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BURKINI: O IL FONDAMENTALISMO LAICO di Bia Sarasini

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[ 20 agosto ]

È il corpo delle donne il nervo scoperto toccato dal divieto del burkini sulle spiagge francesi. Nudo o coperto, chi ha l’autorità di decidere? Ho letto incredula la dichiarazione del primo ministro francese Manuel Valls: «Non è compatibile con i valori della Francia e della Repubblica». Perché non si tratta di una moda, ha detto, bensì dell’affermazione di un progetto basato sull’asservimento della donna. Trovo sorprendente che sia così difficile soffermarsi a pensare che una decisione presa da chi rappresenta la Repubblica, non sia molto diversa da quella di chi impone per legge il velo, la copertura totale.

Si tratta di un potere che decide come deve essere, come si deve presentare il corpo di una donna. E se Paolo Flores è coerente con le proprie posizioni, nello scrivere, che «la proibizione del bikini è una giusta protezione dei principi di laicità», mi stupisce che chi si dichiara femminista, come Lorella Zanardo, consideri opportuno e necessario, e proprio per le donne, il divieto.

Nessuno ha diritto di dire a una donna come si deve vestire, o svestire, non è questo abbiamo sempre detto, noi femministe? I codici vestimentari, i codici del corpo, tutti, sono delle trappole che imprigionano le donne. Non lo aveva ben spiegato la grande scrittrice e sociologa marocchina Fatema Mernissi, che in “L’harem e l’occidente (Giunti Astrea) ci aveva svelato la tortura della taglia 42 (peraltro ora ulteriormente diminuita)? : «Fu in un grande magazzino americano”scrive, “nel corso di un fallimentare tentativo di comprarmi una gonna di cotone, che mi sentii dire che i miei fianchi erano troppo larghi per la taglia 42. Ebbi allora la penosa occasione di sperimentare come l’immagine di bellezza dell’Occidente possa ferire fisicamente una donna e umiliarla tanto quanto il velo imposto da una polizia statale in regimi estremisti quali l’Iran, l’Afghanistan o l’Arabia Saudita”. Un’affermazione forte e provocatoria, a mio parere l’unico quadro concettuale che permetta di ragionare a mente aperta e lucida sul nodo intricato che il burkini e le donne che lo portano ci costringono a guardare.

Il presidente dell’Ucoii Izzeddin Elzir aveva pubblicato questa foto 

sulla propria pagina ricevendo 2 mila condivisioni. Facebook gliela chiude

Perché si tratta di carne viva, non è un gioco di parole, provoca sussulti e reazioni. Quali? Che cosa è esattamente in gioco? La libertà di chi? Se si tratta della libertà delle donne musulmane, come i sostenitori del divieto affermano, a mia volta non ho dubbi. Meglio che entrino in acqua, che nuotino, che facciano sport, come vediamo alle Olimpiadi in corso, con una tenuta che risulti compatibile ai loro principi, al loro mondo, piuttosto che stiano ferme, chiuse, prigioniere. Muoversi è acquisire forza, determinazione, provare piaceri e soddisfazioni. La libertà delle donne è una costruzione, una trasformazione. Meglio che vadano a scuola, piuttosto che tenute in casa, perché la legge proibisce il velo che la famiglia e la religione impongono, come è in vigore Francia.

Sembrerebbe questa la molla che ha ispirato l’australiana di origine libanese Aheda Zanetti, che nel 2003 voleva qualcosa che permettesse a sua nipote di giocare a netball, a ideare il burkini, il nome è suo. Costume messo in commercio nel 2007, e che finora circa 700.000 pezzi nel mondo in varie versioni, da quella più aderente a quella più larga, a prezzi che in questo momento sul sito della stilista variano dai 35 ai 143 euro. Compromesso, minor danno? A me sembra una strada praticabile, di fatto il proibizionismo impedisce ad alcune donne di godere del diritto-libertà di stare sulla spiaggia e fare il bagno.

E se la libertà fosse quella degli uomini di avere a disposizione sulle spiagge corpi semi-nudi di cui bearsi senza ostacoli, come del resto capita negli sport, con telecamere che indugiano del tutto inutilmente, rispetto all’azione atletica, su cosce, culi, pube? O ancora, è in gioco la libertà delle donne di mostrarsi o no allo sguardo maschile? E che ne è della libertà delle donne di essere come desiderano essere, oltre quello sguardo, quei custodi che si arrogano il diritto di parlare a loro nome? Qual è il codice libero da quello sguardo dominante? Arduo rintracciarlo, nel libero-liberista mondo dell’unico mercato. E quanto alla laicità, che laicità è se si trasforma in fondamentalismo?

Non si tratta di confondere libertà e sottomissione. Conosciamo i codici, le leggi, i modelli culturali che costringono le donne a vite senza respiro e senza luce. Li combattiamo. Il primo passo è ascoltare le donne, quelle che scelgono di abbigliarsi in quel modo che tanto ci infastidisce e ci turba. Nulla mi sembra più liberatorio che guardarsi da vicino, le une e le altre, gli altri forse, senza schermi, su una spiaggia. Ti guardo, mi guardi. Ci guardiamo. Sono i divieti che creano distanze, barriere, abissi. Perché impedire che lo sguardo reciproco conduca al libero pensiero, alle libere scelte?

* Fonte: il manifesto del 19 agosto

ADDENDUM



“Le norme «anti-Burqa» ci sono già”

Un casco, un passamontagna e un burqa. Tre simboli dentro un cerchio rosso sbarrato. E la scritta: «Per ragioni di sicurezza è vietato l’ingresso con il volto coperto». È il cartello che dal 1° gennaio è affisso in ospedali e sedi regionali. La Lombardia, unica regione in Italia, è andata così oltre la legge italiana modificando il regolamento per l’accesso alle strutture regionali che è entrato in vigore appunto dal 2016. Una misura di rafforzamento «delle misure di sicurezza» indotta dai «gravi episodi di terrorismo».

Ma il testo altro non richiama che le norme già in vigore in Italia e su cui il Viminale non ha alcuna intenzione di intervenire con nuove restrizioni specifiche. La legge che consente verifiche su chi circola in modo «travisato» è la 152 del 1975 sulla tutela dell’ordine pubblico. «È vietato – prevede l’articolo 5 – l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico». Dunque anche il velo islamico integrale, non citato. Tanto che qualche tentativo di rendere esplicito il rifermento è stato fatto nel corso della scorsa legislatura con una proposta di legge del 2009 targata Pdl (Divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab) arrivato all’esame dell’Aula nel 2011 ma rimasto in stand-by. Per ora la Lombardia resta un caso isolato. Perché come sottolineato dal guardasigilli, Andrea Orlando siccome una legge c’è già «non si avverte l’esigenza di inventarsene di nuove».

2 pensieri su “BURKINI: O IL FONDAMENTALISMO LAICO di Bia Sarasini”

  1. Anonimo dice:

    in spiaggia non si può imporre di togliere il velo a un credente ma si può imporre di tenere il costume a un non credente come me.da sempre il dominio dei "preti" sulla coscienza umana passa perlopiù dalle prescrizioni in materia sessuale: dividi e addormenta con colpa/espiazione.oggi il dominio dei "politici" euro-pei sembra passare dalle concessioni a costo zero in materia di diritti civili (adozioni, nozze gay rigorosamente con i fichi secchi, legalizzazione droghe leggere…per quelle pesanti basta la propaganda in tv).così i credenti si compiacciono della superiorità etica, i laici di quella giuridica e ciascuno per conto proprio, quando non se la prende con l'altra fazione, celebra la resilienza: con questo "oppio" in giro la resistenza comune degli oppressi può attendere.francesco

  2. carmen carlucci dice:

    Questo pezzo è una bestemmia. In realtà è già la prova evidente della deriva che si è aperta: dopo il burkini le donne velate o magari con il niqab, perchè no, nelle scuole e nei luoghi di lavoro, e poi piscine e o anche tratti di spiaggia riservati alle donne, e poi spazi riservati con sole medici donne negli ospedali e via così. Tutto in nome della libertà delle donne islamiche of course. Perchè se passa il principio deve valere per tutto no? mettere sullo stesso piano l'obbligo della copertura, esplicito o implicito, con il condizionamento dei modelli imposti dalla moda è una sciocchezza assoluta. Il velo, per non dire la copartura totale, è simbolo di sottomissione, di proprietà delle donne e della loro immagine ai maschi di famiglia, non altro. Se le donne islamiche lo accettano felicemente ne accettino anche le conseguenze, in occidente, come per esempio essere escluse da scuole e uffici pubblici. E' imbarazzante vedere dove stia finendo certo sinistrismo in nome dell'antioccidentalismo a prescindere

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