebbe l’esistenza del rapporto di fiducia con il Governo. Inutile dire che in nessun Paese bicamerale è previsto che i senatori siano eletti dalle assemblee territoriali “su indicazione degli elettori in base alle leggi elettorali” locali, formula non di mediazione, ma ambigua e truffaldina che riduce gli elettori a massa di manovra per avallare scelte calate dall’alto.
In definitiva il Senato voluto da Renzi non sarebbe affatto più “europeo” e le esperienze alle quali sarebbe più vicino (Austria e Belgio) sono contrassegnate dalla forte partitizzazione e dal ruolo secondario della seconda camera.
Questo articolo mi pare tratti di "ingegneria elettorale", una disciplina che costituisce l'ultimo ritrovato per intossicare la democrazia e ammazzarla.La trista faccenda è cominciata con la riforma Segni che ha fatto defungere il sistema proporzionale per altro consacrato nella Costituzione del '48 e che è nata dalla sottomissione dello Stato alle teorie enunciate dal Programma P 2.Solo Craxi quella volta ha capito come sarebbe andata a finire e ha invitato gli elettori italiani a passare la sciagurata giornata elettorale al mare. Ora siamo alla frutta.