SE SI SPACCA IL PD CHE SUCCEDE A SINISTRA?
[ 27 gennaio ]
Carlo Bertini, sentite le gole profonde all’interno del Partito democratico, segnala, su LA STAMPA di oggi, quale sia il clima, da resa dei conti finale, tra i renziani e la cosiddetta “sinistra” bersaniana. Che Matteo Renzi voglia andare alle elezioni —infischiandosene delle pressioni in senso contrario di buona parte delle frazioni della grande borghesia che pure lo avevano sostenuto— è fatto acclarato. Tutti sanno che questo Parlamento non produrrà alcuna nuova legge elettorale, tantomeno riportando in auge il Mattarellum. Quello di Renzi è un escamotage, un pretesto per non apparire come lo sfasciacarrozze, quello che, come già fece con Letta, defenestra un governo a sua stessa immagine e somiglianza. Renzi non solo ha capito che se si arriva a fine legislatura rischia di essere bollito, ha capito che tra i cittadini la volontà di andare al voto è maggioritaria, e vuole intercettare questa onda.
Perché il Pd rischia di spaccarsi in vista delle elezioni? Semplice, perché Renzi, anche grazie all’infame regola delle liste bloccate, che gli consente di scegliere la stragrande maggioranza dei candidati che entreranno in Parlamento, taglierà fuori tutti quegli esponenti della opposizione interna. Non che questi non avranno un posto nelle liste, ma lo scranno dovranno guadagnarselo con le preferenze. E Renzi scommette che ben pochi bersaniani ce la faranno.
Ecco perché questi ultimi stanno mettendo nel conto di alzare i tacchi e di andare alle elezioni con una propria lista, immaginando, dato che la soglia elettorale per entrare in Parlamento, al 3%, garantirebbe loro più scranni che non restando nel Pd renziano.
Che poi la pattuglia parlamentare di questi “rottamati”, dopo le elezioni, immagini un’alleanza di governo di centro-sinistra con lo stesso Pd renziano, è fatto fin troppo ovvio.
Per questo e non solo per questo, le simulazioni che circolano sulla composizione del nuovo Parlamento [vedi quello IPSOS accanto], così come le diverse proiezioni sul voto, sono, come minimo aleatorie, se non del tutto inaffidabili (tanto per cambiare).
Non è solo il Pd che si dividerà. Altre fratturazioni potrebbero accadere, sia nel campo delle destre che nello stesso Movimento 5 Stelle. Vedremo…
Intanto c’è da segnalare che la molto probabile scissione del Pd, getta scompiglio nell’area della cosiddetta “sinistra radicale” —Sinistra italiana, Rifondazione e ammennicoli vari.
Se Bersani e D’Alema vengono via, potete scommettere che Sinistra italiana verrà letteralmente terremotata. Il Congresso fondativo (17-19 febbraio) potrebbe rivelarsi l’ultimo. La maggioranza, e nemmeno D’Attorre ne fa segreto, immagina di dare vita ad un partito coi bersaniani. Come minimo si vorrà andare ad un lista elettorale con i fuoriusciti del Pd, per riproporre poi un governo di centro-sinistra con i renziani. A questa ipotesi si oppone una fronda di sinistra capeggiata da Stefano Fassina. Per dire che il congresso fondativo di Sinistra italiana, potrebbe già sancire un divorzio.
Qui entra in ballo Rifondazione, che a sua volta, celebrerà il suo X. Congresso dal 31 marzo al 2 aprile. L’ipotesi a cui lavora la maggioranza (europeista) del Prc è quella di dare vita ad una lista di “sinistra radicale” che punti a superare lo sbarramento del 3%. Opera ardua in caso di concorrenza del blocco tra i fuoriusciti dal Pd e la maggioranza di Sinistra italiana. Ma è da vedere se gli europeisti di Rifondazione, capeggiati da Paolo Ferrero, usciranno davvero vincitori del Congresso…