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NUIT DEBOUT: IL GRADO ZERO DEL POPULISMO di Carlo Formenti

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[ 22 aprile ]

Siccome su questo blog abbiamo scritto molto sul movimento di piazza che scuote la Francia —avete notato il silenzio generale?— qualcuno ha pensato che non ne vediamo i limiti. E invece li vediamo, li vediamo e come. Come ogni movimento spontaneo, in quanto figlio della realtà concreta, esso se ne porta appresso non solo i pregi ma pure i difetti. Ci torneremo su. Intanto consigliamo la lettura di questa riflessioni di Carlo Formenti, che si chiede chi, in Francia, sarà capace di dare rappresentanza politica a Nuit Debout.



Sabato 9 aprile 200 cortei di protesta hanno invaso le strade francesi, mentre i manifestanti si sono scontrati con la polizia a Parigi; Nantes e Rennes. Come annota il manifesto è stata la sesta mobilitazione nel corso di un mese contro la legge El Khomri (la versione francese del Jobs Act di Renzi). Ove si consideri l’imbelle comportamento delle nostre organizzazioni sindacali (ad eccezione dei sindacati di base), non si può che provare un senso di invidia nei confronti della capacità di resistenza del proletariato francese nei confronti dell’aggressione neoliberista. E l’invidia cresce ulteriormente perché, assieme a queste grandi manifestazioni, è nato e rapidamente cresciuto un altro movimento, che si autodefinisce La Nuit Debout e presenta evidenti analogie con le esperienze di Occupy Wall Street negli Stati Uniti e degli Indignados spagnoli.

Il tutto è iniziato il 31 marzo, come racconta il Guardian, quando un gruppo di qualche centinaio di persone che avevano partecipato alla manifestazione di quel giorno, invece di andarsene a casa, si son dati appuntamento in Place de la République, dove si sono riuniti in assemblea per discutere di lavoro, diritto alla casa, repressione poliziesca, leggi speciali (quelle del dopo Bataclan che Hollande vorrebbe rendere permanenti), diritti dei migranti e molto altro ancora. Da quel giorno l’appuntamento si ripete ogni sera, mentre il numero dei partecipanti aumenta e l’iniziativa si estende ad altre città francesi e si internazionalizza, “contagiando” Belgio e Spagna.

Secondo Le Monde a motivare i partecipanti è soprattutto la possibilità di prendere finalmente la parola, di esprimersi liberamente contro tutto ciò che li fa arrabbiare e peggiora le loro condizioni di vita, ma anche l’occasione di socializzare, di condividere rapporti paritari e solidali, di costruire comunità in un mondo sempre più anomizzato e individualizzato. Un popolo di sinistra incazzato, frustrato e deluso, che si sente tradito da chi dovrebbe rappresentarlo e in cui si ritrovano persone di ogni età, professione ed etnia: studenti, professori, pensionati, operai, impiegati, artigiani, migranti.

L’iniziativa non è stata del tutto spontanea ma è subito andata al di là delle intenzioni dei promotori (pare che a idearla siano stati gli attivisti di una rivista di sinistra, assieme al team che ha realizzato un documentario sulle lotte operaie) ed è cresciuta autonomamente, dandosi regole già sperimentate da analoghi eventi: c’è una moderatrice che raccoglie le iscrizioni a parlare, gli interventi non devono durare più di tre minuti, hanno inventato un codice di gesti per esprimere approvazione o dissenso nei confronti di quanto viene detto, si sono create commissioni tematiche, ecc. Ma probabilmente ciò che più accomuna questa esperienza a quella di Occupy Wall Street e degli Indignados è l’orizzontalismo (niente leader o portavoce, ognuno rappresenta solo sé stesso), la sfiducia radicale nei confronti di qualsiasi forma politica organizzata (partiti, movimenti e sindacati), per cui i leader di sinistra si fanno vedere ma non prendono la parola, né sono gradite bandiere e altri simboli.

Si tratta, assieme alle manifestazioni di cui sopra, di un potente sintomo della crisi di un sistema politico che non riesce più a gestire/mediare il conflitto, ma si tratta anche della conferma della necessità di inventare forme organizzative che sappiano tenere insieme l’asse orizzontale e l’asse verticale dei movimenti. La Nuit Debout è una sorta di “grado zero” del populismo che, se resterà tale, è destinato a refluire, come è capitato a Occupy Wall Street (pur senza dimenticare che, in sua assenza, non avremmo probabilmente assistito a un fenomeno politico come Bernie Sanders), e come sarebbe capitato agli Indignados se la loro esperienza non avesse trovato sbocco nella struttura organizzativa (ancorché innovativa) di Podemos. Insomma: per ottenere risultati politici, il populismo di sinistra deve andare oltre sé stesso, ma a loro volta le sinistre non possono rigenerarsi se non attraversando l’esperienza populista.


* Fontre: MicroMega

5 pensieri su “NUIT DEBOUT: IL GRADO ZERO DEL POPULISMO di Carlo Formenti”

  1. Anonimo dice:

    Metto in evidenza questa frase copincollandola dal testo:"a motivare i partecipanti è soprattutto la possibilità di prendere finalmente la parola […prendere la parola…], di esprimersi liberamente contro tutto ciò che li fa arrabbiare e peggiora le loro condizioni di vita, ma anche l’occasione di socializzare, di condividere rapporti paritari e solidali, di costruire comunità in un mondo sempre più anomizzato e individualizzato."Una constatazione fondamentale con un'analisi però rudimentale che ci converrebbe approfondire.Ma non è obbligatorio.

  2. Anonimo dice:

    Aggiungo che l'analisi è rudimenrale perché, molto prevedibilmente visto che parla Le Monde e che Carlo Formenti lo riporta, il fatto che la gente voglia parlare in pubblico è considerato un semplice "sfogo".Formenti non esprime un suo giudizio, si limita a citare quello di Le Monde e quindi in sostanza vi si allinea.La prova è che lo chiama grado zero del populismo sostenendo che senza delle "forme organizzative" Nuit Debout sarà destinato a "refluire".Formenti nella sua attitudine di intellettuale di secondo piano medio borghese, non è nemmeno sfiorato dal pensiero che il "popolo" debba imparare prima a "parlare" e a "parlarsi"; che la chiave della sua subalternità risieda interamente in una espropriazione linguistica per la quale se non hai i requisiti "istituzionali" o un "prestigio riconosciuto" (di classe o professionale) l'unica cosa che puoi fare è – come dicono esplicitamente Formenti e Le Monde – "sfogarti" e poi però viene qualcuno che ti disciplina perché sennò "si refluisce"; che il concetto di leadership oggi può e deve essere rielaborato radicalmente; che la chiave della nostra impasse è precisamente nello schema dicotomico "rappresentanti/rappresentati" che deve essere urgentemente superato, prima concettualmente e poi con un rapido percorso verso una democrazia il più possibile diretta (realizzando il progetto di Grillo purtroppo rimasto allo stato di embrione).Ripeto, non è obbligatorio approfondire queste considerazioni, giusto quel tanto che basta per comprendere di che razza sia chi insiste sui vecchi schemi.

  3. Anonimo dice:

    Sto pensando a quale esito sono andate incontro le Jacqueries medioevali: "populismi" allo stato "nativo", condotti anche da leaders sinceri e "arrabbiati" quel che bastava, ma che non tenevano conto delle "forze" spropositate che avevano contro.

  4. Anonimo dice:

    C 'è da tener presente, per quanto concerne le possibilità di interscambio di idee e di osservazioni fra i componenti la "base populista", quanto determinanti siano il grado di scolarizzazione e la dura realtà sintetizzata dal detto. "Primum vivere, deinde filosofare". Saper esprimere in forma corretta e inequivocabile i propri pensieri non è facile e la maggior parte delle persone devono accontentarsi di semplificare al massimo le proprie espressioni così che le comunicazioni verbali risultano approssimative causa deficienze lessicali e forme grammaticali confuse. L'abilità linguistica si acquisisce dopo lungo tirocinio e non sono molti coloro che hanno l'occasione di applicarvisi. Non per caso gli antichi Romani avevano i "Tribuni della plebe" esperti nel raccogliere a volo il sentire ed il bisogno di esprimersi della massa. Per citare un esempio eccezionale di tribuno della plebe non si può dimenticare il nome di Lenin.

  5. Anonimo dice:

    Anonimo delle 23:13Oh, finalmente qualcuno che ha capito che il popolo poveretto non sa veramente parlare ma farfuglia, balbetta, si esprime con dei versi che spesso somigliano, ma solo in maniera ingannevolmente, a parole umane.Per questo dobbiamo assolutamente cercare i "Tribuni della Plebe" i quali sono degli etologi specializzati – ma vanno bene anche dei logopedisti per bambini autistici – i quali grazie al loro intuito prodigioso "comprenderanno al volo" cosa cerca di esprimere il popolo con i suoi primitivi grugniti e con le sue misteriose danze rituali (a volte anche i segnali di fumo con le sigarette).È uno sport nazionale. L'omino di classe subalterna ha come primo scopo quello di dimostrare agli altri ma soprattutto a sé stesso che esiste una "massa" inferiore a lui.Il massimo di "rivoluzione" che riesce a pensare è questa, l'omino.A qualsiasi livello, dalla conversazione da bar alla conferenza del professore universitario il sottotesto fondamentale di ogni discorso è sempre ed esclusivamente questo.Risultato? La sinistra prende legnate da quarant'anni mentre la destra becera o xenofoba che quantomeno dà retta alle istanze del suo popolo, senza permettersi di dire che "ha bisogno di anni per imparare a parlare correttamente", vince in Austria, in Serbia, in Francia, in Germania.Mi raccomando continuiamo così che andiamo forte.

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