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UBER, TAXI E LOTTA DI CLASSE di Carlo Formenti

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[ 30 gennaio ]

Battevano le agenzie
«Pneumatici bruciati, aggressioni a chi non scioperava, una persona investita e venti arresti. Questo il bilancio della manifestazione dei 1200 tassisti parigini contro le auto NCC e il servizio Uber. I primi incidenti si sono verificati a Porte Maillot, nel nord della capitale francese e sono proseguiti nelle strade intorno ai due aeroporti Roissy e Orly».

Questo recitava tre giorni fa un breve resoconto di agenzia sulla protesta dei tassisti parigini, una protesta non solo sacrosanta contro Uber, ma coraggiosa, visto che è stato il primo caso di violazione aperta dello Stato d’emergenza voluto dal governo Hollande.

«Arroganza neocoloniale e odio di classe. Non saprei definire altrimenti il contenuto dei tweet con cui Courtney Love, vedova del leader dei Nirvana e a sua volta pop star, ha espresso tutta la sua indignazione per essere stata costretta a scendere dall’auto che stava portandola all’aeroporto di Parigi da parte da un gruppo di taxisti che protestavano contro il servizio Uber Pop.

Rivolgendosi al presidente Hollande la signora in questione chiede con tono sprezzante: “È legale per la tua gente attaccare i visitatori? Muovi il culo e vieni in aeroporto”. “La tua gente”: ovvero quei pezzenti di lavoratori francesi che tu, in quanto vassallo degli Stati Uniti (e quindi anche mio), dovresti essere in grado di tenere a bada e bastonare a dovere quando si ribellano a un servizio innovativo made in Usa quale è Uber. E ancora: “È questa la Francia? Mi sento più sicura a Baghdad”. Non c’è dubbio, visto che a Baghdad avrebbe potuto assoldare (lei che può permettersi di pagarli, certo non un comune turista) un manipolo di contractor professionisti pronti a sparare su qualunque pezzente osasse intralciarle la strada.

A citare con soddisfazione i deliri fascistoidi della postar è il New York Times, che in un altro articolo fa la cronistoria del conflitto fra lo Stato Francese che ha proibito il servizio, i taxisti che definiscono terrorismo economico la politica della società di San Francisco che sta strangolando la loro categoria in tutto il mondo, e i manager di Uber, i quali non mollano l’osso e spingono i loro contractor (migliaia di comuni cittadini che si improvvisano autisti in cambio di pochi euro a corsa, assumendo in prima persona tutti i rischi dell’impresa) a offrire comunque il servizio, lasciando intendere fra le righe che questa mentalità arretrata dei governanti europei dovrà prima o poi arrendersi alle ragioni dell’innovazione tecnologica, del mercato e dei consumatori.

Rincara la dose il “Corriere della Sera” in un articolo del 26 giugno di Stefano Montefiori (“Blocchi e aggressioni. La guerra a UberPop sulle strade della Francia”) nel quale, oltre a rilanciare le dichiarazioni della cantante, si citano anche quelle di contenute in una lettera di Maxime Coulon, noto avvocato parigino che ha collezionato 170.000 like su Facebook scrivendo: “Caro taxi parigino, non posso dirti quanto godo nel vederti sbraitare, piangere, agonizzare davanti al successo dei servizi come Uber. Ti ricordi quando mi chiedevi qual era la mia destinazione prima di decidere se io avessi il diritto di salire sulla tua carrozza?”.

Il succo dell’articolo del Corriere è lo stesso di quello dell’articolo del NYT (basta con gli ostacoli all’innovazione che frena la marcia del mercato), mentre il succo dell’intervento del nostro nobile avvocato è lo stesso di quello della pop star: come vi permettete voi pezzenti di non obbedire a ogni nostro cenno, mentre dovreste servirci senza protestare? Lotta di classe appunto, come spiega molto bene Biju Mathew nel suo libro “Taxi!” sulle lotte dei taxisti di New York: lotta di classe fra chi è costretto a sgobbare ore e ore sulla strada per sbarcare il lunario e i membri di una classe media (medio alta nel caso della Love e di Coulon) che vorrebbero poterli trattare come schiavi. E lotta di classe fra lavoratori messi con le spalle al muro dalle politiche degli “innovatori” e crumiri che la fame induce a vendersi per quattro soldi».


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