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CHIANCIANO 16-18 SETTEMBRE (E I SUOI FRATELLI) di Luciano Barra Caracciolo

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[ 9 settembre ]

Mancano pochi giorni al III. Forum internazionale no euro.
Uno dei protagonisti sarà propio l’amico Luciano Barra Caracciolo, che proprio prendendo spunto dal Forum ha scritto sul suo blog le seguenti, ficcanti considerazioni, che volentieri pubblichiamo.

1. Questo post non avrebbe dovuto cominciare con questa immagine. Quanto piuttosto con questa, qui sotto (ben più foriera di un “raggio di sole”, espressione usata dall’on.Merighi, in un frangente ben più felice ed appropriato, per la democrazia, del triste presente):
Personalmente interverrò in una tavola rotonda con Alberto Bagnai e Alfredo D’attorre, nella seconda giornata del programma (che vi riproduco):

2. Ma l’inserimento dell’immagine iniziale vuol richiamare, in qualche modo, il senso (quasi apotropaico) di un esorcismo, di una catarsi che il tema dell’evento pare obiettivamente richiamare.

Perché, proprio nel momento del “rabbioso tramonto”, come sappiamo, possiamo aspettarci di tutto (v.p.11).
Poiché si tratta di un evento che, spero, per molti potrà rivelarsi interessante e “succoso” (ben al di là della mia modesta presenza), vorrei dare un tono all’aspettativa di liberazione(rigorosamente irrazionale, date le forze in campo), riproducendo alcuni estratti dell’ultimo Bazaar in veste di felice flamer; e ciò perché non solo le sue argomentazioni mi paiono in tema, ma risultano vieppiù meritevoli di non essere disperse nei meandri dei dibattiti che seguono i post):
a- “Come spiega Engels nell’introduzione italiana del Manifesto, il rapporto tra interessi nazionali e classi subalterne è tutt’altro che dubbio: Engels sostiene che senza Stati nazionali non ci sarebbe potuta essere una Internazionale. 
Il problema politico è l’uso del nazionalismo a fini imperialistici e per neutralizzare la coscienza di classe
Tant’è che, oggi che gli Stati nazionali sono neutralizzati, l’imperialismo ha come ostensione fenomenologica il “terrorismo”.

A differenza di quel che sostiene imbarazzato Cesaratto, i grandi teorici del socialismo riconoscevano piuttosto compattamente l’importanza dell’arena nazionale per la lotta di classe, tant’è che votarono compattamente contro l’integrazione europea, parlando esplicitamente di “sovranità nazionale”, con lo stupore del “capo dei rivoltosi” anti-europeisti Lelio Basso (qui, p.8), a cui premeva sottolineare che il principio guida non è di per sé il “nazionalismo sovrano” ma la democrazia sostanziale, di cui il primo è solo strumentale alla seconda. 

L’intervento di Togliatti è in Costituente: “dopo” la IIGM… 

(Poi c’era quella cosmopolita comunità di “figli dei fiori” dell’esperanto che ispirò la neolingua di Orwell in 1984…).”

b- “Caro Moreno, dico la verità: avrei scommesso che mi avresti capito e avresti apprezzato la critica allo pseudo-marxismo che si è definitivamente cristallizzato con la contro-rivoluzione neoliberista.
Non c’è niente di più marxiano della critica al marxismo: e tu dovresti saperlo meglio di me.

Tra l’altro, sei proprio una delle poche persone sul pezzo che ha contribuito a sedare la polemica assurda tra keynesismo e marxismo (un po’ come quella se Hegel fosse stato di destra o di sinistra…)

La mia è una critica non per seppellire un’esperienza storica, ma, al contrario, per riscoprirla. Per riscoprirla nella sua essenza, per ciò che è stata.

Non perché “importante”: ma perché imprescindibile a qualsiasi approccio analitico a quei fenomeni complessi che sono quelli sociali.

Per quel che mi riguarda, “anticomunista” è sinonimo di “antidemocratico”.
Cito appunto Preve, perché è Preve che parla di “Gregge” e usa i medesimi toni quando parla dei teorici marxisti.
Io affermo che Preve (e Losurdo) sono – uno a livello puramente filosofico-intellettuale, l’altro, per come lo conosco, a livello storicistico-, i migliori esempi del pensiero marxiano in Italia.


Eppure – da ciò che emerge da questa perpetua ricerca e discussione – mi accorgo che anche la “pecora nera” Preve non ha finito di riportare la riflessione sulla strada “ortodossa” tracciata da Marx.

Questo perché nel suo pensiero valorizza il Marx filosofo e critico degli assetti sociali, ma non ne valuta l’aspetto oggettivamente ora più importante della filosofia marxianail matrimonio con l’empirismo che è a fondamento del materialismo storico [link aggiunto, ndr.]!

Marx rivoluziona il tragico empirismo anglosassone significandolo grazie all’idealismo e alla filosofia della storia.

Riportare Marx all’idealismo puro e semplice, è dimenticarsi che il genio comunista ha scritto “La miseria della filosofia.

Ha finito quel lavoro di “matrimonio” con l’empirismo inglese?

No.

Pensava di saltarci fuori in fretta, ma “il garbuglio economico” che è fondamentale per comprendere “il materialismo storico” verrà sistematizzato da Keynes e da Kalecki.

Quindi un marxiano ortodosso deve aver a che fare con la macroeconomia keynesiana.

Poi gli economisti potranno sezionare i capelli i mille parti, ma da questa grossolana riflessione bisogna passarci.

Spero che non si ripetano più questo genere di incomprensioni visto che, di fronte del macroscopico problema dell’euro e della sovranità, Sollevazione ha portato avanti la medesima critica e ha cercato di comprendere come mai fossero, al di là dell’immagine, i keynesiani a difendere i lavoratori e non gli “pseudo-marxisti”, come li chiamava Lelio Basso

È chiaro ora che “i pifferai magici” sono quelli di “usciamo dall’euro da sinistra” altrimenti ci svendono il patrimonio produttivo?

Un caro saluto. 

(Lo spirito del CLN si è materializzato in Costituente riconoscendo che il vero elemento fondante della comunità sociale è il Lavoro: indipendentemente da particolarissime indagini sulla teoria del valore)“.

c-  “…se lo Stato-nazione è solo strumentale alla democrazia, anche il free-trade e il laissez-faire sono solo strumentali ad un determinato ordine sociale.
Tu stesso, caro Arturo, hai riportato quella citazione di Einaudi in cui i liberali temevano più i keynesiani e, in genere, «i neocomunisti di Cambridge», perché, appunto, il keynesismo veniva visto come una una prassi politica che paludava la diffusione del socialismo.

Infatti, secondo Einaudi e Röpke, i problemi economici non sono solo una questione “economicistica”.

Il keynesismo fa finta che il conflitto tra classi non ci sia, però offre una soluzione di politica economica che dà per scontato il fatto che si voglia realmente massimizzare il benessere economico indistintamente di tutta la comunità.

Epistemologicamente si basa su una risposta di filosofia morale opposta a quella comunemente condivisa dalla classe dominante.

E parlo di keynesismo, non solo di Keynes”.

d- [muovendo dalla distinzione, riconducibile a Basso, tra social-democrazia, sedicente keynesista, “subalterna” al capitalismo, e socialismo “autentico”

“Più che “keynesista” direi di stampo anglo-tedesco: quella da cui nasce il reddito di cittadinanza di neoliberista memoria: ovvero “le briciole sedative“.
Ai tempi di Basso era il “consumismo” usato nelle Guerra Fredda.

Il socialismo “autentico” è quello in cui ogni uomo ha le medesime possibilità di esprimersi secondo le proprie capacità: e questo può essere ottenuto esclusivamente socializzando il potere politico tramite la socializzazione della capacità economica. 

Questo processo non può avvenire tramite il laissez-faire, ma tramite il controllo collettivo dell’economia per mezzo dello Stato.
Ovverosia, la libera concorrenza non porta “all’egualitarismo astratto dal liberalismo”, ma all’asservimento di chi rimane escluso dal – o asservito al – processo produttivo a causa del fatto che, come qualsiasi competizione, anche quella del mercato ha i suoi vincitori.

(Vincitori che – come in qualsiasi competizione in cui ci sono mezzo i soldi – sono tali in quanto i migliori a “barare”: da cui il liberalismo come via verso la tirannide)

Coloro che vincono a questa competizione a cui molto pochi hanno interesse a partecipare, hanno in premio il “monopolio” [ndr; o il suo equivalente, anche secondo Basso: l’oligopolio, apparentemente frammentato ma in posizioni co-dominanti concordabili].

Gli unici monopoli ammessi dal socialista – ossia dal democratico “sostanziale” – sono quelli di Stato.
I “socialdemocratici illusionisti” di cui parla Basso assomigliano molto ai socialisti liberali tedeschi ed italiani.

Infatti il keynesismo della nostra Carta non è quello né inglese, né tedesco, né rooseveltiano.

Il secondo comma del terzo articolo fa la differenza… portando il keynesismo alle sue estreme conseguenze [da cui, in connessione, la feroce insofferenza mediatico-culturale delleoligarchie nostrane verso l’art.41 della Costituzione, che vieterebbe la socializzazione dei costi determinati dai fallimenti del mercato, di cui assume la definitiva irrealizzabilità nella ipocrita forma “scolastica” della concorrenza perfetta].

Kalecki o la Luxemburg l’avrebbero sottoscritta la nostra Carta. 

Con lode”.

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