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Checco Zalone Liberista? No, un vero mascalzone! di Giuseppe Amini*

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[ 1 marzo ]
Ho partecipato per caso/curiosità alla riunione di redazione del sito di P101 cui appartengo ( a P101, non alla redazione). Tra le tante cose interessanti discusse e decise qualcuno propose la necessità di recensire l’ultimo film di Zalone “Quo Vado?” in quanto evento cultural-popolano del momento e per farlo bisognava che qualcuno andasse a vederlo. Tutti i miei colti compagni hanno cominciato a fischiettare guardando in alto, nessuno si è detto disponibile a sottoporsi a questa pratica, nemmeno per disciplina.
Contrariamente a loro, oltre che meno colto, sono di bocca buona, guardo di tutto e di più senza trarre da ciò nocumento o vantaggio. Non mi spiaceva vedere quel film, di Zalone mi era già capitato di vederne un precedente e mi sono addirittura divertito. Insomma, non so bene cosa me lo ha fatto fare, non so scrivere e farlo mi costa gran sacrificio, alla fine ho dato la mia disponibilità. Ho pensato che in fondo non avrei arrecato molto danno alla nostra causa anche se avessi scritto qualche cavolata!
Sono andato a vederlo, di lunedì, in multisala però la sala era vuota (eravamo in due). Devo dire che mi sono anche divertito, in fondo resto un’anima semplice e mi basta poco. Ci sono anche “stato attento” tutto compreso com’ero nel mio adempimento.
Uscito dalla sala sono subito andato a leggermi le recensioni di quelli bravi, di ogni orientamento, senza distinzioni. A parte quelli più mainstream, tutti quanti gli danno addosso ognuno per una intelligentissima ragione. Alcuni dicono che Zalone finalmente sostituisce “l’esausto cinepanettone italiano“, altri ancora che lui è l’erede di Benigni (finalmente qualcuno lo sta rottamando), quelli della “sinistra” (quale?) se la risolvono con una bella condanna: “è un filo-liberista“.
Diciamo che sono arrivato quando tutti, ma dico tutti, si erano già espressi, dicendo cose più o meno condivisibili. Aveva ancora senso fare una recensione del film? Forse proprio no.
Tuttavia mi sembrato interessante il suono del dibattito che ha generato, piccandomi di rilevare quella “stonatura” permanente a conclusione delle analisi che vengono proposte o meglio buttate lì, sul general generico. quindi alla fino mi sono risolto a fare un bel copia-incolla dal sito “Militant” del collettivo politico comunista, non so chi sia l’autore ma trovo che abbia fatto una buona sintesi, sicuramente non avrei fatto meglio:
Nel film Checco Zalone, un impiegato dell’ufficio provinciale caccia e pesca, vede la sua comoda esistenza di impiegato pubblico sconvolta dalla riforma che abolisce le province e deve decidere se accettare la buonuscita che gli viene proposta dal funzionario del ministero, oppure se rimanere attaccato al proprio posto fisso, come invece gli suggerisce di fare l’ex senatore del PRI (Lino Banfi) che proprio per quel posto lo aveva raccomandato. Determinato a non perdere l’agognato “posto fisso” Zalone sarà così trasferito per punizione da un capo all’altro del belpaese, finche non verrà spedito in una stazione di ricerca vicino al polo nord dove conoscerà, innamorandosene, una giovane ricercatrice impegnata a salvare l’ecosistema. Questo semplice pretesto narrativo permetterà al comico di interpretare una maschera che racchiude in sé tutti, o quasi, i vizi dell’italiano medio: lo scarso senso civico, l’egoismo, il maschilismo, il mammismo, il provincialismo, l’esterofilia, ecc. ecc. Fin qui nulla di nuovo sotto al sole, la commedia si è sempre nutrita di stereotipi, estremizzandoli e trasformandoli in tic sociali. E non c’è nulla di nuovo nemmeno (ahinoi) nella descrizione altrettanto macchiettistica del lavoratore pubblico che, tanto per cambiare, viene descritto come assenteista, nullafacente, corrotto, inutile, ecc. Ciò che invece colpisce è come a più riprese nel corso del film alcune conquiste del mondo del lavoro vengano raccontate tra lazzi e risa come dei privilegi, come il retaggio di un Italia anacronistica che infatti viene contrapposta alla “modernità” della giovane ricercatrice impegnata a far rinsavire Zalone dalla fissazione per i “lacci e lacciuoli” del posto fisso. La malattia retribuita? Privilegi. Le ferie pagate? Privilegi. La tredicesima? Privilegi. La pensione? Privilegi Gli assegni familiari? Privilegi. E quando alla fine Zalone firma le dimissioni tutti tirano un sospiro di sollievo provando un senso di liberazione...
Fin qui abbiamo capito grosso modo il film, adesso però c’è anche il giudizio finale:
attraverso Zalone si articola un’operazione politico-culturale di massa che veicola messaggi politici attraverso i canali dell’intrattenimento. Un pò come le trasmissioni di Maria De Filippi et similia. Solo che mentre Maria De Filippi è immediatamente relegata nell’ambito del sottoculturale, Zalone si è ammantato di rispettabilità, di dignità culturale, sdoganato a destra quanto a sinistra, così da divenire senso comune e quindi pensiero comune.
…. Quello che però abbiamo trovato davvero insopportabile, e su cui vale la pena spendere due parole, è invece l’humus ideologico a cui la pellicola attinge e che fa di “Quo vado?” un film oggettivamente neoliberista, prima ancora che di destra, e che ben si sposa con la filosofia del Jobs Act e di tutte le altre (contro)riforme del lavoro di questi ultimi decenni…
Fantastico! Ottima sintesi e si può anche condividere, quello che agli occhi di tutti i sinceri antiliberisti appare evidente e che viene apertamente denunciato dall’autore del testo è il fatto che nel film vale come esplicita l’equazione: pubblico=spreco-corruzionediritti sociali=privilegi appannaggio dei furbetti.
Questo però, aggiungo io, lo sanno anche i fermenti lattici e quindi non è semplicemente “il sintomo di una sconfitta culturale profondissima con cui siamo chiamati a fare i conti se vogliamo, prima o poi, ambire ad essere maggioritari”. Ciò che mi ha letteralmente agghiacciato nell’”operazione culturale” è l’esplicito intento di delegittimare totalmente la nostra repubblica e i suoi principi costituzionali.
Tutto il film è ampiamente pervaso da un motivetto cantato dallo stesso Checco Zalone, probabilmente anche con la collaborazione dello stesso Celentano a cui il motivetto si richiama musicalmente, esso rappresenta il filo-logico e ideologico del film, non c’è bisogno di andare a spaccare il capello in quattro per capirlo, il messaggio è chiarissimo: “La prima Repubblica non si scorda mai“.
L’Italia e gli italiani sono messi male, anzi malissimo, e la colpa di tutto ciò deriva dalla 1 ª Repubblica!! Chi può essere ancora così coglione da voler mantenere la Costituzione della 1ª Repubblica fatta di privilegi e corruzione? Soltanto le brutte persone, politici corrotti, approfittatori, sostenitori della casta, nullafacenti omofobi e qualunquisti, in una parola persone da 1ª Repubblica!
Al contrario, i “progressisti“, quelli buoni, votati all’ambientalismo, flessibili (pardon, meritocratici!), civili, culturalmente aperti disinibiti, antimafiosi e “cittadini del mondo”, loro sì vogliono cambiarla e fare le riforme. Checco Zalone fa propaganda a Renzi per la modifica della costituzione, altro che semplicemente un liberista, è un vero e proprio mascalzone!

2 pensieri su “Checco Zalone Liberista? No, un vero mascalzone! di Giuseppe Amini*”

  1. Alberto dice:

    Caro Giuseppe,c'è un altro Azalone, quello vero almeno nel cognome, che fa ancora più danni su La7.Scrive i testi per Crozza, cioè la satira di sistema, quella che va bene ai piddini.La morale qual'è? Che ogni Paese ha i comici che si merita? O forse che vengono filtrati in base alla loro abilità di gatekeepers? Se così fosse il caso più inquietante è quello di Beppe Grillo. Speriamo che non diventi "riso amaro", nuova forma di neorealismo.

  2. Tonguessy dice:

    Mi sa che il commento dell'autorevole sito è andato oltre le intenzioni del Cozzalone. Fare la fotografia impietosa del destro dei Tartari che ci circonda non significa necessariamente condividerne fini e mezzi. Sennò anche le foto di guerra di Capra diventano un inno al militarismo. D'accordo, il Cozzalone gioca sporco, usando tutti i luoghi comuni che vanno per la maggiore (e che non ripeterò). Ma mica li ha inventati lui. Se un bel giorno Massimo Fini ha scritto sul sito di Grillo che i dipendenti pubblici sono una disgrazia, sostenendo la parte di "chi vuole mantenere lo status quo, da tutti coloro che hanno attraversato la crisi iniziata dal 2008 più o meno indenni, mantenendo lo stesso potere d'acquisto, da una gran parte di dipendenti statali, da chi ha una pensione superiore ai 5000 euro lordi mensili, dagli evasori…"Statali ed evasori assieme, il blocco salariale che ha ridotto del 15% il potere d'acquisto (fonte Istat) assolutamente ignorato e via dicendo. Ma non basta: "Ogni mese lo Stato deve pagare 19 milioni di pensioni e 4 milioni di stipendi pubblici. Questo peso è insostenibile, è un dato di fatto, lo status quo è insostenibile"http://www.beppegrillo.it/2013/02/gli_italiani_non_votano_mai_a_caso.htmlOra, pur mettendomi in estremo imbarazzo la comicità del Cozzalone (ma è una mia tara, lo ammetto: il pressapochismo totale mi disorienta già dai tempi di Stanlio e Ollio) vorrei che si separasse la crusca dal seme. Se c'è il jobs act non è certo colpa dei comici. E se un comico usa il dramma del jobs act per strappare un sorriso, beh sta solo facendo il suo mestiere. Chi non fa il proprio mestiere è chi siede in Parlamento e fa del vilipendio alla Costituzione (quella che garantisce casa, lavoro e dignità a tutti) il proprio vessillo. Perchè nonostante l'art.1 qui il popolo non fa che subire, invece che decidere. La storia quando si ripete passa da tragedia a farsa. E con le farse i comici ci intrattengono, facendoci ridere.

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