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L’Eurozona non è riformabile: a grandi passi verso la fine di Marco Zanni*

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[ 24 novembre ]

Marco Zanni [nella foto] è europarlamentare del Movimento Cinque Stelle
Che l’Eurozona non sia riformabile e irrimediabilmente collasserà perché politicamente insostenibile l’hanno già spiegato in molti e in tempi non sospetti, lo ha spiegato il sottoscritto e molti cittadini italiani ed europei lo hanno capito.
Tuttavia molti ancora non l’hanno capito, o meglio, non vogliono capirlo perché interessati a mantenere questo stato di perenne agonia in cui aumentano le diseguaglianze tra i più ricchi (sempre meno e sempre più ricchi) e i poveri (sempre di più e sempre più poveri). Allora approfittiamo delle raccomandazioni autunnali della Commissione Europea agli stati membri dell’eurozona e della netta risposta che il ministro delle finanze tedesco, Schaeuble, ha rimandato dritta a Bruxelles per ribadire a tutti che questa costruzione è tecnicamente e politicamente irriformabile e quindi imploderà sotto i colpi della sua stessa insostenibilità.

L’obiettivo dell’UE esplicitato nettamente da Maastricht in poi è chiaro: una restaurazione liberista che ha smontato a colpi di “crisi telecomandate” e “ce lo chiede l’Europa” lo stato sociale e le tutele dei lavoratori tipiche delle Costituzioni nazionali democratiche degli stati della periferia europea, operando, attraverso anche una deregolamentazione finanziaria spinta alla follia, una redistribuzione dei redditi dal lavoro al capitale.


In questo scenario la Germania è stata politicamente e strategicamente abile a imporre il suo modello di sviluppo socio-economico (l’Ordo-liberismo mercantilista) e a creare un set di regole asimmetriche per punire le cicale del Sud Europa che si indebitano e vivono al di sopra delle proprie possibilità. Perché da Maastricht, al Patto di Stabilità e Crescita, al suo rafforzamento, al Fiscal Compact, alla Banking Union, al Six-Pack e al Two-Pack l’obiettivo è stato chiaro: per curare le asimmetrie andavano puniti severamente gli stati in deficit. 


Tuttavia ci si è sempre e volutamente dimenticati che se c’è un deficit da una parte, dall’altra c’è un surplus (il gioco è a somma zero) e se c’è qualcuno che è tanto irresponsabile dall’essersi indebitato troppo, dall’altra parte c’è un creditore altrettanto irresponsabile che gli ha prestato i soldi. In UE e nell’eurozona però le regole sono state costruite e interpretate sempre per far ricadere il peso degli aggiustamenti sugli stati in deficit e sui loro cittadini. E laddove le istituzioni europee hanno provato a far notare molto timidamente che la colpa delle asimmetrie nell’eurozona è anche dei creditori, l’egemone stato tedesco ha preso a schiaffi Bruxelles e ha ributtato violentemente la palla dall’altra parte, infischiandosene di quelle regole che invece con tanto zelo impone ai partner europei.


Personalmente credo che l’eurozona sia insostenibile socialmente e politicamente. Tuttavia possono essere fatti alcuni aggiustamenti “tecnici” affinché gli squilibri causati dalla rigidità del cambio e dalle politiche deflazioniste tedesche vengano combattuti, almeno in parte. E’ già stato spiegato dalla scienza economica e da autorevoli commentatori che in un sistema a cambi fissi come quello dell’eurozona i differenziali d’inflazione tra gli stati membri causano perdita di competitività, squilibri della bilancia commerciale e indebitamento estero soprattutto nel settore privato dei paesi in deficit. Non potendo aggiustare la situazione con il cambio, devono essere fatti altri aggiustamenti; ma questi devono essere simmetrici. Nel caso dell’eurozona la Germania, Paese in costante surplus commerciale e fiscale, dovrebbe inflazionare (quindi alzare la spesa pubblica e alzare il livello dei salari), mentre la periferia dovrebbe deflazionare, come sta facendo a peso della distruzione della propria economia.


Nello sviluppo della crisi post 2010, le regole europee sono state però volutamente asimmetriche: la periferia è stata costretta a deflazionare, con austerità e contenimento dei salari, mentre la Germania se n’è infischiata delle regole e ha continuato a mantenere inflazione vicina allo zero, a registrare surplus fiscali di bilancio e ad aumentare il suo surplus commerciale, sfruttando il suo tasso di cambio reale pesantemente sottovalutato, come fatto notare anche dal Fondo Monetario Internazionale e dall’OCSE. 


Dopo il 2013 la Commissione Europea, nelle sue raccomandazioni periodiche, su sollecito anche delle nostre denunce al Parlamento europeo sul mancato rispetto delle regole da parte dei tedeschi, ha provato timidamente a chiedere alla Germania di aumentare la sua spesa pubblica, di diminuire il suo abnorme surplus delle partite correnti e di alzare il livello medio dei salari, ricevendo puntualmente la porta in faccia da Schaeuble: questa è l’essenza dell’eurozona, cioè un sistema asimmetrico in cui i più forti interpretano le regole a loro favore, non le rispettano e in cui si creano vincitori e vinti a un prezzo altissimo, in barba a quella cooperazione socio-economica tra gli stati membri scritta a chiare lettere nei Trattati.


L’ultimo fatto dell’evidenza empirica di questa irriformabilità e della distruttiva asimmetria dell’Unione Monetaria Europea è di questi giorni: la Commissione Europea ha per l’ennesima volta richiamato la Germania chiedendo per il 2017 un aumento della spesa pubblica, che porterebbe il bilancio tedesco da un surplus a un deficit fiscale nel 2017. Schaeuble come prevedibile ha rifiutato la raccomandazione di Bruxelles, principalmente per due motivi: 1) Nella Costituzione tedesca è inserito saldamente il vincolo del pareggio di bilancio e loro non scherzano: per i tedeschi è chiara la supremazia della legge nazionale sui Trattati UE (cosa che per noi, piccole cicale del Sud, non è ancora chiara), quindi il Governo non può andare contro la Costituzione anche davanti a una richiesta della Commissione; 2) Questa situazione sta avvantaggiando enormemente (ma non ancora a lungo) la Germania, che quindi non ha nessuna intenzione di privarsi del vantaggio competitivo che si è costruita plasmando a suo favore le regole europee e soffocando gli stati europei più minacciosi per la propria sopravvivenza e prosperità. 


Per sintetizzare i tedeschi invece che rispettare i precetti della cooperazione socio-economica sancita nei trattati, hanno preferito seguire la più semplice filosofia del Mors tua vita mea. La Germania se ne fregherà delle regole europee, farà registrare il quarto bilancio pubblico consecutivo in surplus e continuerà con la sua politica di beggar-thy-neighbor, cioè di ricatto e soppressione del vicino. E questo lo farà per proteggere i suoi interessi e quelli dei suoi cittadini, anche a costo di danneggiare e soffocare i “cugini” europei, con cui in teoria ci deve essere cooperazione e armonia.


Ora, avendo ben chiaro come stanno funzionando l’Unione Europea e l’Eurozona, vale la pena porsi qualche domanda: Qual è il vantaggio di partecipare a delle istituzioni in cui non vi è alcuna cooperazione per un obiettivo comune ma, proprio per la sua natura intrinseca, c’è una competizione che si gioca con armi lecite e illecite alla quale sopravvivrà solo il più forte (la Germania) mentre gli altri, tra i quali noi, periranno? Come è possibile che istituzioni sovranazionali come quelle dell’UE non siano dichiarate incostituzionali perché incompatibili con l’articolo 11 della nostra Costituzione, che delimita chiaramente i confini entro cui lo Stato italiano può partecipare a organizzazioni internazionali? Ed infine, perché i nostri governi non rifiutano le distruttive e insensate regole europee quando queste creano pericolose asimmetrie e ledono i diritti fondamentali dei propri cittadini?


L’attuale classe politica italiana, e in particolare la sinistra cosiddetta socialdemocratica, ha enormi responsabilità nell’aver svenduto il Paese, i diritti dei cittadini e quelli dei lavoratori al capitale finanziario che ha agito incontrollato nella distruzione di quanto di buono fatto in Europa dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. 


Non potranno essere loro a portarci fuori dal baratro. Tuttavia è ormai chiaro che il castello di carta crollerà sotto la fragilità delle sue stesse fondamenta: il 2017 sarà un anno fondamentale, perché dopo la Brexit e Trump potranno esserci sorprese in Italia, Olanda, Francia e Germania. Chi dovrà gestire la transizione dovrà arrivare estremamente preparato, perché non sappiamo se sarà un processo soft o turbolento. 


Si dovranno mettere in campo alcune semplici politiche per riportare il Paese ai fasti e alla prosperità di un tempo ormai lontano:

1) Il ripristino della flessibilità dei cambi con una valuta controllata dalla banca centrale nazionale; 2) Una riforma profonda di Banca d’Italia che dovrà eliminarne l’indipendenza e il divieto di finanziamento del deficit pubblico, facendola tornare sotto l’egida pubblica e operare in sintonia con il Ministero del Tesoro per non lasciare in mano ai mercati finanziari il destino del nostro debito pubblico e la determinazione dei tassi d’interesse che paghiamo su di esso; 3) Una riforma profonda del sistema bancario privato, con il ripristino della separazione tra banche d’affari e banche commerciali e delle limitazioni precise della quantità di denaro creabile e disponibile per i prestiti,  in maniera coerente con il ciclo economico e con i rischi insiti di un eccessivo indebitamento del settore privato; 4) Un massiccio piano di investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, in riqualificazione energetica degli edifici, con la messa in sicurezza del patrimonio pubblico e del suolo contro il rischio sismico e le catastrofi ambientali, finanziato attraverso la monetizzazione del deficit da parte della banca centrale; 5) Il ripristino dei controlli sulla libera circolazione dei capitali, i cui movimenti devono essere strettamente monitorati dalle autorità statali e governative in quanto causa di possibili stress, come ampiamente dimostrato dalla teoria economica e dall’evidenza empirica delle crisi; 6) Il ripristino di una rigorosa e stringente regolamentazione dei mercati finanziari: questi dovranno essere a servizio e a supporto dell’economia reale; 7) Il ripristino di tutte le tutele ai lavoratori e alle altre categorie di cittadini come previste dalla Costituzione italiana del 1948. Il lavoro è e deve rimanere un diritto costituzionalmente garantito e tutelato dallo stato; 9) Il ristabilire rapporti con i partner europei sulla base del rispetto reciproco e della cooperazione verso obiettivi comuni di prosperità, sempre però nel rispetto delle democrazie nazionali e dei precetti costituzionali.


Questi sono solo i primi passi necessari da compiere una volta che ci troveremo a dover ricostruire le macerie di un Paese raso al suolo dall’adesione incondizionata al folle progetto; ma la cosa più importante sarà tener vivo nelle generazioni future il ricordo di queste scempio e delle cause che hanno portato alla più grande recessione economica della storia moderna.



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