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VAROUFAKIS (DELLA MANCIA) e L’OPERAZIONE DIEM2025

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[ 30 gennaio ]


L’altro giorno abbiamo pubblicato un resoconto del Summit del cosiddetto “Piano B” svoltosi a Parigi. Alcuni lettori ci han chiesto: “Ma che, Varoufakis non c’era?”. No, non c’era. E non c’era perché Varoufakis sta giocando una sua propria partita politica, sta dando vita al DieM2025 ovvero il “Movimento Democrazia in Europa 2025” . E non c’era perché Varoufakis non è affatto per un quale che sia “Piano B” di uscita dall’euro. Lui ha il suo “Piano A”; quella della riforma dei Trattati e dell’Unione europea —più o meno la stessa posizione che ha difeso Stefano Fassina a Parigi, il quale in effetti ha preso le  distanze da Lafontaine essendo in grande sintonia con Varoufakis.
Cosa pensa davvero Varoufakis egli lo esprime bene in una intervista, fresca fresca di stampa, di cui qui sotto pubblichiamo gli stralci più significativi. Se dal punto di vista strettamente economico dice delle castronerie (ad esempio che un paese che voglia tornare alla propria valuta avrebbe bisogno di almeno un anno per farlo !!; o che la svalutazione per paesi come l’Italia sarebbe enorme e socialmente devastante); dal punto di vista politico siamo alla nota narrazione dei sinistrati per cui gli stati nazionali sarebbero de facto defunti, e che l’unico spazio politico possibile è quello dell’Unione. 
Che poi si contraddica nelle conclusioni in modo clamoroso… lo lasciamo verificare ai nostri lettori.

* * * 


Perché DIEM2025?

(…)


D. Quindi è il momento di sostenere l’uscita dall’Euro? Un ritorno alle valute nazionali non darebbe almeno maggiori opportunità di responsabilità democratica?

R. Questa, naturalmente, è una battaglia in corso che ho con i compagni in Grecia. Sono cresciuto in una Grecia piuttosto isolata, un paese capitalista periferico, con la nostra moneta, la dracma, e un’economia con quote e tariffe che impedivano la libera circolazione delle merci e dei capitali. E vi posso assicurare che era una Grecia piuttosto tetra, certamente non un paradiso socialista. Così l’idea che dovremmo tornare allo stato-nazione, al fine di creare una società migliore, è per me particolarmente stupida e poco plausibile.

Ora, vorrei che non avessimo creato l’euro, vorrei che avessimo mantenuto le nostre monete nazionali. È vero che l’euro è stato un disastro. Ha creato un’unione monetaria che è stata progettata per fallire e che ha garantito privazioni indicibili per i popoli d’Europa. Ma, detto questo, c’è una differenza nel dire che non avremmo dovuto creare l’euro e sostenere ora che dovremmo uscirne. A causa di ciò che noi in matematica chiamiamo isteresi. In altre parole, uscendo non torneremmo dove eravamo prima che fossimo entrati o dove avessimo voluto trovarci se non fossimo entrati.


Alcune persone portano l’esempio dell’Argentina, ma la Grecia non era nello stato in cui l’Argentina era nel 2002. Noi non abbiamo una moneta da svalutare nei confronti dell’euro. Abbiamo l’euro! Uscire dall’euro chiederebbe la creazione di una nuova valuta ciò che implicherebbe un anno per farlo per poi svalutarla. Sarebbe come se l’Argentina avesse annunciato una svalutazione con 12 mesi di anticipo. Questo sarebbe catastrofico, perché avresti dato agli investitori —o anche ai semplici cittadini— con molto avviso— il tempo necessario per liquidare tutto, prendere i soldi prima in previsione di una svalutazione, e non sarebbe restato nulla in piedi nel paese.

Di tutte le opzioni a nostra disposizione, qual è quella che ha meno probabilità di causare una catastrofe? Per me, questa è il tentativo di democratizzare l’Unione. Anche se potessimo ritornare alle nostre monete nazionali nella zona euro, paesi come la Germania, la cui moneta è stata soppressa in seguito all’euro, vedrebbero i loro tassi di cambio schizzare all’insù. Ciò significherebbe che la Germania, che ha ora un tasso di disoccupazione molto basso ma una percentuale elevata di lavoratori poveri, vedrebbe questi lavoratori poveri diventare disoccupati poveri. E questo accadrebbe ovunque nel Nord Europa orientale e centrale, nei Paesi Bassi, Austria, Finlandia – in quelli che io chiamo paesi in surplus. Nel frattempo, in luoghi come l’Italia, il Portogallo e la Spagna, e anche la Francia, avverrebbe allo stesso tempo un forte calo dell’attività economica (a causa della crisi in posti come la Germania), ed un forte aumento dell’inflazione (le nuove valute di questi paesi si svaluterebbero molto significativamente, causando il decollo dei prezzi delle merci d’importazione, di petrolio, energia e dei beni di prima necessità.

Quindi, se torniamo al bozzolo dello stato-nazione, noi avremmo una linea di faglia lungo il fiume Reno e le Alpi. I paesi ad est del Reno ed a nord delle Alpi diventerebbero economie depresse e il resto d’Europa cadrebbe in stagflazione, alta disoccupazione e prezzi elevati.


Questa Europa potrebbe addirittura produrre una grande guerra o, se non una guerra vera e propria, tanto disagio che le nazioni andrebbero l’una contro l’altra. In entrambi i casi, l’Europa, ancora una volta, affonderebbe l’economia mondiale. La Cina sarebbe devastata, e la timida ripresa degli Stati Uniti sarebbe perduta. Avremmo condannato tutto il mondo a perdere almeno una generazione. Dico ai miei amici che la sinistra non avrebbe alcun beneficio da un simile evento. Ne beneficeranno invece gli ultranazionalisti, i razzisti, i bigotti ed i nazisti.

D. Possono l’euro o l’Unione europea essere democratizzati?
R. L’Europa può essere democratizzata? Sì, credo di sì. Lo sarà? Ho il sospetto che non lo vorrà. Quindi cosa succederà? Se chiedete la mia previsione, essa è molto cupa, sono pessimista. Penso che il processo di democratizzazione ha una piccola possibilità di successo. Nel qual caso avremo la disintegrazione e un futuro tetro. Ma c’è una differenza tra le previsioni riguardo alla società e quelle meteorologiche, col tempo possiamo permetterci di sederci e guardare il cielo e dire che crediamo che pioverà, tanto questi discorsi non influenzeranno la probabilità di pioggia. Ma davanti ai problemi sociali e politici abbiamo il dovere morale e politico di essere ottimisti e dire, va bene, tutte le opzioni sono a nostra disposizione, e qual è quella che ha meno probabilità di causare una catastrofe? Per me, questa è il tentativo di democratizzare l’Unione europea. Ci riusciremo? Non lo so, tuttavia ho la speranza che si possa fare.

D. Democratizzare l’Europa è una questione di recupero di principi fondamentali o sviluppare un nuovo concetto di sovranità?

R. Entrambe le cose. Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Il concetto di sovranità non cambia, ma i modi in cui si applica alle aree multi-etniche e multi-giurisdizionali come l’Europa deve essere ripensato. C’è un dibattito interessante che avviene principalmente in Gran Bretagna, ma il resto d’Europa non sembra interessato. E’ stato sempre frustrante cercare di convincere i francesi e i tedeschi che c’è una profonda differenza tra l’Europa delle nazioni e l’Unione europea. Gli inglesi lo capiscono meglio, per ironia, in particolare i conservatori. Essi sono sostenitori di Edmund Burke, anti-costruttivisti che credono ci deve essere una relazione necessaria tra le nazioni, i parlamenti e la valute: una nazione, un parlamento, un denaro.

Quando chiedo ai miei amici conservatori, “…e per quanto riguarda la Scozia? Gli scozzesi non sono forse una nazione in buona fede? Se è così, non dovrebbero avere uno stato ed una loro propria valuta?”. La risposta che ottengo è questa: “Naturalmente ci sono una nazione scozzese, gallese, e inglese e non una nazione del Regno Unito, ma c’è una identità comune, forgiata come risultato di guerre di conquista, partecipazione all’impero e così via. Se questo è vero, e potrebbe essere, allora è possibile dire che diverse nazionalità possono essere legate tra loro da una comune identità in evoluzione. E’ così che mi piace vederla. Noi non stiamo facendo una nazione europea, ma siamo in grado di avere un’identità europea che corrisponde a un sovrano popolo europeo. Così conserviamo il concetto antiquato di sovranità, ma ci colleghiamo ad una identità europea in via di sviluppo, che è poi collegata con le singole sovranità e un parlamento che mantiene controlli ed equilibri sul potere esecutivo a livello europeo.

Al momento, abbiamo l’Ecofin, l’Eurogruppo, e il Consiglio europeo che prendono decisioni importanti in nome del popolo europeo, ma questi organismi non sono responsabili davanti a nessun parlamento. Non è sufficiente dire che i membri di queste istituzioni sono responsabili davanti ai loro parlamenti nazionali, perché i membri di queste istituzioni, quando tornano a casa di fronte ai loro parlamenti nazionali, dicono “Non prendetevela con me, ero in disaccordo con tutto ciò che veniva deciso a Bruxelles, ma non ho avuto il potere di influenzare le decisioni, quindi non sono responsabile per l’Eurogruppo, il Consiglio o l’Ecofin”. Solo quando questi organi istituzionali potranno essere censurati e liquidati come in quanto organo di un parlamento comune, avremo democrazia sovrana. Questo dovrebbe essere l’obiettivo in Europa.

D. Qualcuno potrebbe sostenere che questo rallenterebbe il processo decisionale e renderlo inefficace.

R. No, non penso che rallenterebbe il processo decisionale, lo valorizzerebbe. Al momento, perché non abbiamo questo tipo di responsabilità, non vengono prese le decisioni fino a quando agire diventa improrogabile. Continuano a ritardare, ritardare, negando un problema per anni e poi sempre raggiungono un risultato all’ultimo minuto possibile. Questo è il sistema più inefficiente in assoluto.

D. Siete coinvolto in questo momento nel lancio di “Movimento Democrazia in Europa” [DieM2025]. Ce ne parli?

R. Il lato positivo per il modo in cui il nostro governo è stato schiacciato la scorsa estate è che milioni di europei sono stati allertati per il modo in cui l’Europa ha gestito la vicenda greca. La gente è molto, molto arrabbiata, anche le persone che erano in disaccordo con me e noi.

Così sto girando l’Europa andando da un paese all’altro cercando di accrescere la consapevolezza delle sfide comuni che dobbiamo affrontare e la tossicità che nasce dalla mancanza di democrazia. Questo è stato il primo passo. Il secondo passo è stato quello di tirar fuori un progetto di manifesto, ed i manifesti sono importanti, in quanto focalizzano l’attenzione e diventano un punto di riferimento per le persone che sono arrabbiate e preoccupate e vogliono partecipare a un processo di democratizzazione dell’Europa.

Così, nelle prossime settimane, ci sarà in scena il 9 febbraio un evento significativo, che si tiene lì per ovvie ragioni simboliche, per lanciare il manifesto e chiamare gli europei di tutti i 28 stati membri ad unirsi a noi in un movimento che ha una semplice ordine del giorno: o democratizzare l’Unione europea o abolirla. Perché se permettiamo alle attuali strutture e

istituzioni burocratiche e non democratiche di Bruxelles, Francoforte e Lussemburgo di continuare con le loro politiche a nostro nome, finiremo nella distopia che ho descritto prima.

Dopo quello del 9 febbraio Berlino, abbiamo in programma una serie di eventi in tutta Europa che daranno al nostro movimento lo slancio necessario. Noi non siamo una coalizione di partiti politici. L’idea è che chiunque può partecipare in modo indipendente, quale che sia la sua affiliazione partitica, politica o ideologica, perché la democrazia può essere un tema unificante. Anche i miei amici conservatori possono aderire, o liberali, che pensano che l’Unione europea non è solo insufficientemente democratica, ma, piuttosto, antidemocratica e, per questo motivo, economicamente incompetente.

Il lato positivo del modo in cui il nostro governo è stato schiacciato la scorsa estate è che milioni di europei sono stati messi in guardia per il modo in cui l’Europa procede in pratica, come possiamo farvi fronte? Il modello della politica in Europa, si è basato sui partiti politici nazionali. Così un partito politico cresce in un determinato paese, con un programma che fa appello ai cittadini di quel paese, poi una volta che il partito si trova al governo, si cerca di costruire alleanze con partiti simili in Europa, nel Parlamento Europeo, a Bruxelles e così via. Per quanto mi riguarda, questo modello di politica è finito. La sovranità dei parlamenti è stata dissolta dalla zona euro e dall’Eurogruppo; la capacità di adempiere il proprio mandato a livello di stato-nazione è stata sradicata, pertanto, ogni programma politico rivolto ai cittadini di un particolare Stato risulta vano. I mandati elettorali sono impossibile da esercitare.

Così, invece di andare dal livello dello stato-nazione a quello europeo, abbiamo pensato che si dovrebbe fare il contrario; che si debba costruire un movimento transfrontaliero paneuropeo, sostenendo il dialogo nello spazio europeo individuando politiche comuni per affrontare i problemi comuni e, una volta che abbiamo un consenso sulle comuni strategie a livello europeo, tale consenso potrà trovare espressione ai livelli dello Stato nazionale, regionale e comunale. Quindi stiamo invertendo il processo, iniziando a livello europeo per cercare di trovare il consenso per poi spostarsi verso il basso. Questo sarà il nostro modus operandi.

Per quanto riguarda il calendario, abbiamo suddiviso il prossimo decennio in diverse tappe perché abbiamo al massimo un decennio per cambiare l’Europa. Se falliamo di qui al 2025 non credo che ci sarà un’Unione europea da salvare o, addirittura, di cui parlare. Per quelli che vogliono sapere quello che vogliamo ora la risposta è: la trasparenza! Come minimo, chiediamo che il Consiglio dell’Unione europea, l’Ecofin e le riunioni dell’Eurogruppo dovrebbero essere livestreamed, i verbali della Banca centrale europea pubblicati e i documenti relativi ai negoziati commerciali come il Trattato Transatlantico di scambio e di partenariato per gli investimenti (TTIP) dovrebbero essere disponibili on-line. Nel breve e medio termine, discuteremo per la riassegnazione dei ruoli delle istituzioni europee esistenti, entro i (comunque terribili) trattati esistenti, al fine di stabilizzare le crisi in corso nei campi del debito pubblico, degli investimenti insufficienti, quello bancario e della povertà crescente. Infine nel medio-lungo termine, chiederemo un’Assemblea Costituente dei popoli d’Europa, abilitata a decidere su una futura Costituzione democratica che andrà a sostituire tutti i trattati europei esistenti.

D. Ci sembra di vivere in un tempo di speranza ma anche difficile. Vediamo la crescente popolarità dei partiti, come Podemos in Spagna, la sinistra in Portogallo, Jeremy Corbyn nel Regno Unito e così via, ma allo stesso tempo abbiamo l’esperienza di Syriza, brutalmente schiacciata dalla Troika. Quale speranza puoi dare a queste proteste popolari contro la politica di austerità, vista l’esperienza di Syriza?

R. Penso che l’ascesa di questi partiti e movimenti anti-austerità mostri chiaramente che i popoli europei, non solo in Spagna e Grecia, hanno avuto un impatto enorme sul vecchio modo di fare politica, sulle politiche che hanno riprodotto la crisi e hanno spinto l’Europa su un percorso che porta alla disintegrazione. Non vi è alcun dubbio su questo.

La domanda è: come possiamo sfruttare questo malcontento? Nel nostro caso in Grecia abbiamo fallito. Abbiamo un grande scollamento tra la leadership del partito e le persone che hanno votato per esso. Quindi questo è il motivo per cui credo che focalizzarsi sullo stato-nazione è fuori tempo massimo. Se Podemos entra nel governo, essi si troveranno nelle stesse condizioni estremamente vincolanti imposte dalla Troika —proprio come il nuovo governo in formazione in Portogallo. Se tali tali partiti progressisti saranno sostenuti da un movimento pan-europeo che eserciti una pressione progressiva ovunque e allo stesso tempo, finiranno per frustrare i loro elettori, costretti ad accettare tutte le regole che impediscono loro di soddisfare le loro promesse.

Questo è il motivo per cui ho messo la mia enfasi sulla costruzione di un movimento paneuropeo. È perché l’unico modo di cambiare l’Europa è quello di suscitare un’ondata che si erga in tutta Europa. In caso contrario, il voto di protesta che si manifesta in Grecia, Spagna, Regno Unito, Portogallo, se non è sincronizzato ovunque, finirà per dissiparsi, lasciando dietro di sé nient’altro che l’amarezza e l’insicurezza prodotta dalla frammentazione inarrestabile in Europa.

* Fonte: Red Pepper e Yanis Varoufakis 29 gennaio
** Traduzione a cura della Redazione di SOLLEVAZIONE

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