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L’ADUNATA STUDENTESCA… di Luciano Barra caracciolo

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[ 11 febbraio ]

…..PER VOTARE “LIBERAMENTE” A FAVORE DELL’EURO

1. Che ne direste se, per un giorno, invece di studiare e cercare di accumulare conoscenze per capire cosa fare “nel” e “del” proprio futuro, gli studenti “delle scuole superiori” fossero convocati, e radunati, in massa abbastanza consistente, non si sa bene da chi e non si sa bene come, presso un teatro “per la tappa del progetto (approvato da quali autorità scolastiche e in base a quali criteri?) di alfabetizzazione economica “Young factor” promosso dall’Osservatorio permanente Giovani-editori guidato da Andrea Ceccherini?
E tutto per sentirsi dire che l’euro è bello e, anzi, è la loro unica salvezza, dal governatore della banca centrale francese; il quale, a rigore, parlava in rem propriam, cioè difendeva la sua veste e la sua funzione, essendo titolare di una banca centrale il cui ruolo è sostanzialmente ridotto, dentro l’eurozona, a essere componente del SEBC, coordinato dalla BCE

1.1. Il governatore francese ha infatti detto le seguenti cose:

a) L’uscita dalla moneta unica inseguita dagli euroscettici, così come il protezionismo americano annunciato da Donald Trump, sono due “sirene” che rischiano di minare l’economia europea e di scardinare il modello sociale che finora ha fatto da argine alle disuguaglianze. Forte di questa convinzione, il governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, ha messo in guardia gli 800 studenti;
b) Alcuni critici in Italia e in Francia – ha detto Villeroy de Galhau – vorrebbero uscire dall’euro per aumentare il deficit senza essere imbrigliati dalle regole europee. un’utopia, perché il finanziamento del deficit costerebbe decisamente più caro fuori dalla moneta unica,se dovessimo tornare agli spread che c’erano prima dell’euro». Rimanere nell’euro, dunque, «continua a essere nel lungo periodo la nostra migliore protezione», anche se lo spread fra titoli di stato francesi e tedeschi «può temporaneamente risentire dell’incertezza politica;
c) un’incertezza che ora tocca soprattutto l’azione del nuovo presidente americano e che, per il governatore della Banca di Francia che ha risposto alle domande degli studenti parlando perlopiù in italiano, è «nemica della crescita»: «Ancora non sappiamo esattamente cosa intende fare Trump – ha detto – ma aggiungere incertezza a quella che già c’era prima della Brexit e delle elezioni americane non è una buona notizia per la crescita del mondo. Bisogna mantenere un’economia aperta perché il protezionismo nella storia è sempre stato nemico della crescita».
Alla fine, convinti da tante autorevoli informazioni, “inevitabilmente”, “gli studenti…, al termine dell’incontro, in massa hanno alzato la mano a favore dell’euro” (…!!!).
2. Dunque: mentre nell’eurozona si verifica, ormai da decenni, quel “necessario” smantellamento del welfare, cioè del modello sociale previsto dalle Costituzioni europee (in prevalenza), in nome dell’euro, il governatore francese addossa curiosamente la responsabilità di tale disegno – espressamente perseguito,  fin dalle enunciazioni di Einaudi nell’elogiare l’economia sociale di mercato di Erhard, (qui, p.9), proprio dalla costruzione europea, secondo quanto ammesso dallo stesso Prodi-, alla “uscita dalla moneta unica” (di chi?), che si deve ANCORA verificare, e al protezionismo SOLO ANNUNCIATO – einesattamente definito tale– di Trump.
Ma non è un po’ grossa come illogicità condita da diffusione preventiva di ansie nelle gggiovani menti innocenti?
https://aramcheck.files.wordpress.com/2016/06/senza-titolo.png?w=590&h=446
Da Prodi, per coerenza, ci aspetteremmo una qualche nota critica alla vulgata così disinvoltamente diffusa dal Villeroy.

3. Come pure, disinvolta, è l’informazione sulla questione degli “spread”,  che ci sarebbero stati prima degli euro.
Questi spread erano essenzialmente dovuti non alla politica sprecona di deficit spending di alcuno, in Italia almeno, ma, – tranne pochi anni tra il 1993 e il 1996 (cioè prima di rientrare nel sistema di cambi fissi europeo in vista dell’adesione all’euro)-, alle decisioni politiche lasciate ai banchieri centrali che, in Italia (dopo la Francia, con la legge “Rotschild” del 1973!)), ottenuto il divorzio e l’indipendenza, alzarono i tassi di interesse per poter rimanere agganciati al marco all’interno dello SME (anno di adesione, il 1978)

Ed è da questa fissità dei cambi, sempre voluta dall’€uropa federale e dell’economia sociale di mercato, che discendevano gli alti costi del deficit e del debito pubblico, che provocarono, da subito, un tale onere da indurre, nel 1984, la formazione di una commissione parlamentare di indagine sul debito pubblico dentro lo SME e a seguito del divorzio tesoro-Bankitalia.

3.1. E si veda, sul punto, lo studio pubblicato dal prof. Aldo Barba,  La redistribuzione del reddito nell’Italia di Maastricht (Barba dimostra e conclude per una “redistribuzione al contrario”, cioè dai poveri verso i ricchi, per effetto specifico e principale delle politiche delle banche centrali astrette dal vincolo €uropeo).

4. Villeroy, infine, ci dice che l’economia aperta, cioè il liberoscambismo, è amica della crescita.
Peccato che tale ulteriore vulgata, profusa a piene mani a degli studenti che non sono in grado di avere alcuna difesa critica, sia smentita dai dati sulla crescita mondiale, nelle varie aree del mondo, prima, – durante il regime di repressione finanziaria, cioè di limitazione alla libera circolazione dei capitali, nonché di esistenza di un diverso regime daziario, concordato a livello mondiale-,  e dopo l’affermarsi dell’attuale indiscriminata apertura delle economie:
“Al riguardo, ci basterà rammentare i dati, nudi e crudi, che si offre Ha-Joon Chang, in “Bad Samaritans” (capitolo 1, “The real history of globalization”, pagg.6-14).
Ebbene, già al tempo dei “misfatti” (liberoscambisti) dell’Impero inglese, – che, pur ammessi, non portano gli storici ad ammettere altrettanto la realtà economica conseguente e induce anzi a continuare a lodare gli effetti positivi “per tutti i paesi coinvolti” della globalizzazione “imperialista” dell’800-, l’Asia, che prima dei trattati aveva paesi al vertice dei PIL mondiali (tipicamente la Cina nella prima parte del secolo) crebbe solamente dello 0,4% all’anno tra il 1870 e il 1913
L’Africa, il più vantato esempio di civilizzazione e progresso free-trade colonialista, crebbe, nello stesso periodo, dello 0,6%. 
Europa e USA crebbero invece, rispettivamente, dell’1,3 e dell1,8% in media negli stessi anni. Notare che i paesi dell’America Latina, che nello stesso periodo recuperarono autonomia tariffaria e di politica economica, crebbero allo stesso livello degli USA! (Tralasciamo gli eventi susseguenti alla crisi del ’29, quando i free-traders dominanti, abbandonarono il gold-standard e aumentarono sensibilmente le tariffe alle importazioni, prima nei settori dell’agricoltura e poi in generale nell’industria manifatturiera)
…Che accadde nel dopoguerra del 1945, quando si verificò il progressivo smantellamento del colonialismo e l’adozione degli Stati interventisti praticamente in tutto il mondo, sviluppato (e in ricostruzione) o in “via di sviluppo” (col tanto deprecato neo-protezionismo, da incentivazione pubblica all’industria nazionale e alla ricerca)?
Riassuntivamente: nei deprecati anni del protezionismo, rigettato come Satana dai vari governatori di tutte le banche centrali del mondo divenute indipendenti, in specie negli anni ’60 e ’70, i paesi in via di sviluppo che adottarono le “politiche “sbagliate” (appunto del protezionismo), crebbero del 3% in media all’anno: questo dato, sottolinea Chang, è il migliore che, tutt’ora, abbiano mai accumulato.
Ma gli stessi “paesi sviluppati” crebbero, negli stessi decenni, al ritmo di 3,2% medio all’anno.
Poi intervengono le liberalizzazioni alla circolazione dei capitali e gli accordi tariffari: i paesi sviluppati, già negli anni ’80 vedono la crescita media annuale abbattersi al 2,1%. 
Anche questi facevano le riforme, e infatti gli effetti di deflazione  e rallentamento della crescita si vedono (finanziarizzazione e redistribuzione verso l’alto del reddito crescono a scapito delle invecchiate democrazie sociali).  
Ma le riforme più intense, sono imposte proprio ai paesi in via di sviluppo, tramite il solito FMI: è qui che si registra il calo della crescita più marcato.
I paesi emergenti, infatti, debitamente “riformati” e “aperti” nelle loro economie, vedono la crescita praticamente dimezzarsi dal 3% a circa la metà, negli anni ’80-’90, cioè all’1,7 medio annuo.
Ma attenzione: la decrescita “infelice”, cioè l’impoverimento neo-colonizzatore,sarebbero ancora più marcati se si escludessero Cina e India. Infatti, nota Chang, questi paesi si imposero progressivamente alla crescita, realizzando un 30% del prodotto globale dei paesi in via di sviluppo già nel 2000 (dal 12% degli anni ’80): ma India e Cina rifiutarono il Washington Consensus e le “riforme” stile “golden straitjacket” tanto propugnate dal noto Thomas Friedman (che abbiamo già incontrato in questo specifico post)”.
5. In conclusione: perché far interferire sulla libera formazione delle conoscenze di giovani studenti le “lievi imprecisioni” dette da un banchiere centrale non italiano, e per di più, senza alcun contraddittorio e indicazione di fonti di riscontro di tali “allegre” affermazioni?
Per farli votare poi liberamente a favore dell’euro, per acclamazione e per alzata di mano?
Idraulicamente, inutile dirlo: il voto, una volta, era “libero e segreto” secondo l’art.48 della nostra Costituzione: procedere in questo modo, sulle giovani menti di studenti che presto dovranno votare, è gravemente diseducativo e danneggia in modo diretto il senso della legalità costituzionale.

* Fonte: Orizzonte 48

2 pensieri su “L’ADUNATA STUDENTESCA… di Luciano Barra caracciolo”

  1. Marco Giannini dice:

    Caro Barra Careacciolo, si confonde il plebiscito con la democrazia diretta, a sto punto potevano farli votare online. Complimenti per il pezzo. PS: perché lei non fa un pezzo dal titolo 'Il referendum nella Caverna di Platone?'. Da quando presentai il mio saggio anti euro alla Camera sono stato OSTRACIZZATO per proprio dal M5s. Spiegavo che il neoliberismo poggia nella libera circolazione e che il referendum si fa al massimo DOPO l'uscita (meglio mai)!!! Peraltro siamo entrati senza ed è coerente uscirne senza. Questa storia di uscire dall' euro col referendum, rimanendo in UE e per giunta leggendo che i valori liberal democratici di ALDE sono quelli di M5s non sono stati colti dal 99.999℅ dei grilli (solo io praticamente). Questo significa ingannare gli elettori. Liberi di votare M5s come potrei anche rifare io ma non manipolati. Grillo aggiunge che lui 'è per la libera circolazione di capitali, merci e persone' non pensa che abbia bisogno di una voce più conosciuta della mia per essere descritto per quello che significa? Io lo denuncio ma sono solo e presto si vota…Da solo non ce la faccio e sarà l'ennesimo inganno sulla pelle degli italiani.

  2. Marco Giannini dice:

    Un conto è uscire dalla UE, un conto dall'euro.Il tipico peppista direbbe: uscire addirittura dalla UE non comporta nulla figuriamoci dall'euro che è solo una moneta.In realtà uscire dalla moneta senza una BC significa FALLIMENTO:Si fallisce sia nell'uscita che in un altro senso…Durante la campagna referendaria (minimo 2 mesi!!!) i creditori, senza una BC a garanzia (emissione monetaria), chiederebbero indietro i soldi e lo Stato dovrebbe cercare disperatamente liquidità pena il default.I tassi andrebbero alle stelle per coprire questo fabbisogno ma nemmeno basterebbero e ad un passo dal FALLIMENTO fermerebbero la campagna referendaria.A quel punto Peppe avrebbe fatto un regalone agli speculatori, alla Troika che verrebbe a "salvarci" occupando le Istituzioni (con i media a pompare la cosa) per rimediare "ai danni" e all'italiano passerebbe l'idea: dall'euro è impossibile uscire.Molto meglio avere nel programma "siamo contro l'euro" (non contro "questo" euro che significa una cosa diversa). Chi ti vota sa così cosa vota e cosa fai se vinci.

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