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SLOVENIA: LA SINISTRA PER L’USCITA DALL’EURO di Luka Mesec*

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[ 1 aprile ]

Anche in Slovenia un pezzo importante della sinistra prende atto che l’uscita dall’eurozona e il ripristino della sovranità monetaria sono due passi ineludibili se si vuole uscire dal marasma ed evitare la catastrofe. Il “Piano B” dei compagni di Iniziativa per il socialismo democratico, non contempla tuttavia l’uscita della Slovenia dalla Ue.  In buona sostanza la posizione di Lafontaine.
Meglio di niente, molto se si pensa a certa sinistra “radicale” italiana.

* * * 
La lezione greca
Con l’esperienza Syriza fresca nella mente, la sinistra slovena sta elaborando un piano per l’uscita della zona euro
di Luka Mesec
L’Unione europea ha dimostrato di essere incapace di far fronte alla crisi economica e politica —è anzi assolutamente impotente. L’esperienza di Syriza al potere ha dimostrato proprio questo.
La vittoria del capitale transnazionale —incarnato nelle istituzioni europee— spiega il fallimento delle sfide della sinistra francese negli anni 1980 e degli altri tentativi di governo di sinistra. Sembra che la moderna sinistra europea abbia solo due scelte: di inchinarsi al neoliberismo —abbandonando la maggior parte delle sue ambizioni— o impigliarsi in lotte senza speranza dentro l’Unione europea.
E’ da questo vicolo cieco che come Iniciativa za Demokratični Socializem (Iniziativa per il socialismo democratico), aderente alla coalizione parlamentare Levica Združena (Sinistra Unita) stiamo cercando di venir fuori. Abbiamo iniziato un ampio dibattito tra i nostri membri sul Piano B per uscire dalla zona euro. L’esperienza greca è stata discussa e confrontata con quella nostra in Slovenia, ciò ci porta alla conclusione che è necessario un nuovo approccio.
Non è un approccio totalmente nuovo. 
Un tentativo di riformare le istituzioni della Ue era parte integrante del programma. Ciò evidenzia importanti differenze tra la situazione greca e quella slovena. Syriza ha vinto le elezioni in un paese insolvente, gravato da debiti impagabili, completamente dipendente dalle finanze dalla troika, in uno stato che non solo era bloccato nella gabbia monetaria della zona euro, ma anche da un insieme paralizzante di Memoranda di austerità. .
Non è questo il caso della Slovenia. Il debito è gestibile, le banche sono ricapitalizzate, il paese ha enormi surplus commerciali, la crescita economica è in corso, il Paese ha uno dei più alti tassi di proprietà statale in Europa. Pertanto sarebbe più facile per un potenziale governo di sinistra raggiungere i suoi obiettivi: lotta alla povertà, ridistribuire la ricchezza, il sostegno all’autogestione operaia, ed espandere lo stato sociale.
Ma l’appartenenza alla zona euro rappresenterebbe un ostacolo per l’impostazione e lo sviluppo delle politiche industriali e per il controllo del flusso di capitali. E’ poi importante considerare che la situazione, soprattutto in tempi turbolenti come quelli attuali, potrebbe rapidamente deteriorarsi.
Pertanto, è stato raggiunto un accordo secondo il quale dovremmo lavorare, se sarà necessario, ad un piano per riprenderci indietro immediatamente la sovranità monetaria. Il seguente documento è stato redatto e adottato da Iniciativa za Demokratični Socializem all’inizio di questo mese.
* * *
Il 2015 sarà ricordato come fondamentale nella storia dell’integrazione europea. L’Unione europea ha rivelato la sua vera natura come fortezza di capitali in cui la solidarietà internazionale e le vite umane non hanno alcun valore.
L’Unione europea ha dimostrato che le sue istituzioni non solo soffrono di un deficit democratico, ma sono costitutivamente anti-democratiche. La narrazione ideologica della coesistenza pacifica delle nazioni europee, e la convergenza economica alimentata dal libero mercato, è stata sostituita da ideologie razziste circa i greci scanzafatiche e di altri meridionali che parassitano il lavoro dei nordisti più competitivi e laboriosi.
Parallelamente, gli attacchi terroristici a Parigi del 2015 hanno legittimato la crescita dell’islamofobia e della xenofobia, con centinaia di migliaia di rifugiati che entrano da Afghanistan, Iraq, Pakistan, Siria e altri paesi che hanno dovuto subire una distruzione durata anni, anche decenni, di solito innescata o attivata dall’Occidente. L’unico partito a beneficiare della decisione dei paesi europei e le loro istituzioni comuni contro una soluzione umana ed efficace per la crisi dei rifugiati è stata l’estrema destra che è salita al governo in un terzo dell’Europa.
Mentre la crisi dei rifugiati ha smascherato la falsità dei discorsi solenni sui diritti umani e la libera circolazione delle persone, l’esempio greco ha dimostrato che il processo di integrazione europeo è privo di qualsiasi solidarietà tra gli Stati membri. Il rifiuto di accettare in pegno i titoli di stato al fine di fornire liquidità da parte della Banca centrale europea alle banche greche, deciso appena una settimana dopo le elezioni di gennaio, non era che l’avvio del ricatto della troika contro il governo Tsipras.
Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo, ha liberamente ammesso al Financial Times che l’Ue temeva il “contagio politico” molto più che le conseguenze finanziarie della crisi greca.
In altre parole, le élite politiche europee hanno fatto tutto quanto in loro potere per prevenire che le sinistre ottenessero vittorie elettorali simili a quella greca. È giunto il momento di abbandonare il punto di vista romantico di una illusoria “Europa unita” e riconoscere che si tratta piuttosto di una malcelata battaglia del capitale contro i lavoratori.
Il risultato di questa battaglia è ben noto anche oggi. A seguito del referendum luglio 2015 in Grecia, dove il 61 per cento dei voti sono stati espressi contro il mantenimento di misure di austerità che hanno creato un baratro sociale ed economico di proporzioni storiche, il governo Syriza è stato posto davanti al dilemma che ha tentato di evitare durante i negoziati con la troika.
Da un lato, sottoscrivendo il Terzo memorandum, sono stati traditi sia il NO del referendum e lo stesso programma di Syriza. D’altra parte, data l’assenza di liquidità bancaria innescata la settimana prima del referendum, provocando la chiusura delle banche e l’imposizione di controlli sui capitali, la Grecia sarebbe stata costretta ad una uscita caotica dalla zona euro ed alla reintroduzione frettolosa della dracma.
Dato che Tsipras e il suo governo erano sia tecnicamente che  finanziariamente impreparati per questo, la capitolazione è risultata l’unica opzione possibile. La sconfitta di Syriza è stata quindi il risultato non solo di un cedimento a giocatori esterni più potenti, ma anche di una cecità strategica scaturita da una mancanza di democrazia interna nel partito, e dalla rinuncia al proprio programma.
Come Iniziativa per il socialismo democratico, siamo convinti che gli esempi della Grecia e la crisi dei rifugiati chiedono un riorientamento strategico della sinistra europea. Dopo il 2015, anche i credenti più convinti dell’idea di “Europa unita” difficilmente possono negare il fatto che l’Europa nella sua forma attuale è tutt’altro che una comunità di nazioni uguali; si tratta invece di una struttura di classe a sostegno dei capitalisti e dei loro politicanti, i cui interessi si sono fusi.
Questa classe ha, in virtù dell’integrazione europea, creato uno spazio comune all’interno del quale essa avanza e realizza i suoi desiderata, ciò che sarebbe difficile da ottenere nella cornice dei singoli Stati membri a causa delle limitazioni democratiche [conseguenti alla sovranità nazionale, Ndr]. Una volta che noi riconosciamo l’integrazione europea come il “comitato per gestire gli affari comuni di tutta la borghesia”, come Marx ed Engels descrissero lo Stato capitalista nel Manifesto comunista, diventa chiaro che l’approccio adottato dal governo Tsipras richiede un cambiamento radicale e un aggiornamento, se vogliamo cambiare la natura di queste integrazioni.
L’aggiornamento della sinistra, e, per estensione, la strategia di Iniziativa per il socialismo democratico per rinnovare l’integrazione europea dovrebbe essere duplice. In primo luogo, un governo guidato da un partito di sinistra impegnato in discussioni e negoziati con le istituzioni della Ue (Piano A) non deve fare affidamento esclusivamente sulla forza dei suoi argomenti, ma ha bisogno di rafforzare queste ultime con il potere politico che solo può farli valere. Una sfida internazionale richiede una forza internazionale: una coalizione paneuropea di organizzazioni progressiste che richiedano il cambiamento a tutti i livelli della società, non solo in camera caritatis o nelle conferenze stampa.
In secondo luogo, tale governo non dovrà cadere nella trappola che è stata costruita per Syriza, ma deve essere preparato per la seconda eventualità: l’uscita dalla zona euro e l’introduzione della moneta nazionale (Piano B). I suoi poteri di negoziazione aumenterebbero e costituirebbero una vera e propria linea di condotta alternativa qualora le trattative con le istituzioni dell’Ue fallissero. Ciò servirà inoltre a stabilire una leale cooperazione internazionale verso un ordine europeo al servizio dei lavoratori.
Il Piano B libererebbe lo stato della sua gabbia economica, la zona euro, e ripristinerebbe la sua sovranità monetaria. Tuttavia, la lezione greca va intesa nella sua interezza. Il confronto con le istituzioni europee e i mercati finanziari internazionali, così come coi loro compari nazionali, provocherà senza dubbio misure di ritorsione disastrose.
Un governo guidato da un partito di sinistra dovrebbe quindi sostenere il Piano B con una legittimazione democratica di altissimo livello, per mezzo di un dibattito pubblico sulla sua strategia prima delle elezioni e con un referendum. Il popolo lavoratore dovrebbe essere messo in grado di avere  informazioni dettagliate e trasparenti su tutti gli aspetti del Piano B, l’eventuale prezzo sociale ed economico da pagare.
E’ della massima importanza convincere la gente che l’uscita dalla zona euro significa l’inizio di un rinnovato controllo democratico dello stato e dell’economia a beneficio delle persone. Così, il Piano B è la condizione per l’esecuzione del programma di sinistra e viceversa — il Piano B non può essere applicato senza mettere in pratica un tale programma.
Dal momento che l’euro è una cinghia della camicia di forza del neoliberismo —l’altra sono le regole fiscali restrittive— l’introduzione di una moneta nazionale, e di conseguenza, la sovranità monetaria, è uno degli aspetti fondamentali del Piano B. L’inceppamento di queste cinghie incontrerebbe senza dubbio la resistenza da parte del capitale internazionale e dei suoi rappresentanti politici nella forma di attacchi economici, come la Grecia ha già sperimentato.
Per difendersi da questi attacchi, ci sono alcune misure possibili, quali: controlli sui capitali, cancellazione unilaterale del debito, sequestro delle proprietà e controllo delle banche, politiche industriali e di investimento coordinate, il rafforzamento dell’economia sociale.
Quest’ultimo, tuttavia, non può essere realizzato in un giorno. Pertanto i preparativi per eseguire il Piano B, politici e non, sono di fondamentale importanza, e comprendono, ma non si limitano a: l’esecuzione simultanea del Piano A, l’istituzione di relazioni politiche ed economiche internazionali alternative, la ricerca di alleati al di fuori e al di là del centro capitalista.
Di primaria importanza è il collegamento con la sinistra, i lavoratori, e altri movimenti progressisti dall’estero, costruendo i legami di solidarietà che funzionino come baluardi contro gli attacchi del capitale. Il Piano B dev’essere concepito come parte della lotta internazionale —e internazionalista—  per un mondo diverso.
Molti potrebbero pensare che la semplice concezione del Piano B è radicale, anche se è una parte indispensabile della strategia della sinistra per l’Europa. Vale qui quel che scriveva Bertolt Brecht, è necessario essere sempre “tanto radicali quanto la realtà stessa.”

In un momento in cui il fascismo è ancora una volta legittimato nello spazio politico europeo, e il filo spinato è diventato una maniera comune di demarcazione dei confini statali, una ricerca di modi alternativi per il cambiamento sociale è, dal punto di vista delle strategie di sinistra, l’unico approccio che può far fronte alla realtà».

* Fonte: Jacobinmag
** Traduzione a cura della Redazione

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