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PRODI E D’ALEMA ORA SCARICANO RENZI MA È FIGLIO LORO di Stefano Fassina

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[ 27 gennaio ]

Critica dura, quella del compagno Stefano Fassina, al Partito democratico. Molto più a fondo si dovrebbe andare, e un’onesta autocritica non farebbe male. 

Fassina ribadisce tra l’altro che lo smantellamento della moneta unica è necessario e inevitabile, ma a patto che sia consensuale, e propone un”superamento cooperativo dell’euro”, allude alla nostra idea di “patriottismo costituzionale”  nel quadro di una nuova Unione europea “come confederazione fra stati nazionali”. Idea che sottoporrà, con davvero scarse possibilità di successo al prossimo congresso di Sinistra Italiana.

Per le manovre in corso a sinistra, sarebbe utile partire da una domanda: “Perché il discorso della sinistra è oggi tanto inefficace? Perché non ha fermato Donald Trump e non sembra sortire effetti concreti contro i populismi, i neorazzismi, le derive genuinamente antidemocratiche che agitano venti di tempesta in Europa e negli Stati Uniti?”

È la domanda che Nicola Lagioia affronta in un commento controcorrente dedicato all’analisi della vittoria di Trump (L’Internazionale, 19 Gennaio). È la domanda che, nelle dichiarazioni degli ultimi giorni, Romano Prodi, Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema evitano accuratamente. Invece, dovrebbero affrontarla prima di invocare il Mattarellum e il presunto bel tempo che fu: “L’Ulivo non è irripetibile” dice speranzoso il primo; “servirebbe un giovane Prodi” incalza convinto il secondo; “ricostruire il centrosinistra a partire dai candidati di collegio, con il ritorno al Mattarellum” indica disinvolto il terzo.

Certo, la scomoda domanda scolpita da Lagioia si può rimuovere dal piano politico attraverso la scappatoia del “renzismo”. Oggi, va di moda, anche nel dibattito congressuale di Sinistra Italiana, separare il Pd dal renzismo. Si scaricano le responsabilità sull’ultimo arrivato. Così, l’angosciosa domanda trova facile risposta e si riparte con L’Ulivo o il centrosinistra o il campo progressista, secondo il lessico più recente di politici che “quanto meno si misurano con l’analisi delle condizioni materiali, tanto più si esercitano nelle formule verbali” (Paolo Favilli, Il Manifesto).

No. Le rimozioni nella politica, come nella vita, si pagano care. No, Matteo Renzi non è un incidente di percorso nel Pd. Non è un usurpatore. Matteo Renzi è la conclusione del lungo ciclo post-89 della sinistra storica italiana e europea, dopo Blair, Schroeder, Zapatero, Hollande. In particolare, Matteo Renzi è l’interprete estremo, ma coerente, della democrazia plebiscitaria alla base dello statuto del Pd e del liberismo europeista celebrato al Lingotto.

Allora, di fronte all’insostenibilità economica e sociale della globalizzazione neo-liberista, “Perché il discorso della sinistra è oggi tanto inefficace?” In altri termini, perché il popolo delle periferie economiche, sociali, culturali, oltre che territoriali è diventato ovunque ostile alla sinistra storica e ai suoi derivati? La risposta è agra, ma evidente: perché la sinistra storica lo ha colpito e continua a colpirlo con la corresponsabilità dell’ordine neo-liberista.

Perché, risponde Lagioia, “A partire dagli anni novanta la sinistra pretende di sognare in proprio, mentre in realtà è il personaggio secondario di un sogno altrui. È in quel periodo che dà i primi vagiti la creatura ridicola, oggi diventata insopportabile a tanti, che potremmo chiamare Bravo democratico, o Bravo progressista, il proprietario della Tesla tutto dedito alle buone cause travolto da un tir”.

L’efficace sintesi vale per la sinistra extra-Ue (Stati Uniti). Vale per la sinistra extra-euro (Regno Unito). Vale, a maggior ragione, per la sinistra nell’eurozona. Qui, le responsabilità sono ancora più marcate: nell’eurozona, la sinistra storica ha promosso o almeno condiviso la costituzionalizzazione della versione estrema del neo-liberismo. Una “costituzione” europea, ossia i trattati e il Fiscal Compact, incardinata su principi (stabilità dei prezzi e concorrenza) radicalmente contraddittori con le costituzioni post seconda guerra mondiale, in particolare con la nostra (fondata sulla dignità del lavoro).

Quindi, una moneta unica finalizzata alla svalutazione del lavoro, fisiologia dell’euro, non frutto fuori tempo massimo della moda blairiana incorporata nel Jobs Act. In sintesi, il mercato unico senza standard sociali e ambientali, in particolare dopo l’allargamento a 28 dell’Unione, e l’euro sono stati fattori di aggravamento delle conseguenze negative della globalizzazione.

Insomma, cari Prodi, Bersani e D’Alema, ma andrebbero aggiunti gli altrettanto cari, senza ironia, Ciampi, Napolitano, Amato, Veltroni, i fiori all’occhiello del rimpianto Ulivo o centrosinistra, sono in realtà colpe gravi verso quelli che dovrebbero essere gli interessi di riferimento della sinistra.

Per scansare taglienti responsabilità e dare continuità al racconto, stagionati e freschi campioni de L’Ulivo o centrosinistra o campo progressista, dentro e a ridosso del Pd, ripropongono stancamente, oltre all’archiviazione dell’ “alieno” fiorentino, la retorica completamente astratta della riforma dei Trattati e della correzione di rotta da affidare ai partiti del socialismo europeo. Almanaccano di un'”altra Europa”, come fossimo di fronte a un accidentale deragliamento di un progetto progressivo.

Non vogliono prendere atto che l’Unione europea e l’euro hanno funzionato benissimo al fine di raggiungere il loro vero obiettivo: la marginalizzazione del lavoro sul piano economico, sociale e politico. Di fronte alla evidente impraticabilità politica nell’eurozona di programmi “Keynesiani”, che fare? Le strade sono due. Da un lato, l’arroccamento disperato dei “bravi democratici” e “bravi progressisti” nella cittadella assediata dai “populisti” per provare a attutire la svalutazione del lavoro imposta dall’inossidabile mercantilismo tedesco.

Dall’altro, un “divorzio amichevole”, come propone Joseph Stiglitz, della moneta unica. L’obiettivo di quest’ultima opzione non è una deriva autarchica, sovranista, ma il rilancio dell’Ue come confederazione fra Stati nazionali, rivitalizzati dalla riappropriazione della politica monetaria e di bilancio, del controllo dei movimenti di capitali, della protezione del lavoro negli scambi di merci e servizi.

Ovviamente, non si torna a Bretton Woods e ai “Trenta gloriosi”, ma almeno si riconquista qualche leva da agire in alternativa alla svalutazione del lavoro. Per il sottoscritto e per tanti altri sostenitori del No al referendum del 4 Dicembre scorso sta qui, nel superamento cooperativo dell’euro, la necessaria ragione fondativa di una forza animata da patriottismo costituzionale, ossia orientata a attuare la nostra Costituzione. La proponiamo in un emendamento al documento congressuale di Sinistra Italiana. Speriamo di fare qualche passo avanti.


* Fonte: HUFFINGTON POST, 27 gennaio

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