Jacques Nikonoff, è uno dei protagonisti del III. Forum internazionale no euro che si terrà a Chianciano Terme dal 16 al 18 settembre. Nikonoff è tra i fondatori del Coordinamento internazionale no euro e sarà canditato di PARDEM alle elezioni presidenziale francesi del 2017.
Nikonoff spiega perché l’Art. 50 del “Trattato di Lisbona” è uno specchietto per le allodole. Nikonoff parla della Francia ma le sue argomentazioni hanno un valore generale, anche alla luce del post-Brexit.
«Dopo molte discussioni, in particolare con i giuristi, e soprattutto dopo l’esperienza della Grecia, siamo giunti alla conclusione che l’uscita dell’Unione europea con l’articolo 50 non è solo illusoria, ma è estremamente pericolosa. È una diversione grave che può portare all’impaludamento del processo di recesso ed alla smobilitazione della popolazione. L’uscita dell’Unione europea e dall’euro deve, invece, essere fatto da una decisione unilaterale di un paese, creando di una situazione di fatto, un approccio che ricorda la politica della “sedia vuota”, condotta dal generale Gaulle tra giugno 1965 e il gennaio 1966. [1]
La Francia deve rispettare la parola data?
Si sente dire, qua e là, che non utilizzare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che permetterebbe di uscire legalmente dall’Unione europea, in quanto è scritto, significherebbe, da parte della Francia, venire meno alla parola data con la firma del trattato.
Ma è esattamente il contrario! Sarebbe attivando l’articolo 50 che la sovranità del popolo francese verrebbe lesa!
Infatti, il Trattato di Lisbona è illegittimo dal 2005. Non bisogna infatti dimenticare che i francesi, il 29 maggio del 2005, col 55%, dissero detto NO al Trattato costituzionale europeo — ed il Trattato di Lisbona è il riassunto del Trattato costituzionale europeo. Inoltre, il Trattato di Lisbona venne ratificato dalla Francia a seguito di un colpo di stato parlamentare. Il 4 Febbraio 2008 il Congresso (riunione dell’Assemblea nazionale e del Senato) modificò la Costituzione francese per introdurre un titolo XV intitolato “Dell’ Unione Europea”, che rendeva l’adesione all’Unione europea, citando il Trattato di Lisbona, un obbligo costituzionale. Poi, l’8 febbraio, il Congresso (Partito socialista, destre, verdi) ha ratificato il Trattato di Lisbona, ignorando il voto popolare del referendum.
Se i nostri cittadini votassero per l’uscita dall’Unione europea e dall’euro, la Francia avrebbe piena legittimazione per uscire con un atto unilaterale, senza passare per l’Art. 50. Aggiungiamo che il mandato politico fornito dalla nuova maggioranza imporrà il suo rispetto, ciò che è incompatibile con il ricorso all’Art. 50.
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Nikonoff e J.L. Melenchon del Parti de Gauche |
L’uscita con l’Art. 50 è illusoria perché è un percorso ad ostacoli strutturato per impedire l’uscita dalla UE
Una lettura attenta dell’articolo 50, illuminata dall’esperienza greca, mostra la natura illusoria del ricorso all’articolo 50.
Giudicate voi:
Un processo di negoziazione che dipende solo dalla buona volontà del Consiglio europeo
Il comma 2 dell’articolo 50 stabilisce che “l’Unione negozia e conclude con tale Stato [che volesse lasciare la UE] accordo che stabilisce le modalità del ritiro”.
Per noi, la sovranità di uno Stato non si può “negoziare”. Certo, è ovvio che le discussioni dovrebbero iniziare tra lo Stato che vuole uscire l’UE ei rappresentanti dell’Unione europea a livello di Consiglio. Ma in nessun caso si tratta di “negoziazione”, non può essere che le discussioni debbano obbligatoriamente sfociare in un memorandum d’intesa. Se non si trova un “accordo”, lo Stato che desidera lasciare sarà costretto a prendere una decisione. Pertanto, deve prendere questa decisione il più presto possibile per evitare di entrare nel processo dell’Articolo 50.
Inoltre, questo “accordo” deve essere “negoziato” ai sensi dell’articolo 188 N, paragrafo 3, del trattato di Roma (TFUE). Esso prevede che “la Commissione […] formula raccomandazioni al Consiglio, che adotta una decisione che autorizza l’avvio dei negoziati”.
In altre parole, il Consiglio può decidere di non aprire “negoziati”. Questa è una ragione in più per fare a meno del suo parere e indicare al Consiglio, se quest’ultimo si rifiuta di aprire questi “negoziati” o li ritarda, le condizioni stabilite dallo Stato.
Ci vuole “l’approvazione del Parlamento europeo”
Se il Parlamento europeo vota per l’uscita dello Stato richiedente (in che lasso di tempo?), esso apre la strada alla decisione del Consiglio. Ma se il Parlamento vota contro, che cosa accadrà? Anche in questo caso, il modo più semplice è di non entrare in questa impasse e prendere una decisione unilaterale.
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Nikonoff è stato presidente di ATTAC Francia |
Il Consiglio deve deliberare a maggioranza qualificata
Essa è definita dall’articolo 205 del TFUE, paragrafo 3, lettera b, in cui si afferma: “La maggioranza qualificata si intende come pari ad almeno il 72% dei membri del Consiglio che rappresentano gli Stati membri partecipanti, di cui almeno 65 % della popolazione di tali Stati”.
Così, una maggioranza “qualificata” può rifiutare l’uscita di uno stato sovrano che l’abbia richiesta o proporgli condizioni inaccettabili. Anche in questo caso il modo più semplice è di non mettere il dito in questo ingranaggio.
I tempi possono durare due anni!
Il periodo inizia con la “notifica” dello Stato al Consiglio. Ma in due anni possono accadere un sacco di cose, compresi i tentativi di destabilizzazione del governo che ha avviato la procedura d’uscita.
“Negoziati” che escludono i paesi richiedenti!
E’ in effetti indicato che lo Stato che ricorra all’articolo 50 “non partecipi né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio che lo riguardano”.
Questo è ciò che il Trattato di Lisbona chiama “negoziati”! Ed è questa farsa che abbiamo creduto fino ad ora.
Utilizzare l’articolo 50 è estremamente pericoloso e persino fatale
Falsi “negoziati” che mettono il paese che vuole uscire in una posizione di debolezza
Il paese che volesse uscire con l’articolo 50 si metterebbe da solo in una posizione di debolezza, metterebbe la testa nella gola del lupo.
Offrire agli europeisti i tempo di mettere i bastoni fra le ruote al paese uscente
L’esempio della Grecia nel 2015 dovrebbe far pensare. Se il primo ministro Tsipras ha capitolato, è anche il risultato delle enormi pressioni esercitate dagli oligarchi europei e dai loro lacchè in Grecia: le grandi imprese, i grandi media, alcuni sindacati … Le condizioni contenute nell’articolo 50 sono tali e di tale natura che sono suscettibili di impedire qualsiasi reazione immediata dello Stato contro attacchi dei mercati finanziari o sabotaggi organizzati dalle classi dominanti.
Stendere una incoerenza politica profonda
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Nikonoff (primo da sinistra) al I.Forum no euro: Assisi agosto 2014 |
Un governo che imbocchi la strada dell’articolo 50 sarebbe un governo al 60%, con un presidente che sacrificherebbe il 40% del suo mandato (2 anni su 5) in nome del rispetto della firma della Francia di un trattato di cui vuole sbarazzarsi. Dove è la coerenza di questa posizione, quella di rispettare al 100% i Trattati europei durante i due anni di “trattative”, per poi uscire del tutto, ma solo dopo tutto questo tempo? Si tratta di un atteggiamento del tutto incomprensibile per i cittadini ai quali si dovrebbe spiegare di aspettare due anni per vedere l’attuazione del programma per il quale hanno votato. Ciò è francamente ridicolo e suicida.
L’articolo 50 mira in realtà a far impantanare gli Stati che vogliono lasciare la UE in procedure giuridiche interminabili, per di più incomprensibili alla maggior parte della popolazione.
Uscire rapidamente creando uno stato di fatto
Charles de Gaulle, in “C’était de Gaulle”, Volume 2, di Alain Peyrefitte, scrive che: «Non scherziamo!! Avete mai visto un grande paese impegnarsi a farsi fregare col pretesto che un trattato non ha previsto il caso in cui si resta fregati? No. Quando si viene fregati si dice: “Sono stato fregato, sono stato scemo. Punto”. Tutto il resto sono storie di avvocati e di diplomatici».
Siamo pienamente d’accordo con questa osservazione di buon senso.
L’uscita della Francia dall’Unione europea non si farà in primo luogo attraverso l’articolo 50 del trattato di Lisbona. Per uscire, la Francia, si appellerà agli articoli 61 e 62 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati. Questi articoli descrivono il diritto di uno Stato di recedere da un trattato internazionale, compresi i motivi di un “cambiamento fondamentale delle circostanze”.
L’uscita dell’Unione europea sarà veloce ed unilaterale, cioè la Francia deciderà da sola di uscire. Il suo gesto, non c’è dubbio, provocherà un’auspicabile reazione a catena, spingendo i popoli di altri paesi ad adottare misure per riconquistare la loro libertà.
L’uscita dell’Unione europea sarà accompagnata da un referendum per modificare la Costituzione francese, al fine di rimuovere tutti gli elementi che mettono la legge francese, sotto la supervisione del diritto comunitario, in particolare quelle contenute nel titolo XV dal titolo ” l’Unione europea “.
La tragedia greca dimostra che nessuna trattativa è possibile con i rappresentanti dell’Unione Europea. I suoi dignitari hanno ripetutamente affermato che membri della zona euro si è per sempre. Occorre dunque evitare ogni ingenuità e preparare ora i nostri cittadini a eventi che non possono essere “tranquilli”. L’ottimismo ingenuo, l’infantilismo, reale o simulato, è un errore politico gravissimo.
La via giuridica dell’articolo 50, questa specchietto per le allodole, produce uno stallo politico con conseguenze disastrose».
* Fonte: PARDEM** Traduzione a cura della redazione
Note
[1] La “politique de la chaise vide” si riferisce alla politica di blocco condotta dal governo francese del generale De Gaulle dal 30 giugno 1965 al 30 gennaio 1966. Rifiutando di accettare da un lato, un ampliamento del ruolo del Fondo europeo di orientamento e di garanzia agricola (FEOGA) incaricato di attuare la politica agricola comune (PAC), ma soprattutto la modifica del principio dell’unanimità nelle decisioni a favore del voto a maggioranza, De Gaulle sospese la partecipazione della Francia alle riunioni del Consiglio dei ministri della CEE, bloccandone di fatto le decisioni.
Questa crisi era anche il risultato di differenze tra due concezioni: quella della “Europa delle nazioni” del Generale de Gaulle e quella di una federazione sovranazionale difesa da altri Stati membri, in particolare la Germania, e da figure come Jean Monnet e Robert Schuman, considerati i “padri dell’Europa”.
Lucido e ineccepibile