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DOVE VA A PARARE IL ( NEO-KEYNESIANO) STIGLITZ di Luciano Barra Caracciolo

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[ 12 ottobre ]

Barra Caracciolo svela come il noekeynesismo sia un rifacimento cosmetico made in USA del pensiero economico neo-classico, quindi niente più che una variante del liberismo. [1]

1. Fingiamo per un attimo che Stiglitz non sia parte di un establishment USA, storicamente connotato dal nuovo modo di essere “democrat” (e cioè liberalben radicato nella upper middle class); e fingiamo pure, per un attimo che Stiglitz non sia il terminale spendibile, —in un’€uropa sempre più squassata dal dramma della disoccupazione e della dottrina ordoliberista al potere—, di un blocco di potere che, pur annoverando tra le sue fila, per l’appunto, persone di oggettivo valore, non riesce a produrre altro che Hillary Clinton come sua punta di diamante politica e la prospettiva, sempre più concreta, di una guerra globale nucleare
Forti (…) di questa “ipotesi” di laboratorio, andiamo dunque a esaminare senza pregiudizi (determinati dal contesto che abbiamo scartato), le interessantissime risposte date da Stiglitz a questa intervista (disponibile fortunatamente in italiano): Referendum, Stiglitz: “Se Renzi perde parte fuga dall’euro”.

2. Esaminiamo la prima risposta del Nobel per l’economia, che segue ad una domanda circa la pericolosità (addirittura!) del suo ultimo libro, per aver “fornito munizioni a tutti i populismi”, ripiombando l’€uropa nella sue “paure” (cioè la domanda tendeva ad affermare che senza l’euro gli europei non sarebbero capaci di mantenere rapporti civili e cooperativi nei reciproci confronti!!!):  

“Si riferisce al mio libro, L’euro e la sua minaccia sul futuro dell’Europa? L’ho presentato ovunque – risponde Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, consigliere di Hillary Clinton, a Bologna per la Biennale dell’Economia cooperativa – da Friburgo alla Francia, dalla Gran Bretagna a Amsterdam, discutendo con il ministro olandese Dijsselbloem ( presidente dell’Eurogruppo e dell’European Stability Mechanism , ndr) e con altri vertici europei.Tutti hanno detto che sbagliavo, ma si sono dichiarati d’accordo sulle mie analisi. L’economia europea rallenta, la disoccupazione è in aumento, la produzione industriale ristagna e sempre più gente si scaglia contro l’euro. Tutti hanno detto che sanno bene quali riforme bisognerebbe fare, ma sono molto difficili da realizzare. ‘E comunque l’euro ce lo teniamo’, è la loro conclusione unanime”.

Intendiamoci: le “riforme” cui si riferisce Stiglitz non sono quelle che vogliono proseguire i governi attualmente in carica nell’eurozona, come obiettivo irrinunciabile, che, ovviamente, sarebbero agevolate dal “sì” alla riforma costituzionale in Italia. Quelle “riforme”, lanciate sull’altra parte dell’Atlantico proprio dalla guida neo-(anarco)-liberista apprestata dagli USA, sono il problema perché sono praticate all’interno di un’area valutaria volutamente imperfetta. Stiglitz se n’è accorto e ci ha scritto un libro su. 
Luciano Barra Caracciolo


3. Le riforme che egli indica come un rimedio alla crisi €uropea sono invece relative ai trattati: ma non proprio a tutta l’impostazione dei trattati, quanto, in concreto, relativamente alle regole applicate nell’eurozona. Si tratta in pratica del governo fiscale, federale, capace di operare i trasferimenti in modo che l’unione monetaria sia connessa ad un’unione politica compiuta, capace di provvedere ai bisogni territorialmente differenziati (dagli squilibri economici determinati proprio da “questa” moneta unica) delle popolazioni coinvolte nell’eurozona.
Come abbiamo anticipato varie volte, e da anni, Stiglitz prende atto che “i vertici europei” sono ben consci che queste “riforme” sarebbero necessarie ma che siano difficili da realizzare. Quindi si deve andare avanti così.
Ovvio: il giochino sottinteso nel linguaggio diplomatico (in senso lato) utilizzato da Stiglitz e dai suoi interlocutori è che le riforme (dei trattati) sono impossibili, in quanto fuori da ogni agenda e concretezza politica

Il presidente della Commissione Ue: «Non ci saranno mai, nazioni e popoli amano le proprie tradizioni»
4. Seriamente: riformare l’UEM è politicamente impensabile. Sia perché non lo vuole la Germania (anche per i chiari vincoli della sua Costituzione al riguardo (qui. p.2)), una Germania che ha assunto il ruolo di azionista di maggioranza nella Holding imperial-€urista, sia perché non lo vogliono i responsabili di governo, e quindi le elites, dei vari Stati dell’eurozona.

E di questo Stiglitz appare tanto cosciente che a una successiva domanda sull’euro a due velocità, risponde:  

Non credo sia possibile in EuropaL’ideologia dei banchieri centrali e della Commissione Europea è fortemente contraria alla doppia valuta. Ma nel mio libro indicavo la strada di una valuta diversa per il mercato dei beni e per quello dei capitali”.

In questa risposta, Stiglitz, che pure è uno dei più autorevoli e approfonditi critici delle banche centrali indipendenti, rende atto che i banchieri centrali e gli omogenei tecnocrati della Commissione UE sono quelli che decidono: anzi, gli unici che decidono quali politiche monetarie e fiscali adottare. E in definitiva, sono già stati gli “autori” dei trattati: sicché, non hanno alcuna intenzione di smettere di difenderli (anche perché, ai loro occhi, stanno funzionando fin troppo bene).
Rammentiamo come sia sempre di stretta attualità l’essersela presa col solo Barroso per i suoi futuri rapporti professionali con Goldma&Sachs dopo essere stato presidente della Commissione, dimenticando completamente che l’emergere di un conflitto di interessi getta un’ombra, proprio e principalmente, sui passati rapporti con il potere economico al quale si rivela ex post la propria vicinanza, e in relazione agli atti di governo e alle prese di posizione adottati mentre si era in carica.
Ma le “porte girevoli” (v. qui, nel gran finale) sono una specialità molto americana, e Stiglitz ha imparato a proprie spese che è meglio non sollevare troppo apertamente questo genere di problemi (rammentiamo in proposito “l’epopea” Stiglitz vs. Summers, sulle politiche imposte dal FMI).

5. Ma è la successiva risposta di Stiglitz che ci fornisce un chiarimento, “di merito”, sulla sua visione delle riforme intraprese sotto l’egida (formale) dell’€uropa di Maastricht —riforme che, come abbiamo visto innumerevoli volte, sono incentrate sulla flessibilizzazione neo-classica (o neo-keynesiana) del mercato del lavoro e sulla connessa privatizzazione del welfare: 

La Germania ha imposto il rigore che ha ucciso la crescita in Europa. Credo sia molto difficile fare le riforme quando il popolo soffre. Molti tedeschi, invece, credono che il tempo migliore per fare le riforme sia proprio quando c’è crisi. Secondo me, quando le riforme sono fatte con la pistola puntata alla testa vengono partorite male, non sono accettate dai cittadini e diventano insostenibili“.

Sintesi fenomenologica della posizione assunta da Stiglitz e alla quale appare funzionale il suo libro: il rigore fiscale, in una situazione in cui non è permessa la svalutazione del cambio perché si è in una moneta unica (e per di più con i tedeschi!), porta a un grado di “sofferenza” popolare – oltre che….bancaria, elemento da non trascurare e che Stiglitz, proprio lui, non può non avere ben presente-, tali da divenire “insostenibile”.

Quindi, almeno per l’Europa, le riforme, cioè l’abolizione della tutela del lavoro, dell’autonomia collettiva del sindacato, la drastica riduzione pro-mercati (finanziari) di tutela sanitaria e previdenziale, non sono un male in sè, ma risultano esserlo per l’eccesso di “durezza del vivere”, concentrato nel tempo, di cui sono portatrici quando sono adottate dentro un’area valutaria cui non corrispondano istituzioni politico-economiche comuni adeguate.

Implicita, ma necessaria, in questa visione di Stiglitz, è la logica del “sapersi fermare quando i risultati ottenuti sono ragionevolmente buoni”: usare in dosi aggiuntive (e letali) lo strumento dell’euro per mettere in pericolo, per via di un collasso economico e del consenso, questi stessi risultati, rischiando un arretramento della linea restaurativa dello Stato “ridotto”, per arrivare allo “Stato minimo”, non ha mai portato fortuna. Ed è comunque un rischio troppo alto visti i precedenti analoghi in Europa (basti citare la seconda guerra mondiale).


6. In tutto questo discorso, dunque, riemerge il clou del neo-keynesianesimo a epicentro USA: l’unione europea risponde a dei vantaggi geopolitici di lungo ed ampio scenario, e consente più efficacemente di rendere il vecchio continente simile all’America
L’omogeneità raggiunta (considerando l’effettiva situazione di paesi, citati da Stiglitz, come Grecia e Italia), è già un risultato notevole: perché “esagerare” (benedetti tedeschi)?
Il problema di “democrazia”, in tutto questo, non è presente: tanto che in una successiva risposta Stiglitz aggiunge, un po’ genericamente e cripticamente, se non in modo incoerente, che di fronte alla Brexit, Juncker:  
“avrebbe dovuto spiegare i fattori positivi e le opportunità dello stare insieme, piuttosto che puntare sulla paura”.
Sì però, a Juncker la lista delle cose non terroristiche che dovrebbero tenere insieme l’€uropa proprio non gli viene in mente:è troppo abituato a mettere le scelte sul tavolo, attendere che la gente non ci capisca un tubo e poi portare la decisione già presa al “punto di non ritorno”.
Elementi del quadro €uropeo, storicamente molto abusati ormai, cheStiglitz pare del tutto ignorare: per lui le riforme non sono un male in sè e la teorizzazione che possano comunque, euro o non euro, rigore o non rigore, essere accettabili solo se alla gente non viene fatto capire nulla, pare sfuggirgli nella sua fondamentale importanza.

7. Al termine di questo commento ad uno Stiglitz in missione €uropea, dunque, mi permetto un piccolo commento finale sul problemino di democrazia: pensare a un’uscita dell’euro “da sinistra”, è un controsenso, perché questa uscita automaticamente ripristina la potenziale e recuperata applicabilità del modello costituzionale. E, quindi, determina la possibilità di porre in fuorigioco, cioè di far riemergere la illegittimità costituzionale, delle riforme, antisociali e antilavoristiche imposte dall’appartenenza all’Unione europea. In nome dell’euro: che non è “solo una moneta” (come dicono gli spaghetti-liberisti più estremi) e neppure, “solo” il nemico della crescita, come nota Stiglitz…nel 2016. E’ il disegno da lungo tempo perseguito dalla oligarchia per abbattere le Costituzioni democratiche.

8. Stiglitz, semplicemente, non risulta (voler essere) cosciente di questo ordine di problemi, pur potendo vantare un “realismo” di visione sociale certamente molto più avanzato della media della ruling classd’oltreoceano (inclusa la Clinton, ovviamente): la parte più importante del malcontento che viene definito “populismo” non è altro chel’aspirazione ad una democrazia inclusiva dei più deboli che non è più compatibile con ulteriori dosi di riforme
Riforme che, tra l’altro, negli USA stanno già manifestamente portando all’apice della instabilità finanziaria e, più ancora, sociale, di cui lo stesso Stiglitz dovrebbe preoccuparsi. Molto (e probabilmente già se ne preoccupa: per questo gira l’€uropa in tempo di elezioni presidenziali…).

* Fonte: Orizzonte 48
Note

[1] Di passata Barra Caracciolo scrive: «…pensare a un’uscita dell’euro “da sinistra”, è un controsenso, perché questa uscita automaticamente ripristina la potenziale e recuperata applicabilità del modello costituzionale».
Un’obiezione seria che chiama in causa questa redazione, che dunque è chiamata a spiegarsi. Speriamo di farlo prossimamente.

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