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CAPITALISMO CASINÒ E NUOVE DIVISIONI DI CLASSE: LA SOLLEVAZIONE POPOLARE POSSIBILE di Moreno Pasquinelli

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[ 27 aprile ]

Sì, stiamo giungendo al finale di partita, quello che deciderà il futuro del nostro Paese. L’economia mondiale boccheggia, l’Unione europea traballa, in Italia il governo Renzi è appeso al filo di un’improbabile vera “ripresa economica”. In questo quadro è alle porte un evento politico che potrebbe fungere da spartiacque: il referendum costituzionale di ottobre. 

Renzi si gioca tutto, o quasi. Tutti i poteri oligarchici, stranieri e nostrani, saranno dalla sua parte. Vincerli nelle urne è difficile, ma non impossibile. Ove Renzi venisse battuto cosa accadrà? La crisi politica e istituzionale precipiterebbe, con conseguenze sull’economia: fuga dei capitali, crollo delle banche, nuovo shock degli spread sui debiti pubblici…. Si aprirebbe una fase nuova di turbolenze. Possono i dominanti permettersi di andare alle urne col rischio di una sconfitta del Pd renziano? O agiranno sulle leve disfattiste del caos e della paura per portare in Italia la troika? In questo contesto reggerà la pace sociale, o si aprirà una fase di acuta conflittualità sociale? Ci sarà la sollevazione popolare? E se sì, che forme e pieghe prenderà? E che ruolo giocheranno le diverse forze politiche? Di sicuro non si esce dal marasma senza svolte radicali.
A noi pare che questa sia la madre di tutte le discussioni. Ho scritto, giorni addietro sulla RIVOLUZIONE DEMOCRATICA.
Per spiegare come la penso mi pare il caso segnalare ai lettori alcuni passaggi di quanto scrissi anni addietro. Anzitutto sulle forme che potrebbe prendere l’auspicata sollevazione, segnatamente: Il loro piano e quello nostro.
Infine l’ultima parte di un breve saggio dal titolo: LA DIAGONALE DEL DEBITO (QUALI SONO OGGI LE FORZE ANTAGONISTE?) che si sofferma sulle caratteristiche e la natura della società odierna, come la finanziarizzazione connoti la struttura e la sovrastruttura sociali, come queste connotino i conflitti sociali.

M.P.
Non immaginatevi una sollevazione fulminea e risolutiva
24 ottobre 2013

«Chi gestirebbe questo economicidio? Un nuovo governo di “larghe intese” è escluso, com’è eslcuso che il Pd, coi suoi ammennicoli possa farlo. Qui l’inquietante prospettiva del “podestà forestiero”, non a caso adombrata dal Gaulaiter Mario Monti nell’agosto 2011. L’Italia, che è già paese ad amministrazione controllata, verrebbe a quel punto governato da un direttorio emanazione della troika.
La minaccia di un nuovo crollo finanziario globale, come fu quello del 2008, che molti analisti ritengono probabile dopo anni di sbronza monetaria e di bolla dei valori borsistici, renderebbe cogente questa drammatica eventualità.

Il “piano” opposto non potrebbe essere che una sollevazione popolare. Che questa possa sopraggiungere prima, come noi ci auguriamo, è possibile ma altamente improbabile. E’ molto probabile invece che lo shock colpisca il paese tra capo e collo, che avremo solo a quel punto, oramai precipitati nell’abisso, una sollevazione generale.

Non immaginatevi una sollevazione fulminea e risolutiva. Il paese entrerà in un periodo di acutissime convulsioni sociali e politiche, la sollevazione procederà per fiammate, non seguirà una linea retta ascendente. Occorre rassegnarsi ad una sinfonia caotica e sconnessa, poiché mancano sia lo spartito che una direzione d’orchestra. Detto altrimenti avremo un conflitto coriandolare, policentrico, poiché, mentre la borghesia italiota è oramai una classe parassitaria e al tramonto, non abbiamo nemmeno, perché oramai spappolato, imborghesito, eviscerato, un proletariato che possa candidarsi a ruolo guida di un blocco sociale in grado di sovvertire l’ordine delle cose e prendere in mano le redini del paese.

E’ dentro questo marasma disordinato che le forze democratiche e sovraniste saranno chiamate e portare ordine e introdurre senso. Un blocco sociale e politico antagonista prenderà forma nel mezzo dello sconquasso. L’egemonia l’avrà chi saprà gettarsi nel conflitto trasformando la disperazione in rabbia consapevole; di chi saprà fare, di coloro a cui è stato tolto tutto, la forza motrice di un blocco ampio con i molti che vorranno difendere il poco che gli resta; di chi, portatore di un’idea nuova di società, saprà indicare la via e i mezzi per aprirgli una strada.

Se, su questo d’accordo col Della Loggia, ho ragione nel sostenere che da questa crisi si esce solo con soluzioni radicali; se sono nel giusto nel ritenere che la borghesia italiana non ha né la volontà né la forza per rompere la gabbia eurista e liberista; se, come ritengo, per questo abdicherà e accetterà di fare del Paese una semi-colonia; se, come penso, la forza motrice della sollevazione saranno i settori sociali dilaniati dalla crisi sistemica; non solo lo scontro si farà durissimo, ma la società subirà un processo di polarizzazione sociale, politica e ideologica violento che divaricherà lo stesso campo delle forze sovraniste. 


Con buona pace degli azzeccabarbugli che dai loggioni strillano lo stesso mantra del pensieero unico mainstraeam, quello della “morte delle ideologie” e della “fine della dicotomia tra destra e sinistra”».


Sulle nuove divisioni di classe nel capitalismo casinò

Da: LA DIAGONALE DEL DEBITO (QUALI SONO OGGI LE FORZE ANTAGONISTE?) 

23 agosto 2015
«Questi sono solo alcuni macroscopici dati empirici che fotografano una situazione sociale che ogni giorno diventa più drammatica per ampie fasce della popolazione. Non tutte tuttavia. E qui sta il punto.
Non voglio sfuggire alla domanda che un lettore, andando al sodo, mi ha posto: «Analisi corretta ma conclusione deludente. A che livello di impoverimento dobbiamo arrivare, noi povere masse, prima di sollevarci»? 

Due premesse sono necessarie.

La sollevazione non è, di per sé, una rivoluzione, poiché per rivoluzione, intendiamo un mutamento voluto della struttura sociale e politica. La qual cosa implica un’adesione di ampie masse ad un progetto alternativo di società, e quindi una partecipazione consapevole al processo di trasformazione sociale. Per sollevazione intendiamo un moto di ribellione popolare, una rivolta generale che, pur non avendo un fine prestabilito, almeno rovescia chi sta in alto e punta a demolire il vecchio ordinamento politico sociale. Non hai una rivoluzione se non passi prima per la porta stretta della sollevazione popolare.
La seconda premessa è questa. Siamo d’accordo o no che la tendenza è alla pauperizzazione del popolo lavoratore? Siamo d’accordo o no che questa tendenza, oltre ad essere il risultato necessitato della crisi storico-sistemica, è anche la terapia cercata dalle oligarchie tecno-finanziarie nostrane? Se non concordiamo sul fatto che questa è la tendenza obiettiva, ogni discorso girerebbe a vuoto e, come minimo, non si può afferrare il succo di quanto diciamo.

A che livello di pauperizzazione occorre arrivare affinché ci sia la sollevazione? Non è possibile dare una risposta irrefutabile a questa domanda. Date alcune condizioni, se porto l’acqua a cento gradi, so con certezza che bollirà e, avendo note la quantità di liquido e la potenza del calore, posso addirittura stabilire il momento in cui inizierà a bollire. Le dinamiche sociali sono un po’ più complesse di quelle del mondo fisico. Tutta l’importanza di individuare la tendenza (alla catastrofe sociale) sta nel fatto che si può agire in modo rivoluzionario per contrastarla, aiutando le masse a costruire la fuoriuscita da questo sistema.  Vi sono, tuttavia, altri soggetti che agiscono in senso contrario, per agevolare la stessa tendenza e volgerla ai loro fini, tra questi tutti gli apparati oligarchici, statuali e politici della classe dominante. Noi riteniamo, come del resto insegna il caso fresco fresco della Grecia, che la sollevazione popolare non solo è possibile ma altamente probabile. Diventerà meno probabile se in tempi ragionevolmente brevi non daremo vita e forma ad un fronte della sollevazione popolare.

Per stare al punto: contrariamente alla favoletta di Occupy Wall Street, non sarà affatto il 99% a sollevarsi. Non tutte la fasce della popolazione avranno interesse a ribellarsi. Compito dei rivoluzionari è capire quali saranno le fasce che si mobiliteranno e quelle che agiranno da freno, se non addirittura come avversarie. Per questo occorre mettere bene a fuoco come tre decenni di capitalismo casinò hanno modellato la struttura di classe della società.

Un altro lettore mi diceva:«Considerare le classi sociali in base al loro ruolo nel sistema di produzione è un modo di vedere datato che va superato. Le classi sociali si distinguono in base al loro senso di appartenenza non alla quantità o tipo di reddito».


Appunto. Come chi ci segue sa bene, noi siamo molto lontani da certi marxisti (economicisti) per i quali è sufficiente, per riconoscere una classe, il posto che questa occupa nella struttura economica della società, la cosiddetta classe in sé. Sono gli stessi, questi economicisti, che per spiegare come mai il proletariato abbia come destino quello di portarci al comunismo, ricorrono ad una metafisica del soggetto, per cui il proletariato assolverà la sua missione a dispetto della sua coscienza. È evidente che non è così, che una classe non è tale se non ha consapevolezza dei suoi propri interessi. Come un essere umano, che se non ha coscienza di esserlo, ovvero un essere storico-sociale, è solo un mero organismo biologico.

Pur tuttavia, per stare alla metafora, non è che un medico, posto davanti ad un uomo malato che tra l’altro sia convinto di essere una gatto e si comporti come tale, sia autorizzato a curarlo come fosse un felino. La fisologia ha la sua indiscutibile importanza.

Il punto di partenza per capire la società è svelare la sua fisiologia. Una fisiologia, quella della società capitalistica, che è dinamica, mutante. La struttura sociale dei paesi imperialisti già da tempo non era più quella dell’Inghilterra che Marx aveva sotto gli occhi. Il declino delle forze produttive non si ebbe, le classi intermedie erano aumentate invece di sparire, i settori di aristocrazia operaia che ricevevano un reddito ben superiore a quanto necessario per sopravvivere cresciuti a dismisura, al posto del pauperismo avemmo il fenomeno dell’imborghesimento.

Quel modello sociale keynesiano-fordista con welfare diffuso da tempo è in via di smantellamento. Esso è stato rimpiazzato da quello che noi preferiamo chiamare capitalismo casinò. [9] In molti altri articoli abbiamo spiegato quale sia la sua architettura formale: un sistema fondato sulla rendita finanziaria. Il vecchio sistema imperialista si basava sulla fusione, via banche, tra capitale finanziario e quello industriale. Ora il settore finanziario-bancario ha soggiogato quello industriale. A questo modello corrisponde una nuova fisiologia della società, una nuova composizione di classe. Prima di vedere come il capitalismo casinò ha mutato la società, trasformato le classi, plasmato la loro psicologia e rideterminato loro comportamenti collettivi, vogliamo spendere poche parole sulla sua sostanza.

Inceppatasi la lunga fase espansiva postbellica [10] il sistema capital-imperialista ha dovuto trovare una maniera per non soccombere alle sue proprie contraddizioni. Ha trovato questa maniera con una scoperta che rassomiglia all’Uovo di Colombo. Il profitto è sì la molla che muove la macchina del capitale, ma solo in quanto esso può trasformarsi in denaro, suprema e astratta forma della ricchezza. E dato che fare profitti ed estrarre plusvalore costa fatica, ecco che il capitale ha optato per la scorciatoia della pura speculazione, di fare e ammucchiare denaro attraverso il denaro — il denaro come tesoro che viene tesaurizzato fuggendo dal circuito della produzione reale e da quello della circolazione. Il capitale non ha inventato niente, la rendital’ha trovata accanto a sé bell’e fatta. Dopo averla guardata in cagnesco per secoli, dopo averla condannata come usura parassitaria, il capitale si è convertito ed essa, gli ha venduto l’anima.

Questo processo, prima di espandersi ad ogni latitudine, prese il via oltre Manica e oltre oeceano. Grazie ad un habitat favorevole e all’appoggio dei governi neoliberisti di Reagan e della Teatcher e delle banche centrali, il capitale, nella forma di denaro liquido si è avventato su tutto ciò che, capitatogli a tiro, poteva fruttare guadagno. Gli investimenti in capitale costante e variabile si sono spostati progressivamente sui titoli (rappresentazioni fantasmagoriche delle merci), fino al fenomeno diabolico delle cartolarizzazioni e dei derivati. Le borse sono diventate, ad iniziare da quelle di Wall Street e della City, i templi in cui la rendita tutto sacrificava in nome del Dio denaro. Veniva così nascendo (con l’ausilio della macchina info-telematica) la nuova casta sacerdotale tecnocratica, quella dei brockers e dei grandi manager bancari, preposta al culto del nuovo “dogma trinitario” [11]: denaro, credito, interesse. Nuovi mostri, i fondi finanziari, prendevano forma nel brodo primordiale della inforendita. Questo passaggio determinava un mutamento profondo del sistema, prendeva forma quello che ho definito metacapitalismo. [12] Alla tradizionale figura del capitalista operante che usava sì il denaro, che acquistava e vendeva merci, ma per ricavarne un plusvalore per mezzo del processo di produzione, si affiancava il “capitalista monetario parassita”, dedito a prestare denaro per ottenerne un interesse campando così di rendita, senza quindi entrare mai nel ciclo della produzione, volteggiando  nella sfera della circolazione monetaria per poi inquattarsi come tesoro depositato nei forzieri —di qui l’attuale trappola della liquidità: la montagna di denaro consegnata dalla banche centrali se ne sta ferma nei caveau della banche d’affari.

Il crollo della produzione industriale
italiana per singoli settori 


Soggiogati i governi, l’oligarchia rentierotteneva che i titoli di debito pubblico degli Stati diventassero prodotti finanziari e venissero gettati sui mercati. Una vera gallina dalla uova d’oro. Nasceva un sistema micidiale di rapina con cui spostare la ricchezza monetaria diffusa (risparmi) dalla tasche dei cittadini ai caveau delle banche, da certi settori ad altri, da certi Stati ad altri.


Ha tutto l’aspetto di una stregoneria quello per cui, nei mercati finanziari, il debito, diventato titolo negoziabile, ingrassa chi se lo passa di mano in mano, strozzando chi lo ha emesso e fregando chi se lo trova in mano per ultimo. La merce-debito, come aveva già segnalato Marx [13] non ha un valore di scambio, il suo prezzo dipende dall’irrazionale gioco della domanda e dell’offerta, dalle aspettative di rialzo —guadagno assicurato fino a quando le aspettative salgono, fino a quando tutto crolla a causa delle prime fughe. Un gigantesco sistema Ponzi. Morale: se da qualche parte qualcuno guadagna senza lavorare dev’esserci dall’altra qualcuno che lavora senza guadagnare. 

Con queste modificazioni della struttura economica è mutata tutta la sovrastruttura della società. Questo sistema ha infettato tutto il corpo sociale. Centinaia di milioni di cittadini, proletari compresi, sono finiti per invischiarvisi. Non parliamo solo di coloro che si sono messi a giocare in borsa, a comprare e vendere obbligazioni e azioni. Con le privatizzazioni dei sistemi pensionistici la stragrande maggioranza dei lavoratori si è trovata nella situazione per cui il valore della pensione attesa dipende ora dal buon andamento del suo fondo pensione, dalle scommesse di quest’ultimo nelle bische del capitalismo casinò. Avendo gettato sul mercato i titoli di debito pubblico nella stessa situazione si trova la massa sterminata di pensionati, il cui reddito è appeso, come l’impiccato alla corda,  alle performance dei mercati finanziari e degli spread, ovvero, anche in questo caso al rigore, alla macelleria sociale, alla capacità dello Stato di essere considerato solvibile da parte dei suoi strozzini creditori. Vi sono infine centinaia di milioni di cittadini che avendo affidato i loro risparmi (che altro non sono che rendite) alle banche, esigono che siano remunerativi di interesse, e per questo sono appesi alla abilità con cui la banca gioca d’azzardo i suoi quattrini sui mercati finanziari. [14]

E’ nato un popolo-rentier, una nuova forma tentacolare di consociativismo interclassista. È sorta di conseguenza una specifica coscienza sociale: la psicologia egoistica del creditore il quale esige che il debitore, chiunque esso sia, quali che siano le sue condizioni, onori il suo contratto di debito. Mors tua, vita mea. Non stupiamoci quindi se la maggioranza dei tedeschi sta con la Merkel, e nemmeno se tanti greci non vogliono abbandonare l’euro. Sono due facce della stessa medaglia. 

C’è quindi una linea trasversale che taglia in due l’intera società, la diagonale che divide i creditori dai debitori. Cadono, dall’una e dall’altra parte, interi pezzi di tutte le classi fondamentali. Una linea non immaginaria che spezza in due la stessa classe proletaria, anche su base anagrafica, tra la vecchia generazione che si attende che la sua rendita pensionistica non vada in fumo, e quella giovane e precaria, costretta a sgobbare affinché alla prima siano resi gli interessi.

Il diagramma qui accanto è solo un tentativo di visualizzare questa frattura sociale creditori-debitori, frattura che ci aiuta a spiegare i diversi atteggiamenti politici dei diversi strati sociali. La diagonale non è ovviamente una muraglia, e non cancella le tradizionali divisioni di classe. Ma le ridisegna e le ricolloca su un diverso piano.

Alain Greenspan un giorno affermò: «Un americano indebitato è un americano che non sciopera». Questo sarà forse vero in America. Non è vero qui. Qui è vero il contrario “un europeo creditore (che attende che gli siano devoluti rendita ed interessi) non sciopera” e, sotto sotto, fa parte di quella schiera di filistei che qui in Italia compongono la maggioranza silenziosa pro Monti. Lo dimostra la mappa delle proteste sociali che attraversano il Sud Europa non invece il Nord.

Qui da noi non si ribellerà il popolo-rentier. Si ribelleranno le giovani generazioni che nulla hanno da perdere e un futuro da guadagnare mandando a gambe all’aria il sistema immorale in cui viviamo. Esse saranno la leva che solleverà quella gran parte del corpo sociale sofferente, che trascinerà nel gorgo tutti i proletari veri, quelli che vino solo della vendita della loro forza-lavoro, che non hanno rendite e santi in paradiso, come pure tanti piccolo e medio borghesi che il capitalismo casinò ha gettato in disgrazia.

Una sollevazione che non prende ancora forma perché la crisi epocale del sistema di capitalismo casinò è solo agli inizi, perché troppo ampia è ancora la massa amorfa del popolo-rentier. Ma la tendenza alla catastrofe significa appunto questo: che il capitalismo casinò sta tirando le cuoia, che questa stessa massa, attraverso le politiche predatorie dei dominanti, subirà un inevitabile processo di pauperizzazione, spostandola sulla parte destra del diagramma. Sarà allora che per i dominanti si apriranno le porte dell’inferno».



Note

[9] Diversi sono i neologismi utilizzati per nominare il mostro: neoliberismo, turbo-capitalismo, finzanzcapitalism.
[10] Sulle cause della crisi del lungo ciclo espansivo postbellico abbiamo trattato in molti articoli. Segnaliamo solo questo: Alle origini del declino dell’Occidente
[11] Questa efficace analogia è di Massimo Amato e Luca Fantacci: Come salvare il mercato dal capitalismo. Donzelli Editore, Giugno 2012. testo utili da leggere, malgrado i nostri abbiano una strana idea del denaro, che non considerano merce e se la prendano dunque, non col denaro e il suo essere rappresentante astratto e simbolo della ricchezza, ma con la “liquidità”.
[12] «Il capitale esiste come capitale, nel movimento reale, non nel processo di circolazione, ma soltanto nel processo di produzione, nel processo di sfruttamento della forza-lavoro». K. Marx, Il capitale. Volume III. Quinta sezione. Il capitale produttivo d’interesse. p.13
[13] K. Marx Ibidem. p. 28
[14] Un esempio lampante di come gli stessi operai fossero stati afferrati dal meccanismo della speculazione si ebbe negli Stati Uniti. Eravamo negli anni ’80, gli anni della profonda crisi del polo automobilistico di Detroit. Gli operai della GM entrarono in sciopero contro i licenziamenti e chiesero la solidarietà di quelli della Ford, ma non la ottennero. Questi ultimi avevano devoluto i loro risparmi ad un Fondo che a sua volta aveva investito in azioni della GM. Azioni il cui valore stava risalendo in borsa proprio a causa dell’attivazione da parte della GM del piano di licenziamento.

8 pensieri su “CAPITALISMO CASINÒ E NUOVE DIVISIONI DI CLASSE: LA SOLLEVAZIONE POPOLARE POSSIBILE di Moreno Pasquinelli”

  1. Anonimo dice:

    E l'Eurogendforce che ci starebbe a fare?Altro che "fatti d'Ungheria" si verificherebbero!Il fatto è che la Gente ha paura, e giustamente. Chi cavalca la tigre non può scendere, questo lo sa benissimo chi "governa" (meglio dire "chi comanda"). Abbiamo sperimentato la "strategia del terrore"; se ne ricordano bene tutti. Cinquant'anni di "dominazione" non sono passati per niente … La traccia indelebile è "la paura".

  2. Anonimo dice:

    Da come conosco i veneti credo che la sollevazione nonverrà dal nord: "semo ancora siori, mejo star boni e chieti".Credo che la sollevazione potrebbe arrivare dal sudgià ampiamente depauperato. A quel punto il paesepotrebbe dividersi in due o tre entità statali come profetizzava il MIglio.

  3. Giovanni dice:

    Intanto il bomba ripromette 2,5 miliardi alla ricerca per festeggiare il primo maggio. Sempre che arrivino (e io spero proprio di no) saranno gestiti nel solito modo. I cooptandi, un'altra categoria dello "star boni e cheti", staranno già sbavando.

  4. Anonimo dice:

    C'è una denuncia in corso per iniziativa dell'avvocato Marco Mori e che concerne una imputazione penale per usurpazione di incarichi politici da parte di chi è stato illegalmente eletto con il "porcellum" o nominato arbitrariamente senza tener conto della prassi democratica. MI piacerebbe che codesta Redazione esprimesse qualche commento competente sulla grave irregolarità che vede persone aventi importanti incarichi di governo senza averne diritto (usurpazione). Personalmente sono dell'opinione che la situazione, gravissima dal punto di vista politico, potrebbe configurare il reato di "colpo di Stato".(vedasi ALTRA INFORMAZIONE a cura di Alfredo Ecclesia)

  5. Anonimo dice:

    Volevo riproporre la questione.Cosa è la famosa CREDIBILITA' INTERNAZIONALE?So che con quella un paese ottiene più facilmente prestiti dal sistema finanziario.Pero' ancora non capisco:1) cosa sia2) come si ottenga 3) nel caso uscissimo dall'euro o si facessero altre cose non simpatiche al sistema finanziario (non simpatiche come l'uscita dalla moneta unica) ciò comporterebbe ritorsioni (chiamate "perdita di credibilita'") Come si farebbe fronte? Con un eccesso di emissione di moneta che dà inflazione?…lo chiedo a voi e al professor Pasquinetti

  6. Redazione SollevAzione dice:

    all'ultimo anonimo,ti rispondiamo prima possibile.

  7. Redazione SollevAzione dice:

    All'anonimo 27 aprile 2016 17:08 Sostanzialmente d'accordo. Abbiamo sostenuto l'iniziativa dell'amico Marco Mori, ben sapendo che sarebbe stato altamente improbabile che qualche Procura avrebbe sostenuto la denuncia.All'anonimo 28 aprile 2016 02:11 la questione che poni implicherebbe una lunga spiegazione. Proviamo a dirla in breve.In un contesto di iper-finanziarizzazione (capitalismo casinò) gli Stati si finanziano non solo tassando ma prendendo a prestito denaro dalla sfera bancaria e finanziaria privata (più del 90% dell'emissione monetaria è di fatto affidata a banche e a fondi d'investimento speculativi privati, che s'ingrassano appunto grazie ai debiti altrui, tra cui quelli pubblici). Uno Stato è credibile se è considerato solvibile, se cioè si ritiene che possa saldare i debiti contratti. Se uno Stato non ha sovranità monetaria, la sua solvibilità viene a dipendere dalla capacità di rapinare i suoi cittadini per onorare il pagamento del debito. Di qui l'austerità: tagli alla spesa pubblica, aumento dell'imposizione fiscale… Un'altra leva è una politica mercantilistica, ovvero l'aumento delle esportazioni rispetto alle importazioni, la quale cosa porta la bilancia commerciale in attivo, ciò che accresce la capacità di uno Stato di contrarre debito e di rimborsarlo.Cosa accadrebbe se si uscisse dall'eurozona?Rimandiamo alla lettura del VADEMECUM: 60 risposte ai sostenitori dell'euro-dittatura:https://docs.google.com/file/d/0B79uW7TuFnxwR3I2WEpFamlWeUU/edit?pli=1

  8. Anonimo dice:

    A che livello di pauperizzazione occorre arrivare affinché ci sia la sollevazione? E' ipotizzabile che, se si venisse ad una riforma drastica del Catasto urbano come giù qualcuno pensa di arrivare, ci sarebbero reazioni imprevedibili e non facilmente controllabili. La tassazione sugli immobili arriverebbe a livelli insostenibili dalla maggior parte dei proprietari di abitazioni perché molti di essi dovrebbero ricorrere a ipoteche bancarie per affrontare nuove imposizioni fiscali e sentirsi il laccio al collo potrebbe bensì spingere i perseguitati a buttarsi sotto qualche treno, ma potrebbe anche coalizzare una opposizione generalizzata e probabilmente pure violenta.

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