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LO SPACCIATORE DI FRANCOFORTE (la droga di Draghi, ovvero il Quantitative Easing 2 della Bce) di Leonardo Mazzei

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[ 12 marzo ]

La droga finanziaria del Quantitative easing (Qe) non funziona, ma dà dipendenza. E siccome uscirne è maledettamente difficile, aumentarne la dose è la tipica risposta di chi non sa più a quale santo votarsi. Questa, in breve, la dinamica che ha portato alle decisioni della Bce, annunciate ieri da Draghi.

Per gli apologeti di casa nostra costui è di nuovo “SuperMario”, una specie di super-eroe dotato di poteri speciali, se non addirittura risolutivi. Ora, che i poteri della Banca Centrale Europea siano davvero rilevanti è ovviamente fuori dubbio; che possano essere risolutivi dell’infinita crisi economica che tormenta l’Eurozona dal 2008 ci pare quantomeno dubbio. Di certo le scelte fin qui adottate, ed in particolare il Qe, hanno finora mancato clamorosamente gli obiettivi prefissati: riportare l’inflazione attorno al 2%, innescare una crescita economica degna di questo nome.

La cosa è così palese, che è proprio il fallimento su entrambi questi due versanti —evidentemente in stretta correlazione tra di loro— ad aver motivato il rafforzamento del Quantitative easing. Un rafforzamento superiore alle previsioni proprio in conseguenza della presa d’atto di una situazione economica estremamente grave.

Che quella di Francoforte sia stata, nella sostanza, una scelta obbligata, ce lo ha detto, papale papale, proprio un’affermazione di Draghi

«Immaginate se non avessimo fatto niente, avessimo incrociato le braccia dicendo “nein zu allem”, no a tutto. Oggi ci ritroveremmo con una disastrosa deflazione». 

Molti hanno notato come l’uso della lingua tedesca non possa certo essere stato casuale, tanto per ricordare il presente stato di disunione europea. Il problema è però un altro. Ed è che la «disastrosa deflazione» è tuttora in corso, nonostante il Qe.

Quando il Quantitative easing fu ufficialmente annunciato nel gennaio 2015 l’inflazione dell’Eurozona era al -0,6%. Si disse allora che sarebbe risalita all’1,5% quest’anno, all’1,8% il prossimo. Siamo invece attualmente al -0,2%, e già sarebbe considerato un risultato il ritorno nei prossimi mesi in territorio positivo. In quanto alla crescita, la frenata in corso è evidente. Ma la cosa curiosa è che il picco della ripresina 2015 —quella che Renzi vorrebbe venderci come la sua “ripresona”, peccato sia fatta solo di decimali per giunta tendenti a zero— si è avuto proprio nel primo trimestre dello scorso anno, cioè quando il Qe non era ancora partito…

Capito che successo l’operazione del Draghi!? Naturalmente, in un certo senso ha ragione lui quando dice che le cose sarebbero andate anche peggio senza il Qe, che se non altro è servito a tenere bassi gli interessi sul debito pubblico, con conseguenze assai rilevanti per l’Italia (ce ne siamo occupati QUI). Resta il fatto che gli obiettivi di fondo sono stati mancati, che la prima revisione del dicembre scorso (allungamento del Qe fino a marzo 2017) non è servita niente, che è tutto da dimostrare che quella annunciata ieri possa riuscire dove finora si è fallito.

Ad oggi i fatti hanno confermato quanto scrivemmo a caldo nel gennaio 2015:

«Crescita o bolla? Prevedibilmente, la “seconda che hai detto”. Tutto lascia pensare che le decisioni della Bce avranno ben poco effetto sull’economia reale. D’altronde, l’opinione di molti economisti è che le bolle speculative siano assolutamente necessarie. Nelle parole di Larry Summers, che fu anche ministro di Clinton, si tratta sì di una droga, ma di una droga assolutamente necessaria. Senza di essa il sistema si inceppa. E proprio parafrasando un noto slogan clintoniano, potremmo dire che “è il capitalismo-casinò, bellezza!”.»

Adesso, però, molti scrivono che le decisioni annunciate ieri rappresentano una svolta: non più solo soldi che vanno ad alimentare il circuito finanziario, bensì un insieme di provvedimenti volti a rilanciare l’economia reale, anche “costringendo” le banche a riaprire i rubinetti arrugginiti del credito.

E’ davvero così? C’è da dubitarne assai.
Per provare a capirlo è certamente utile ricapitolare le nuove misure adottate. Vediamole:

1. Gli acquisti di bond (non più solo titoli di stato, ma anche bond aziendali con rating elevato) saliranno dal mese di aprile ad 80 miliardi mensili, contro i 60 attuali.2. Calano i tassi praticati dalla Bce alle banche. Quello principale, che fornisce il grosso della liquidità al sistema, scenderà dallo 0,05% allo zero, mentre il tasso sui depositi delle banche presso la Bce passerà dal -0,30 al -0,40%.3. Vengono lanciati quattro maxi-finanziamenti a lungo termine alle banche (Tltro, l’acronimo inglese dell’operazione) della durata di quattro anni, con tassi a scendere dallo zero al -0,40% per chi sarà più virtuoso nel fare credito ad aziende e famiglie.

Per semplicità abbiamo finora parlato solo di Quantitative easing, ma dei tre punti elencati solo uno (il primo) attiene veramente al Qe, mentre gli altri due fanno parte delle normali munizioni di una banca centrale. Tuttavia le tre misure sono altrettanti tasselli di un unico piano, ed insieme vanno considerate.

La tesi originaria, secondo cui le scelte di Draghi avrebbero spinto la ripresa, e dunque i consumi e l’inflazione, era piuttosto elementare: siccome le banche si sarebbero liberate di una parte significativa di titoli del debito pubblico, vendendoli alla Bce, le stesse avrebbero avuto più liquidità da destinare al credito, favorendo in questo modo sia gli investimenti che i consumi. Una tesi semplice che ha mostrato un unico difetto, quello di non funzionare.

La “cinghia di trasmissione” immaginata allora, che dal sistema bancario sarebbe dovuta arrivare alla cosiddetta “economia reale”, ha fatto clamorosamente flop. Perché le nuove misure dovrebbero invece funzionare?

Perché, dicono i fans di “SuperMario”, la Bce spinge sempre più le banche a fare credito, sia dandogli liquidità a buon mercato (addirittura a tassi negativi!), sia scoraggiando i depositi della liquidità inutilizzata. In più, l’acquisto di bond societari (corporate bond) migliorerà i bilanci e la gestione del debito delle grandi aziende.

Davvero siamo di fronte ad una svolta così grande? A me non sembra proprio.
Intendiamoci, l’armamentario utilizzato è davvero imponente. Esso servirà a mantenere ai minimi storici i tassi del debito pubblico e più ancora a puntellare, per l’ennesima volta, un sistema bancario sull’orlo dell’abisso. In quanto agli effetti sull’economia reale sarà bene non aspettarsi granché.

La liquidità a buon mercato, in operazioni a lungo termine, le banche l’hanno già avuta per tre anni a partire dall’inverno 2011-2012. Dal punto di vista della crescita l’effetto fu pari a zero. Anzi, in quegli anni alcuni paesi —come l’Italia— vissero la più lunga recessione della loro storia. Non ci raccontino dunque favole: il Tltro aiuterà sì le banche, ma ben pochi di quei soldi andranno ad alimentare il credito. Anche perché è la domanda di credito ad essere scarsa. Le famiglie si dividono tra quelle che non possono permettersi consumi ed investimenti e quelle che potrebbero permetterseli, ma che —vista la situazione generale— preferiscono prudentemente il risparmio. In quanto alle aziende, il dato particolarmente basso degli investimenti dipende solo in minima parte dalle difficoltà ad ottenere credito.

La manovra sui tassi ha sì un valore simbolico, l’azzeramento del refinancing rate, il tasso di riferimento principale, ma cosa volete che cambi il passaggio da uno 0,05% (zerovirgolazerozerocinque) ad uno zero tondo tondo? Possono 5 centesimi di punto fare la differenza? Ai posteri la non difficile sentenza. Lo stesso discorso vale per il tasso negativo sui depositi presso la Bce. D’accordo, si scenderà al -0,40, ma chi avrebbe mai immaginato di arrivare al -0,30 attuale? La verità è che fino a qualche tempo fa nessuno avrebbe creduto ai tassi negativi. Ebbene, miracoli della crisi, essi sono arrivati ormai da un bel po’, ma senza produrre quella scossa che un tempo tutti avrebbero immaginato.

In quanto all’acquisto dei bond societari l’effetto sarà davvero minimo. Se ne potranno avvalere solo le grandi aziende, e solo quelle con rating elevato, quelle con titoli classificati investment grade. I criteri di acquisto non sono stati ancora esplicitati, ma guardando ad esempio alla situazione italiana, possiamo già dire che saranno ben poche le aziende rientranti nella suddetta categoria.

Ma quali sono allora gli obiettivi dell’operazione di Draghi? In parte lo abbiamo già detto. In ballo ci sono le banche, e non solo quelle italiane. Ma c’è un obiettivo più generale che dobbiamo cogliere, ed è quello di sempre: prendere tempo in attesa di tempi migliori.

Abbiamo iniziato con la metafora della droga, ed il succo è tutto lì. Ad otto anni dall’inizio della crisi le élite europee non hanno la più pallida idea di come uscirne. Nel frattempo la crisi del progetto unionista si è fatta politica prima ancora che economica. Dunque primum vivere, questo è l’imperativo che muove Draghi.

Vivere, anzi vivacchiare, in attesa di che cosa? Ma è chiaro, della mitica ripresa. Così fa Juncker, così fanno Renzi, Merkel ed Hollande, così fanno un po’ tutti in Eurolandia. E così fa Draghi. Anzi, essendo quest’ultimo il più intelligente tra i compagni di merende della combriccola eurista, o quantomeno quello più “informato dei fatti”, presumo che sia anche quello che meno crede alla favola della ripresa. Ma, ciononostante, non può far nulla di diverso da quel che sta facendo.

Faccio un esempio. Tutti sanno che per uscire dalla situazione attuale —dalla quale comunque non si verrà fuori se non distruggendo la gabbia dell’euro— sarebbe necessaria quantomeno una ripresa degli investimenti. Ora, siccome quelli privati non li possiamo imporre per legge, la misura più efficace sarebbe quella di elaborare e realizzare un grande piano di investimenti pubblici. Solo così l’occupazione tornerebbe a crescere, come pure i consumi. Dunque, perché non destinare le ingenti risorse del Qe a finanziare (monetizzando il relativo debito degli Stati) un simile piano? Non sarebbe meglio stimolare in questo modo l’economia (fra l’altro realizzando interventi necessari dal punto di vista sociale ed ambientale) piuttosto che illudersi su una “cinghia di trasmissione” che palesemente non trasmette alcunché?

Qualunque persona dotata di buon senso risponderebbe di sì. C’è però un problemino: le regole su cui è stata edificata l’Unione Europea non lo consentono. In quel caso, insieme alla messa in discussione delle norme di bilancio (fiscal compact, eccetera), avremmo infatti la cosiddetta “mutualizzazione del debito”: dal punto di vista delle oligarchie dominanti a Bruxelles non un semplice errore, ma un vero e proprio peccato.

Un peccato che a Berlino —dove già protestano per le decisioni della Bce perché ritenute troppo favorevoli ai paesi del sud dell’Unione— non potrebbero mai accettare.

Eccoci dunque tornati al punto di partenza. Si può a lungo disquisire su questa o quella mossa di Draghi, ma senza mai dimenticarsi all’interno di quali vincoli (non solo statutari) egli può agire. In realtà SuperMario non esiste. Draghi fa quello che può fare. Da sola una Banca centrale più di tanto non può fare, questo ce lo ricordano in molti. In generale è così, ma c’è un’altra cosa che va ricordata, e che costoro non sfiorano neanche di striscio, ed è che la Bce non è come la Banca centrale di un paese sovrano. Le sue regole, il dover gestire una moneta assurda come l’euro, il non avere alle spalle uno Stato in grado di dettarne una linea univoca, fanno della Bce un mostro assai particolare. Un mostro con ampi poteri, beninteso, ma ben poca capacità di incidere sul serio per provare ad uscire dalla crisi.

SuperMario non esiste, e la seconda revisione del Qe non potrà dare altri risultati se non quello —che per le oligarchie è però quel che conta— di prendere ancora tempo. Il grande spacciatore di Francoforte ha solo aumentato la dose di una droga dagli effimeri effetti euforizzanti. Tra non molto, vedrete, gli espertoni torneranno a parlare dei limiti dell’azione della Bce. Nel frattempo la crisi continuerà la sua azione disgregatrice dell’edificio europeo, e Mario Draghi dovrà inventarsi qualche altra trovata. Fino a quando potrà durare tutto ciò?

3 pensieri su “LO SPACCIATORE DI FRANCOFORTE (la droga di Draghi, ovvero il Quantitative Easing 2 della Bce) di Leonardo Mazzei”

  1. Marco Giannini dice:

    Ottimo Mazzei.

  2. Fiorenzo Fraioli dice:

    "La seconda revisione del Qe non potrà dare altri risultati se non quello – che per le oligarchie è però quel che conta — di prendere ancora tempo"Non è solo un prender tempo fine a sé stesso, nel frattempo continuerà il lavoro di demolizione di ogni spazio pubblico."Fino a quando potrà durare tutto ciò?"E'la stessa domanda che si faceva il giornalone "Repubblica" alla fine degli anni '80, quando i governi facevano deficit fino a 160.000 miliardi di lire. All'epoca era circa il 10% del PIL: "fino a quando potrà durare tutto ciò?" Risposta: durerà fino a quando la "coalizione degli interessi contrari" non sarà capace di organizzarsi!Stampare moneta per finanziare la spesa dello Stato, o le banche, ha effetti simmetrici sulla distribuzione del reddito, ma entrambe le cose si possono fare ad libitum, salvo, appunto, la reazione della coalizione degli interessi contrari, in quanto danneggiati.Si potrà obiettare che, in questo caso, si deve tener conto dei mugugni della Germania che non vuole mutualizzare il debito. Ma davvero? E se fosse null'altro che un modo per alzare il prezzo?

  3. Anonimo dice:

    Scusate, io sono un povero ignorantee non capisco nulla di economia ma qui e altrovealimentate l'intima speranza di noi emarginatidicendoci che il gioco non potrà durare in eternoe presto o tardi tutto crollerà.Si ma tra quanto? E se questi della BCEvanno avanti a QE fino al 3500 dopo cristo?C'è qualcuno che può rispondermi?

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