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NEOLIBERISMO COMPULSIVO di Piemme

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[ 13 luglio ]

Sono francamente rimasto impressionato nel leggere l’editoriale di Daniele Manca su CORRIERE ECONOMIA di lunedì scorso.

Si tratta di un articolo asciutto, molto breve, che riportiamo più sotto.
Ne consiglio vivamente un’attenta lettura.

Il Nostro rivolge i suoi strali contro la decisione della Commissione europea di consegnare ai singoli stati della Ue, la facoltà di approvare o respingere il Ceta, l’accordo di libero scambio con il Canada —accordo che fa da apripista al più noto e famigerato Ttip.

Penso il peggio possibile della Commissione di eurocrati stanziata a Bruxelles, ma questa volta, affidando ai singoli stati membri della Ue, non arrogandosi il diritto di decidere sopra la testa delle nazioni, ha fatto la scelta giusta. Lo ha fatto, beninteso, obtorto collo, suo malgrado, dopo il colossale ceffone della Brexit. Ma lo ha fatto.

Dal punto di vista politico la decisione ha un alto valore simbolico: stabilisce, sulla specifica e dirimente questione del libero movimento di capitali e merci, che l’ultima parola spetta agli stati nazionali. E’ una riconsegna, per quanto parziale, di sovranità.
E cosa ti sostiene il Manca?
Piagnucola perché vi vede la conferma della predominanza delle spinte dissolutrici dell’Unione europea, perché segnala la crisi della “governance” europea, perché sancisce quella che da anni noi definiamo “tendenza alla ri-nazionalizzazione delle decisioni politiche”. Scrive il Nostro: “…viene messa in discussione la capacità della Ue di orientare e scegliere”.
Esecra quindi, il Manca, che, sospendendo il Ceta, viene contestato il padre di tutti i dogmi neoliberisti: il liberoscambismo sfrenato e senza controlli.
Infatti, è proprio così. 

Ed è buona cosa, perché sancisce l’inizio della fine dell’egemonia neoliberista, di cui la Ue è un pilastro mondiale.

Dal Canada al bail in: cara Bruxelles non sbagliare ancora
di Daniele Manca

L’ interscambio con l’Europa è poca cosa, appena 63,4 miliardi di euro nel 2015 contro i 253,2 miliardi con la Svizzera. Ma il segnale dato dalla Commissione di Bruxelles sull’accordo con il Canada (Ceta) è pericoloso. Appellandosi proprio alla difficile situazione post Brexit, l’Ue ha deciso di far approvare quell’intesa commerciale dai Parlamenti degli attuali 28 Paesi invece che farsene carico. L’accordo dovrebbe entrare in vigore in via provvisoria il prossimo autunno, ma è difficile dire se sarà davvero così o se invece la ratifica Paese per Paese, oltre a rallentarne l’efficacia, non ostacolerà del tutto la sua attuazione. Francia e Germania hanno avuto il timore di apparire ai propri elettorati come subordinati alle scelte dell’Unione. Sono state le loro pressioni a fare sì che si scegliesse una via di chiusura ai commerci, invece che di apertura. Scelta davvero miope e che la dice lunga su quanto la debolezza politica della Commissione sia ormai a livelli di guardia. E così i componenti di quello che dovrebbe essere il governo europeo, si attaccano alle regole piuttosto che prendere decisioni indicative sul futuro dell’Europa. 

La scelta sul Ceta getta un’ombra anche sul Ttip, il trattato che si sta discutendo tra America e Ue: nel 2015 l’interscambio tra le due aree è stato di 619,7 miliardi. Ma, quel che è peggio, è che viene messa in discussione la capacità della Ue di orientare e scegliere. La lunga trattativa sulle banche con l’Italia, quella sui conti con Spagna e Portogallo, non fanno altro che alimentare concezioni dell’Europa minimaliste come quelle del ministro tedesco Wolfgang Schäuble. Un’idea dell’Unione che emergeva nettamente dall’intervista riportata dal Corriere lunedì scorso: se la Commissione non decide, saranno i governi a farlo. Le regole sono fatte per essere applicate, non per nascondersi dietro di esse. Prima Bruxelles lo capirà, prima l’Europa uscirà dall’impasse di governi che non aspettano altro che trovare utili capri espiatori per i propri incattiviti elettorati.

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