L’UNIONE EUROPEA E GLI STATI UNITI D’AMERICA: IPSE DIXIT di Piemme
[ 25 aprile ]
Com’è noto uno degli argomenti che certa sinistra europeista — in perfetta sintonia con le destre liberiste — usò nel passaggio all’Unione europea, fu che per poter “competere” e vincere la sfida della globalizzazione dei mercati, occorreva lasciarsi alle spalle l’Italietta e procedere a tappe forzate (tra cui la moneta unica) verso un’entità sovranazionale. Così non solo saremmo stati tutti meglio ma, come disse Prodi nel 1999: «Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più».
Siccome è sotto gli occhi di tutti quali siano stati i risultati reali, non c’è più bisogno di smascherare quanto ingannevole fosse questa narrazione ideologica.
Per ipnotizzare e turlupinare l’opinione pubblica venne poi utilizzato un secondo argomento. Quello per cui l’Unione avrebbe liberato gli europei dalla relazione di sudditanza politica, strategica ed economica rispetto agli Stati Uniti d’America.
Eravamo in pochi, in quegli anni, a sostenere che quella fosse una fandonia, un pretesto per addomesticare anzitutto il “popolo di sinistra” con profondi sentimenti antiamericani, da una parte, e quei settori oramai molto minoritari della destra nazionalista.
Erano gli anni in cui anche nella “sinistra radicale” c’era chi, pur condannando come “imperialistico” il disegno europeista, riteneva in effetti che esso si stesse conformando, nella sfida per il predominio mondiale, come “polo antagonista” a quello americano. Di qui la profezia che l’euro avrebbe presto rimpiazzato il dollaro Usa come principale moneta globale di riserva.
Eravamo in pochi, mentre la Ue andava prendendo forma, a sostenere il contrario, che l’Unione europea, essendo stata pensata dai suoi architetti sin dagli anni ’40-’50 del secolo scorso e costituendosi anzitutto come vonhayekiana comunità economica di libero scambio —quindi entità federale senza Stato— era perfettamente funzionale al disegno egemonico nordamericano.
Una prova fattuale l’avemmo man mano che l’Unione europea, dopo l’89, si allargava. Per aggregarsi al nucleo costitutivo dell’Unione, formato dai paesi NATO, ogni nuovo entrato ha dovuto prima aderire alla NATO medesima. L’Unione si è costituita e la NATO, protesi della supremazia americana, non solo non ha fatto passi indietro ma si è rafforzata, né alcuna base americana (e la Germania è il Paese che ne ha di più) è stata chiusa ma altre ne sono sorte.
Che dalle parti degli Usa fossero stati scettici sul passaggio alla moneta unica è cosa nota. Gli yankee sono pragmatici, e mai si sarebbero legati le mani scolpendo nei trattati costitutivi di un’unione economica e monetaria gli scervellati dogmi tedeschi della soglia invalicabile 60% e del 3%. Aver scambiato questa sensata censura come spia di un’opposizione americana alla nascita della Ue è stato come prendere fischi per fiaschi, un errore politico molto grave.
Oggi abbiamo l’ultima prova fattuale. Si tratta di quanto affermato da Obama l’altro ieri, 22 aprile, in occasione della sua per niente casuale visita nel regno Unito. Non casuale perché com’è noto il prossimo 23 giugno i cittadini britannici voteranno nel referendum per decidere se restare o uscire dalla Ue. Quale sia la posizione delle cupole bancaria, finanziaria e industriale inglese sappiamo: restare nella Unione europea. Idem per quanto concerne le frazioni decisive dei due partiti sistemici, tory e labour. Tuttavia i sondaggi non escludono una vittoria dei favorevoli alla Brexit.
Cosa ha detto Barak Obama e con parole che sono rimbombate in tutto il mondo?
Citiamo:
«Esistono fra noi [americani ed inglesi, Ndr] relazioni speciali, siamo più che amici e fra amici occorre essere onesti. Ci interessa che la Gran Bretagna resti nell’Unione europea perché preferiamo negoziare con un solo grande blocco, l’Unione, non con tanti soggetti. E perché crediamo che Londra sia più forte dentro l’Europa che non fuori».
Non è solo un’altra prova fattuale tra le altre dell’interesse strategico a stelle e striscie per la Ue, è una vera e propria pistola fumante. Significativo l’aggettivo usato da Obama per definire la Ue: “grande blocco”, ovvero un mercato unico, un’unione economica, non un vero e proprio Stato.
Come se non bastasse, Obama ha sparato un vero e proprio siluro alle frazioni euroscettiche dei tory e della borghesia inglese che invocano un accordo commerciale bilaterale con gli Usa una volta abbandonata la Ue, Obama ha minacciosamente detto:
«Davanti ad un’eventuale Brexit non regaleremo alcuna corsia preferenziale di commercio. La daremo prima all’Europa».
Chi ha orecchie per intendere intenda.
Vedremo cosa dirà Obama alla Merkel. Al netto delle polemiche sorte per le intercettazioni Cia e Nsa delle comunicazioni dei politici tedeschi (e della stessa Merkel), c’è da scommettere che Obama vorrà ricordare alla Cancelliera non solo che gli Usa stanno con la Ue; gli dirà che a loro va bene anche una Ue ad egemonia (economica) tedesca, e che va scongiurato ogni “rigurgito nazionalista”. Obama è andato a Londra per puntellare il traballante Cameron, e va in Germania per assicurare l’appoggio Usa al grande capitalismo tedesco, in larga parte di fede eurista, e dunque per dire alla Merkel che dovrebbe tenere sotto controllo il suo ministro delle finanze e dunque… Viva la Ue, viva la NATO, viva il Ttip.
Ps: ore 10:30 del 25 aprile
Scrive Mario Platero su Il Sole 24 Ore di oggi [Vertice Obama-Merkel. I timori Usa per la fragilità dell’Europa] riguardo all’incontro Obama-Merkel:
«Chi si ostina a credere che l’America tema l’Unione Europea come possibile concorrente globale è fuori strada. I veri concorrenti dell’America sono la Cina, la Russia, in qualche misura l’India. I veri problemi americani sono la crisi in Medio Oriente, da quella in Arabia Saudita al terrorismo dell’Isis. Quando Obama dice che l’America vuole un’Europa unita forte non fa solo retorica, lo dice ormai quasi con un senso di urgenza assoluta perché gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Europa e di un’Europa forte per contrastare le sfide geopolitiche e quelle all’ordine internazionale.
Per questo fra i molti infortuni di politica estera dell’amministrazione Obama, una spaccatura dell’Europa diventerebbe per l’America uno dei più gravi passi indietro sul piano internazionale e una macchia per questo presidente che disse all’inizio del mandato che sarebbe stato il “primo presidente del Pacifico”, convinto che il fronte transatlantico fosse ormai talmente solido da non poter essere messo in discussione. Certo la Nato resta, ma nel mondo dei “blocchi” l’Europa non può fare molti passi indietro. Ne va della nostra sicurezza, ma anche di quella americana».
Gli Stati Uniti hanno bisogno dell'Europa e di un'Europa forte per contrastare le sfide geopolitiche e quelle all'ordine internazionale ed è per questo che il PD nazionale affezionato tifoso dell'egemonia planetaria atlantista, sostiene l'idea dell'Europa Unita nonostante questa si sia dimostrata deleteria per gli interessi italiani..