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IO, DANIEL BLAKE

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[ 29 novembre ]

“Io, Daniel Blake” di Ken Loach rappresenta con crudezza la spietata trasformazione del servizio pubblico in dispositivo volto alla creazione di profitto. Stritolato tra il sacco della previdenza svenduta ai privati e le logiche di austerità, il welfare state universalistico tramonta all’orizzonte del Settentrione d’Inghilterra, mentre il corpo e la salute diventano l’ultimo, definitivo bacino d’estrazione

Non c’è più salvezza davanti al referto autoptico della società inglese. Con Io, Daniel Blake, vincitore della Palma d’Oro a Cannes, Ken Loach sceglie di guardare la Bestia negli occhi, mettendo in scena il termine ultimo dei Trentacinque anni ingloriosi, cominciati con Margaret Thatcher, proseguiti con Tony Blair e divenuti l’incubo in cui sprofonda un falegname di Newcastle che prima perde il lavoro e poi tutto il resto. Se Loach continua – oggi più che mai – a far piovere pietre, Io, Daniel Blake è un diluvio di sassi acuminati che straziano la carne.
Della working class che sapeva “tenere”, non è rimasto niente. L’orgogliosa appartenenza di classe è sprofondata in un abisso di solitudine. Le pratiche di resistenza collettiva sono infrante. E così, anche le storie devono cambiare. Non è più il tempo di quella filmografia targata anni Novanta che, nella chiave del dramedy, da una prospettiva obliqua e con un sorriso a tratti malinconico, a tratti scanzonato, raccontava la disperazione mitigata, il resto di speranza, l’ultima occasione dei sopravvissuti alla rivoluzione conservatrice di Ronald Reagan e della Lady di ferro. Pellicole come Grazie, signora Thatcher o Full Monty sono irrimediabilmente consegnate al passato, insieme alle strategie d’uscita dei dancing dreams di Billy Elliot o al rifugio nelle sottoculture tribali della strada: This is England, adesso, suona This is the end.

United Kingdom, oggi. Benvenuti all’inferno.

Daniel Blake, falegname, analfabeta digitale, uomo della provincia profonda, viene sospinto da un’improvvisa malattia oltre i bordi della cittadinanza, espropriato dalla titolarità dei diritti e proiettato nelle procedure kafkiane della nuova assistenza sanitaria. Sono passati dieci anni dalle contro-riforme con cui Tony Blair rovistò nel cestino della spazzatura della Thatcher per aprire il campo ai privati nel National Healthcare System, l’antica, gloriosa architrave dello stato sociale britannico.  E ne sono passati quattro da quando i conservatori dell’obliato David Cameron hanno varato l’Health and Social Care Act approfondendo il solco delle privatizzazioni e della competizione in termini finanziari tra strutture. Risultato? Largo al mercato e nessun apprezzabile miglioramento sotto il profilo dell’efficienza. Anzi…
Ora, a svelare impietosamente la ferocia della più antica democrazia d’Occidente non c’è il soggetto migrante o il giovane precario. La faglia si apre nella vita di un inglesissimo lavoratore, nel momento in cui salta il patto sociale e va in frantumi un modello d’inclusione. Privato del lavoro, Daniel scopre di non avere accesso a quel welfare state che è stato il vanto dell’economia sociale di mercato made in England. Lo schiaffeggiano formule come «professionista della sanità, default, CV da formattare».
Interminabili telefonate al call center lo precipitano in una tragica, paradossale sospensione dell’attesa, questionari standardizzati lo inchiodano come sventagliate di mitra. Lui prova a tenere. Ma si tratta di una resistenza tanto più dolente, quanto più si consuma in solitudine. È passata un’era geologica dal 1984, l’anno dell’ultima lotta, della leggendaria battaglia dei minatori che si opposero a Maggie.
Eppure, Daniel non si piega e cerca ancora di tessere la trama della solidarietà dal basso, aiutando Katie, madre single, che un lavoro smetterà perfino di cercarlo. Vittima degli spersonalizzanti dispositivi del servizio pubblico, sradicata da Londra per usufruire dell’assegnazione di una casa popolare, la donna sceglierà di prostituirsi. Non servono affetto e amicizia, non bastano l’aiuto reciproco e la banca del cibo. Le possibilità di sopravvivenza stanno fuori dalla legalità, oltre l’appartenenza del lavoratore alla classe, al di là dell’adesione a un patto di civile convivenza. Non a caso uno che ce la fa è il vicino di casa di Daniel, il giovane di colore dedito a un traffico di scarpe importate dall’Oriente, grazie a un amico cinese patito della Premier League. Neanche nel football c’è innocenza. E a Daniel manca il sostegno dell’idolo Cantona che sosteneva il postino di Manchester protagonista di Looking for Eric.
In quest’esempio di circolazione delle merci, dalla Cina all’Inghilterra, è facile cogliere una versione in scala del famigerato mercato globale, da cui gente come Daniel è rimasta tagliata fuori. Se il giovane nero se ne frega della legge, puro interprete del libero scambio, il falegname di Newcastle si ostina a rivendicare la cittadinanza inglese e i diritti che dovrebbe garantire. Questa caparbietà costa cara, perché – al posto della cittadinanza e dei diritti – c’è la Bestia: la voracità di un capitalismo che intensifica l’estrazione di valore. Daniel non ha fatto in tempo a votare il referendum sulla Brexit, ma non è difficile immaginare che avrebbe potuto esprimersi a favore del Leave, uno tra tanti nelle schiere d’invisibili dimenticati dalle fibre ottiche, dalla connessione telematica e dalle reti planetarie degli scambi.
Io, Daniel Blake rappresenta con crudezza la spietata trasformazione del servizio pubblico in dispositivo volto alla creazione di profitto. Stritolato tra il sacco della previdenza svenduta ai privati e le logiche di austerità, il welfare state universalistico tramonta all’orizzonte del Settentrione d’Inghilterra, mentre il corpo e la salute diventano l’ultimo, definitivo bacino d’estrazione. Loach racconta della provincia britannica impoverita, ma col gesto del grande narratore mette in scena la parte per il tutto, indicando la tendenza che da troppo tempo sta investendo l’Occidente.
E a ben vedere, tra la contea di Tyne and Wear e la rust belt degli USA, tra il dignitoso coraggio di Daniel e le paure della middle classamericana il passo – purtroppo – rischia di essere dannatamente breve.

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