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VENEZUELA: LE RAGIONI DI UNA SCONFITTA di Leonardo Mazzei

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[ 9 dicembre ]

Le difficili prospettive della rivoluzione bolivariana

Due errori da evitare per cercare di capire quanto è successo

Il risultato non era inatteso, ma non per questo lo choc è stato minore. Il variegato fronte degli amici della rivoluzione bolivariana appare frastornato. E’ naturale che sia così. Tuttavia, pur comprendendo la delusione, due errori interpretativi vanno assolutamente evitati: quello di chi minimizza la portata della sconfitta, quello di chi la attribuisce unicamente all’offensiva delle forze contro-rivoluzionarie.


Il primo errore lo compie chi si limita a certificare che «ha vinto la democrazia», che Maduro non ha pensato per un attimo ad una soluzione di forza. Sia chiaro, è bene che sia così, ma se la «democrazia» assegna il 68% dei voti all’opposizione qualche problema dovrà pur esserci. 

Sulla contestazione della natura effettivamente democratica del voto si basa invece il secondo errore. Siccome le elezioni si sono tenute in un contesto d’emergenza economica, voluta dalle forze contro-rivoluzionarie interne ed esterne al Venezuela, il voto non sarebbe da considerarsi davvero libero. Dunque il problema non sarebbe tanto la sconfitta elettorale, quanto l’accettazione di regole del gioco decisamente truccate.

In entrambe queste due letture, per quanto tra di loro sostanzialmente opposte, ci sono evidentemente delle verità. E’ vero che tutto il periodo chavista (1999-2013) è stato caratterizzato da un consenso popolare costantemente verificato nelle urne, e non pare proprio che Maduro intenda discostarsi da questa impostazione. E’ altrettanto vero, però, che non può esservi un’autentica democrazia in una situazione in cui il potere economico resta largamente in mano a potenti oligarchie.

Così ha scritto, ad esempio, il commentatore Fidel Diaz Castro (da non confondersi con il leader cubano Fidel Castro Ruz):

«Il Venezuela ha dimostrato ieri – contrariamente a quanto si è canonizzato – che la democrazia con l’economia e i media in mani private non esiste. E’ un peccato, ma non può avanzare una rivoluzione sociale con il potere reale nelle mani dell’oligarchia».

C’è qualcosa di sbagliato in questa affermazione? Sostanzialmente no, anche se bisognerebbe rilevare che il processo rivoluzionario procede per avanzamenti, tappe ed arretramenti. E che non possiamo aspettare il socialismo realizzato per praticare la democrazia. L’importante è avere chiaro che anche la democrazia – nella sua forma autentica di «potere del popolo» – è anch’essa un processo che va messo in pratica anche nelle fasi in cui di necessità essa si presenta in una forma parziale ed imperfetta. 

Ma non è questo il punto principale. Quel che qui ci interessa è mettere in luce l’errore a cui conduce questa affermazione. Il fatto è che adottando questo ragionamento come principale spiegazione della sconfitta, si finisce inevitabilmente per assumere un atteggiamento giustificazionista, per oscurare gli errori del movimento e del governo bolivariano. Che, invece, è importante esaminare.

E’ lo stesso esito al quale conduce l’altro errore. Quello minimizzatore e decubertiniano, secondo cui stavolta abbiamo perso, ma la prossima vinceremo, l’importante è la democrazia. Interessante la contraddizione in cui è incorso lo stesso Maduro. Il presidente venezuelano, dopo aver garantito il rispetto delle regole democratiche, ha detto che «ha vinto la contro-rivoluzione e la guerra economica». Ma se solo di questo si trattasse, perché definire democratico un sistema in cui vince chi è in grado di scatenare la guerra economica dei ricchi contro i poveri?   

Come Chavez nel 1992, dopo essere stato arrestato a seguito della fallita rivolta civile-militare,  Maduro ha parlato di sconfitta «por ahora». Ma allora si trattava del primo tentativo di rovesciamento del regime oligarchico, mentre quello di domenica è stato invece un forte pronunciamento della maggioranza dei venezuelani contro il suo governo. Due situazioni assolutamente diverse che richiedono ragionamenti del tutto differenti.

Chiarito che non bisogna essere indulgenti con le spiegazioni auto-consolatorie, veniamo al dunque. La sconfitta del PSUV (Partito Socialista Unito del Venezuela) non è di quelle dalle quali ci si riprende tanto facilmente. E’ vero che il fronte delle opposizioni è unito solo nella furia anti-chavista, ma è ben difficile immaginare una prossima riscossa delle forze bolivariane. Ben più probabile è un’offensiva delle forze reazionarie mirante alla caduta anticipata di Nicolas Maduro, con la possibilità di uno scenario di guerra civile.

Facciamo adesso un passo indietro.

Siamo stati tra quelli che da subito guardarono con simpatia a Chavez ed al nascente movimento bolivariano. Altri storcevano il naso. Per molti, a sinistra, Chavez era soltanto un militare, che per giunta aveva tentato un golpe nel 1992; spesso egli era visto come un caudillofra i tanti generati dall’America Latina. Viceversa, per noi fu importante la sua netta posizione antimperialista ed anti-USA, la sua scelta di campo a favore dei poveri, la volontà di costruire un Venezuela per tutti i venezuelani. 

Dunque non abbiamo mai condiviso la critica rivolta a Chavez ed al bolivarismo da ampi settori della sinistra europea: né quella portata dalla sinistra «politicamente corretta» di cui abbiamo appena parlato, né quella di una sinistra estrema incapace di vedere le tante forme che può assumere un processo rivoluzionario.

Proprio per questo ci siamo sempre sentiti liberi di poter criticare fraternamente quel che non ci convinceva della politica chavista. Curiosamente, ma neppure poi tanto, coloro che in un primo momento guardavano a Chavez come minimo con la tipica aria di sufficienza made in Europe, si ritrovano oggi ad assumere un atteggiamento giustificazionista, a non voler comprendere le ragioni interne della sconfitta di domenica.

Sia chiaro: noi non ci stancheremo mai di sottolineare l’importanza del movimento bolivariano, il suo impatto continentale; né mai andrà dimenticata la portata delle conquiste sociali che ha consentito. Il fatto che grazie ad esso milioni di persone siano uscite dalla povertà, abbiano finalmente acquisito alcuni diritti fondamentali, basta ed avanza per ribadire il sostegno all’esperienza rivoluzionaria avviata da Chavez.

Ma questo non significa chiudere gli occhi di fronte ai problemi non risolti che hanno spianato la strada al successo delle forze reazionarie due giorni fa.

Quali sono questi problemi? 

Se ne possono individuare almeno tre, di natura diversa tra loro.

Il primo problema è di difficile soluzione. Piaccia o non piaccia le rivoluzioni hanno bisogno di leader. E quando i leader vengono a mancare, la loro sostituzione diventa un problema terribilmente serio. Questo è vero in generale, ma ancor di più nello specifico contesto venezuelano proprio per le caratteristiche di un leader come Chavez. Con lui le elezioni diventavano spesso un referendum sulla sua persona. La qual cosa gli ha garantito a lungo la vittoria, ma al prezzo di dover lasciare in piedi un sistema presidenziale che del socialismo è in tutta evidenza una contraddizione in termini. Cosa accadrà se la destra – anche grazie alla debolezza di Maduro – sarà in grado di conquistare anche la presidenza dopo essersi impadronita del parlamento? La risposta è semplice. Un simile scenario aprirebbe la strada ad una piena restaurazione, sancendo la definitiva sconfitta del movimento bolivariano in Venezuela.

Secondo problema, l’incapacità di spostare davvero i rapporti di forza tra le classi nel paese. Se dopo 16 anni ci si lamenta del potere delle oligarchie economiche, vuol dire che non si è stati capaci di ridurle all’impotenza, o quantomeno di tagliargli le unghie in modo da renderle meno pericolose. Per una rivoluzione che si vuole socialista il fallimento su questo terreno è la madre di tutte le sconfitte. Delle iniziative contro-rivoluzionarie delle forze della reazione non ci si deve lamentare. Cosa mai dovrebbero fare di diverso i reazionari? Certo, i rapporti di forza tra le classi non si ribaltano con la semplice presa del potere politico. Ma di questo rovesciamento il potere governativo è la base fondamentale, e sedici anni davvero non sono pochi.

Il terzo ed ultimo problema – quello che in definitiva ha prodotto la rovinosa sconfitta di domenica – riguarda l’economia. E qui non c’è giustificazionismo che tenga: su questo terreno la classe dirigente bolivariana si è dimostrata del tutto incapace. Non ci riferiamo tanto ad errori specifici e neppure alla diffusa corruzione, ci riferiamo al fatto di non essere riusciti a mettere in piedi una struttura industriale, di non aver saputo sviluppare il decisivo (anche ai fini della sovranità) settore agro-alimentare, di essere rimasti dipendenti al 95% dal settore petrolifero.  

Come sia potuto accadere tutto questo sfugge alla modesta capacità di comprensione di chi scrive. In sedici anni si è avuto un lungo periodo di bonanza energetica, di prezzi elevati del petrolio, una condizione straordinaria – non sappiamo quanto ripetibile – per avviare un vero processo di industrializzazione. Che è esattamente quel che non è stato fatto, quasi confidando su una dinamica costantemente crescente del prezzo del greggio.

Nel 2014 è arrivato invece il crollo di quel prezzo, e tutto ha iniziato ad andare a rotoli. Certo, la speculazione ha fatto il resto, i potentati economici hanno preso coraggio iniziando a vedere il momento della rivincita di classe, mentre da Washington la Casa Bianca ha fatto sentire – più forte che mai – il proprio sostegno alla causa contro-rivoluzionaria.

Ma niente di tutto questo è strano od imprevedibile. Quel che è certo è che l’azione di lorsignori non avrebbe avuto identico successo se il governo di Caracas fosse riuscito, negli anni, ad avviare un vero sviluppo industriale, uscendo così dalla monocoltura petrolifera. Si è trattato di un errore dovuto semplicemente all’incompetenza? E’ possibile, ma se così è stato non può non tornare in mente la celebre frase di Talleyrand: «E’ stato peggio di un crimine, è stato un errore».

Un errore madornale che potrebbe mettere fine ad un’esperienza estremamente positiva, ed in alcuni momenti anche entusiasmante. Speriamo che non sia cosi. Speriamo che ci sia ancora tempo per salvare la rivoluzione bolivariana.

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