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FALCE E CARTELLO, MATRIMONIO IMPERFETTO il pedante

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George Soros

[ 15 novembre ]


Si è già visto su questo blog come le politiche reclamate dai grandi detentori di capitali a detrimento della restante umanità spesso coincidano stranamente con quelle auspicate da coloro che dovrebbero esserne i nemici più consapevoli e attrezzati: cioè le sinistre “vere”, quelle che si identificano nell’impostazione originaria e più che mai attuale della lotta tra chi lavora e chi specula.
Ripassiamone qualche esempio:
  1. le tasse patrimoniali (ne abbiamo parlato qui) invocate insieme dalle sinistre tsipro-rifondarole e dagli strozzini del FMI;
  2. il reddito di cittadinanza e altre forme di elemosina o trickle-down (v. qui), che mettono d’accordo non solo i miliardari à la Grillo, gli zerbini finanziari à la Renzi a botte di 80 denari e, nell’ultima versione pervenuta, gli affamatori della BCE con l’helicopter money, ma anche i Vendola, i Ferrero e tutta la sinistra compagnia di chi baratterebbe il lavoro per una briciola di capitale;
  3. l’apertura senza limiti all’immigrazione, poco importa se da stipare nei lager onegli agrumeti a 3 euro l’ora, cavallo di battaglia dei pauperisti di sinistra e, insieme, del re degli speculatori George Soros che investe milioni per promuovere lo sversamento del Terzo Mondo in Europa e USA;
  4. l’integrazione politica e la moneta unica europee, difese dall’impero americano e dal caviar-marxista Varoufakis, da Goldman Sachs e da Giulietto Chiesa (che pare abbia cambiato idea);
  5. diritti civili aka cosmetici LGBT, abortisti, antitradizionalisti e gender, i cui paladini contano su un’alluvione di finanziamenti da parte di multinazionali, banche d’affari e ricchi conservatori di destra, oltre che del solito Soros;
  6. nei casi più moderati (cioè deteriori), la demonizzazione dell’evasione fiscale, della corruzione e del denaro contante, già cara a Mario Monti e ai banchieri centrali.
Questa sbalorditiva comunione di intenti tra falce e cartello, questi amorosi sensi tra guevaristi e multinazionali, si prestano a diverse chiavi di lettura. Sul piano delle intenzioni ci assiste la categoria già analizzata in questo bog del questismo
Le sinistre sedicenti alternative non vogliono questa patrimoniale che colpisce la prima e unica casa delle famiglie e/o i risparmi degli anziani, ma un prelievo sui patrimoni dei super ricchi: cioè quella che non esiste. Non vogliono questo reddito di cittadinanza per ricattare gli indigenti (come in Inghilterra e Germania), ma un sostegno incondizionato e universale: cioè quello che non esiste. Non voglionoquesta immigrazione da condannare allo sfruttamento, allo sradicamento e alla discriminazione, ma un’integrazione piena degli stranieri con la dignità di un reddito oggi negata agli stessi italiani: che quindi non esiste. Non vogliono questaEuropa dei banchieri, ma quella dei popoli: che non esiste. Eccetera.
Il questismo incarna una visione consolatoria dove le politiche non sono sbagliate in sé, ma lo sono l’intenzione e il sostrato ideologico che le declinano, alimentando così l’illusione di condurre una battaglia schiettamente ideale che non metta in discussione gli atti del nemico, ma li orienti verso un fine migliore. In questa pia illusione manca naturalmente l’idea dei rapporti di forza in gioco. Se le politiche in oggetto sono progettate e concepite all’origine per servire determinati fini, e se chi le gestisce ne manovra indisturbato e sovrano l’applicazione, la scelta di sostenerle coincide con l’accettazione dei loro obiettivi.
Come si è già osservato, il questismo nasce con la pretesa di mettere i sogni in concorrenza con la realtà e finisce per mettere i sogni al servizio della realtà. Il realismo politico di chi fa il lavoro di Soros per sconfiggere Soros è pari a quello di chi avesse chiesto al Reich di non fermare la costruzione dei lager ma di farne dei luoghi di pace e riflessione. Come è poi effettivamente successo: dopo qualche milione di morti.
Si consideri poi l’inclinazione antagonista di queste forze politiche, il cui impegno si esprime di norma nell’individuazione di un nemico di facile e simbolica identificazione. In ciò si può concedere il pregio di focalizzare gli sforzi, ma solo a patto di mantenere ben aggiornato l’identikit dei bersagli demistificandone i travestimenti nell’arco mutevole delle circostanze storiche e dei posizionamenti politici.
Sicché farsi ossessionare oggi da chi porta i fiori a Predappio o sventola la croce celtica negli stadi è un caso di discronia ideologica da parte di chi ignora che, ormai da decenni, il capitale si è reincarnato nei partiti progressisti che onorano la lotta partigiana. Ma forse più grave è il disprezzo sessantottardo che in certi casi si leva contro la residua classe media, quella che un tempo chiamavano borghesia, alla quale si rimprovera l’egoismo meschino e pantofolaio dei privilegiati. Non che molti dei suoi esponenti non lo meritino: questo blog ospita una fenomenologia dei moderati dove se ne deplora la dominante ideologia lumacona e gregaria, pavida e osannatrice del potere di turno.
Ma stigmatizzare lo squallore intellettuale di una classe – peraltro neanche tutta – è ben diverso dal disprezzarne le istanze di sicurezza economica e sociale. Nel difendere con le unghie benessere e patrimoni maturati nella parentesi del dopoguerra, la classe media italiana – anche quella che vota Meloni, anche quella che legge Libero, anche quella che ha paura degli immigrati – difende le conquiste di una sinistra che ha dato il sangue per l’emancipazione dei deboli. La stessa esistenza di una classe media, in Italia come all’estero, è il documento storico di una vittoria sul capitale certamente incompleta, ma unica per estensione e profondità nella storia, dalla quale è d’obbligo ripartire senza arretrare di un millimetro.
Schifare le paure piccolo-borghesi per l’orticello è sputare sulla tomba di chi cent’anni fa scioperava sotto i fucili per quell’orticello. Ma è anche mettersi al servizio di un capitale che oggi ha deciso di riprenderselo, anzi di riprendersi tutto: diritti del lavoro, salari, patrimonio, welfare, incominciando come è ovvio da chi ha ricevuto di più. E non certo per ridistribuirlo ai poveri. Se riconoscere i propri nemici è importante, lo è altrettanto riconoscere i nemici dei propri nemici. Chi straccia i libri di Salvini rende un favore a Mario Draghi e Bini Smaghi – i cui libri infatti riposano intonsi. Se il primo difende solo i redditi degli italiani infischiandosene del mondo, i secondi, da veri internazionalistipuntano a ridurre i redditi di chiunque viva in Europa.
Il capitale agisce secondo opportunità, non simboli o appartenenza. In questo agile agnosticismo sta il segreto delle sue vittorie nella guerra dei consensi. Mentre gli avversari danno la caccia ai fantasmi di Ciano e di donna Rachele, il capitale si è già disfatto dell’impresentabile autoritarismo di destra per indossare il tweed delle sinistre internazionali, progressiste e democratiche. E mentre queste ultime sembrano declinare nel gradimento dei consumatori, già invita a colazione le facce pulite del movimentismo che avanza. Se invece dovessero prevalere i nazionalisti, si adopererà per infiltrare anche questi. Il capitale è rosso sul rosso, nero sul nero. Intinge i suoi interessi nella vaselina dei valori di volta in volta più nobili e/o in voga: la solidarietà, l’onestà, il sacrificio, la fratellanza tra i popoli, la pace, la libertà sessuale ecc. come ieri la patria, la religione, l’onore, il re.
Il mimetismo del grande capitale vince perché i consumatori della politica leggono le etichette senza assaggiare il prodotto. Indossa la casacca dei suoi oppositori per farseli complici, ne asseconda le passioni e le mode per sdoganare i suoi fini. È, insomma, la dementia symboli:
portare la guerra promettendo la pace,
portare lo sfruttamento promettendo l’integrazione,
portare la corruzione promettendo l’onestà,
portare la dittatura promettendo la democrazia,
portare il conflitto sociale promettendo la fratellanza,
portare il fascismo promettendo l’antifascismo,
ecc.
Se invece di interrogarci sui significati – o peggio sui significanti – osservassimo gli effetti, la storia recente sarebbe un libro aperto e le politiche in corso si rivelebbero per ciò che sono e che i numeri dimostrano: strumenti usa-e-getta per affermare gli interessi di pochissimi a spese di tutti. Gli atti di chi porta interessi opposti ai miei sono atti che ledono i miei interessi. Punto. E va da sé che assomiglino tanto ai miei sogni: la rassomiglianza non è casuale, è una strategia di marketing.
Oppure…
Oppure c’è un’altra ipotesi, la più penosa da credere. Che alcuni compagni, in un ribaltamento allucinato dei rapporti di forza, credano di sfruttare l’abbrivio del capitale triumphans per avvicinarsi astutamente alla rivoluzione, e di saltar giù dal treno dei ricchi prima dello schianto. Ad esempio per mettere fuori gioco i nemici del momento (mister B, i razzisti, i fascioleghisti ecc.) o per realizzare obiettivi ritenuti propedeutici e urgenti. Così Jacopo Fo, il più patologico e sincero, quello che dio-è-comunista-e-femmina, nel 2012:

Il motivo per cui io ringrazio Monti, teatralmente in ginocchio, è perché, nonostante una serie di azioni indegne, è riuscito (miracolosamente!) a evitare che il capitano Schettino portasse la nave a inabissarsi!!! E vorrei aggiungere che alcune leggi terribili le ha fatte forse anche perché erano la contropartita per ottenere alcune cose essenziali.

O ancora nel 2014:

Il pericolo oggi… è quello di non capire che anche se Renzi è cattivo dentro riuscirà a realizzare un’enorme riforma dello stato, culturale e legislativa. Non farà le riforme come le farei io, non saranno perfette, non renderanno l’Italia un paese giusto. Ma è un fatto che oggi esiste una maggioranza di italiani… che pretende il cambiamento e che pure gli interessi del grande capitale e degli imprenditori spingono in questa direzione: portare l’Italia a un livello austriaco di legalità ed efficienza.

Furbissimo

* Fonte: Il Pedante

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