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SINISTRA ITALIANA/SEL: UN BEL CASINO

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[ 12 febbraio ]

SI APRE, LA SINISTRA ANCORA DA SCRIVERE. Questo è il nome del convegno che si svolge oggi a Roma, all’Ambra Jiovinnelli. Promotori i parlamentari (16 per l’esattezza) che hanno voltato le spalle alla nascente Sinistra Italiana, che proprio la settimana prossima svolgerà il suo congresso fondativo dopo che Sel ha celebrato il suo scioglimento

Per  capire meglio cosa pensano e vogliono i fuoriuscisti è utile leggere quanto afferma  il loro improbabile capobastone, Arturo Scotto. In dissenso con la maggioranza (non meno improbabile) Vendola-Fratoianni essi andranno a dar man forte a Giuliano Pisapia —su cui scrivevamo proprio oggi— ovvero assieme a mamma Partito democratico. 

A Scotto risponde Stefano Fassina che il 15 gennaio scorso si era a sua volta autosospeso dal gruppo parlamentare di Sel-SInistra italiana. 

Fassina va al congresso come primo firmatario di un emendamento per l’uscita dall’euro —vedi sotto—, ben sapendo che sarà respinto dalla maggioranza ferventemente europeista.

L’emendamento sostitutivo di Fassina alla 
«TESI 14 . Per un europeismo radicalmente critico verso l’Europa com’è»




«14. Superare l’euro per rivitalizzare la democrazia costituzionale e salvare l’Europa 

La straordinaria vittoria del “No” al referendum sulla revisione costituzionale imposta dal Governo Renzi al Parlamento è stata condizione necessaria, ma non sufficiente a rianimare la democrazia costituzionale. Vi è un’altra condizione imprescindibile. È scritta magistralmente nell’art 1 della nostra Costituzione: il lavoro. La Repubblica è democratica in quanto fondata sul lavoro. Sinistra Italiana si pone l’obiettivo di essere strumento democratico di organizzazione del fronte del lavoro per limitare lo strapotere del capitale finanziario. La sinistra del XXI secolo è neo-umanista. Essa ha come orizzonte il lavoro di cittadinanza e, in un rapporto di interdipendenza, la trasformazione ecologica dell’economia. Il lavoro, in tutte le sue forme, di mercato e “fuori mercato”, rimane capacità fondativa della dignità della persona e della cittadinanza democratica e condizione necessaria per l’ecologia integrale. L’enorme innalzamento delle disuguaglianze, anche tra gli occupati, l’impoverimento delle classi medie, l’estensione della povertà anche tra i lavoratori, la minore mobilità sociale hanno come causa prioritaria la svalutazione del lavoro e il degrado dell’ambiente. Il trasferimento di reddito a carico della fiscalità generale per chi è in determinate condizioni economiche e partecipa a un percorso di inclusione attiva è un nostro obiettivo primario, strumentale al raggiungimento del lavoro come fonte di cittadinanza. La piena e buona occupazione, unita al protagonismo di lavoratori e lavoratrici nelle attività produttive, deve tornare al centro della nostra agenda. Va perseguita attraverso un ventaglio di interventi sinergici: politiche macroeconomiche di segno espansivo e politiche industriali orientate all’innalzamento della specializzazione produttiva; redistribuzione del tempo di lavoro di mercato e fuori mercato; il “lavoro garantito”, ossia progetti di utilità sociale definiti attraverso la regia dei governi territoriali, finanziati da risorse pubbliche, gestiti dalle associazioni della cittadinanza attiva, dedicati a chi è senza lavoro. Le sinergie attivabili tra politiche economiche e ecologiche sono in grado, anche nell’immediato, di aumentare quantità e qualità del lavoro, di rivoluzionare i cicli produttivi e di innovare profondamente infrastrutture essenziali quali i trasporti, le reti dell’acqua e dell’energia. Oggi, una faglia attraversa le nostre società. Segna il confine di vaste, contraddittorie e impervie periferie economiche, sociali e culturali. I popoli delle periferie attribuiscono alla sinistra storica la corresponsabilità del loro declino e impoverimento. Giustamente, perché la sinistra storica, dopo l’89, si è arresa e, in Europa, è stata orgogliosa protagonista dell’agenda neoliberista europea. Distante dal popolo delle periferie è spesso anche la cosiddetta “sinistra radicale”, chiusa in un cosmopolitismo astratto e aristocratico e in un esasperato individualismo sul terreno dei diritti civili, spesso declinati in contraddittoria separazione dai diritti sociali. Il lavoro come fonte di cittadinanza e di dignità e fondamento della democrazia è una prospettiva 65 improponibile nell’ordine del capitalismo finanziario globale. Ma tale ordine non regge più. Il 2016 segna un passaggio storico. Trump negli USA, la Brexit, la valanga di No al referendum costituzionale in Italia il 4 Dicembre sono scosse politiche di magnitudo massima, successive a tante altre scosse: dalla Grecia alla Spagna; dall’Austria, alla Francia, alla Germania, per lasciare fuori dall’analisi le vicende della UE dell’Est. SI tratta di eventi politici profondamente diversi, ma il messaggio di fondo è chiaro: l’insostenibilità per le working class e le classi medie del capitalismo neo-liberista, dei mercati globali di capitali, merci e servizi giocati sulla svalutazione del lavoro. La sequenza di risultati elettorali degli ultimi mesi è per il neoliberismo reale quello che il crollo del Muro di Berlino è stato per il socialismo reale. Il 2016 e il 1989. Per rinascere, la sinistra nel XXI Secolo, intesa come fronte sociale e politico del lavoro, deve guardare in faccia la realtà. Sebbene la rivolta delle periferie sia segnata da tendenze politiche e culturali fortemente improntate da partiti di destra populisti e xenofobi, noi non possiamo chiamarci fuori. Noi dobbiamo stare dalla parte giusta della faglia, senza cedere al ricatto di chi demonizza il populismo per salvare una logica “sistemica” sempre più indifendibile. L’insostenibilità del neo-liberismo reale investe frontalmente anche l’Ue e l’euro-zona, poichè qui, con il protagonismo subalterno della sinistra storica, si sono istituzionalizzati in forma estrema i principi cardine del neo-liberismo. Il progetto di integrazione europea è nato con obiettivi nobili e ambiziosi: garantire un sviluppo pacifico e cooperativo del nostro continente dopo la tragedia della guerra, che evitasse il riemergere degli egoismi nazionali. Da sinistra, abbiamo visto in questo progetto e nella progressiva integrazione economica e politica l’affermazione del modello sociale europeo, dei valori di sicurezza economica, promozione del benessere e libertà. Abbiamo imparato a sentirci e ci sentiamo europei oltre che italiani. Tuttavia, anche per effetto dall’egemonia culturale del neoliberismo, si è progressivamente affermato un paradigma diverso: quello della competizione tra Stati e della supremazia dei meccanismi di mercato. Tale paradigma si è cristallizzato in un sistema di regole europee che hanno condizionato e limitato lo spazio della politica economica. L’integrazione europea, rendendo ancora più rigido ed efficace per ciascun paese il “vincolo esterno”, si è fatta veicolo di politiche di privatizzazione, di deregolazione del mercato del lavoro e di smantellamento dei diritti sociali. La stessa moneta unica, presentata come strumento di stabilità, ha scaricato sulla svalutazione del lavoro la competizione tra i Paesi membri, a tutto vantaggio dell’interesse dei più forti tra essi. Come è ormai ampiamente riconosciuto, la sua adozione da parte di economie strutturalmente diverse, unitamente alle politiche mercantiliste attuate dall’economia più forte dell’area, ha determinato l’emergere di crescenti squilibri, deflagrati in occasione della crisi finanziaria. Nelle condizioni politiche createsi nell’Unione, l’euro ci ha resi più deboli invece che più forti: ci impone di competere nella svalutazione del lavoro; ha portato alle politiche di austerity che stanno progressivamente smantellando i diritti sociali e impediscono l’uscita dalla stagnazione; sta minando le basi di quel modello sociale che era per noi europei elemento distintivo e di orgoglio. Occorre dunque riconoscere che l’adozione della moneta unica e del mercato unico – in assenza di adeguati standard fiscali, sociali e ambientali – è stato un errore, aggravato dall’apertura incondizionata ad Est, obiettivo che senza un reale processo di integrazione ha esasperato la concorrenza al ribasso per il lavoro subordinato e autonomo. 66 Un’Europa al servizio del capitale finanziario, e contro il lavoro e i diritti sociali, non è la nostra Europa. Abbiamo bisogno di un diverso modello di integrazione, che promuova la fratellanza tra i popoli. La sinistra deve riconoscere l’assenza delle condizioni politiche per riscrivere i Trattati o per “far girare” l’euro in senso favorevole al lavoro, ossia in sintonia con le Costituzioni nate dopo la II Guerra Mondiale. Deve riconoscere il conflitto irriducibile fra i Trattati europei e la Costituzione e riaffermare il primato storico e politico di quest’ultima. Deve riconoscere che il demos europeo non esiste, a parte la upper class, cosmopolita da sempre, promotrice e beneficiaria dell’ordine vigente. Per ricostruire la sua funzione storica, per rispondere in chiave progressiva ai popoli delle periferie, la sinistra deve riconoscere insomma la necessità e l’urgenza di superare l’euro e l’ordine istituzionale, economico e monetario ad esso connesso: un superamento in via cooperativa, assistito dalla Bce, attraverso la costruzione di un’alleanza tra forze politiche, sociali e intellettuali degli altri membri della Ue, in coerenza con la sua cultura internazionalista. Il superamento dell’ordine dell’euro è la condizione per rivitalizzare funzioni fondamentali dello Stato nazionale al fine di proteggere il lavoro da ulteriore svalutazione e rianimare la democrazia costituzionale. In sintesi, per rigenerare la sinistra nel XXI Secolo il banco di prova è la capacità di rimettere in discussione, dopo un trentennio di subalternità culturale e politica, “il nesso nazionale-internazionale” (per riprendere il lessico di Antonio Gramsci). Quindi, per noi, vuol dire ripartire dalle città per riconquistare spazi di sovranità democratica in un’Unione europea rifondata attraverso la cooperazione tra Stati nazionali. Solo così si potrà riconciliare il progetto europeo con la Costituzione repubblicana e con il principio della sovranità popolare». 

Stefano Fassina 
Massimo D’Antoni, Laura Lauri, Floriana D’Elia, Sergio Gentili, Michele Raitano, Lanfranco Turci, Luigi Pagnottella, Mirella di Lonardo, Riccardo Achilli, Marco Lang, Melinda di Matteo, Catia De Angelis, Chiara Zoccarato, Adriano Romano, Luca Di Matteo, Andrea Calderini, Rita Riccio,Maria Grazia Pugliese, Giovanni Nichilo’, Federico Angelo Marra, Stefano del Rio, Angelo Longhi, Antonella Brambilla, Pino De Stasio, Annunziata Gallo, Alessandro Di Matteo, Matteo De Martino, Franco Di Matteo, Giuseppe Giudice, Lucia del Grosso, Emilio Magrini, Michele Prospero, Giuseppe Davicino, Rosa Fioravante, Francesco Petrolo, Susanna Arcangeli, Cosmo Bianchini, Alessandro Visalli, Giacomo Cucignatto, Susanna Crostella, Armando Mattioli, Antonello Badessi, Salvatore Multinu, Andrea Evangelista, Gualtiero Monticelli, Stefano Caroselli, Francesco, Michele Lissa, Mauro Beschi, Giuseppina Buscaino, Michele Burgarelli, Riccardo Righelli, Claudia Baldini, Rita Labruna, Baioni Paola, Balestrieri Antonio, Balestrieri Giorgio, Balestrieri Laura, Balestrieri Massimo, Balestrieri Vittorio, Sabatini Raffaella, Davide Bradanini, Rolando Bagnoli, Mauro Poggi, Giovanni Maria Guaccero, Alessandro Gaviraghi, Giancarlo Ricci, Salvatore Greco, Giandomenico Potestio, Pietro Sergi, Roberto Monti, Francesco Balsamo, Giancarlo Nebbia, Paolino Madotto, Flavia Leuci, Marco Giannatiempo, Fabio Quadrana, Nicola Dessì, Paolo Desogus, Matteo Gorini, Marcella Mauthe, Marco Amoruso, Giuseppina Spadaccino, Alessandra del Maro, Nadia Peruzzi, Luciano Daniele Bruno, Mario Francese, Enza Volpe, Valerio Pezone, Giovanna Marino, Nunzia Volpe, Luca Volpe, Giordano Falcioni, Antonio Moretti, Andrea De Pietri, Agostino Carbone, Nunzia Carbone, Carlo Mollica, Ciro Pipolo , De Stasio Rosanna, Viscione Luca, Viscione Antonio, Rosalba Monaco, Ciambriello Loredana, Boccacciari Antonio, Boccacciari Angelo, Boccacciari Ciro, Boccacciari Gennaro, Boccacciari Paolo, Discolo Ciro, Iavazzi Maria Giovanna, Matteo Emilio Cereda, Marco Novelli, Enrico Chiavini, Enrico Antonioni, Erica Schiavoncini, Francesco Dei, Luca Moller, Giuseppina Buscaino, Roberto Ferrari, 67 Salvatore Colonna, Maria Pia Zattella, Antonella Como, Leonardo Paglia, Cesare Paris, Marco Maccione, Lorenzo Contarino, Cinzia Abramo, Francesco Rocco, Mario Panarella, Alessandra Cataldi, Roberto Ribeca, Giovanni Nardone, Giuliano Gambacorta, Angela Romano, Christian Capra, Monica Esposit, Matteo Giordano, Gianluca Atzeni, Roberto Giordano, Monica Gregori, Carlo Galli,Domenico Maddaloni, Marco Vicini, Aurora Trotta, Piero Bevilacqua 

Un pensiero su “SINISTRA ITALIANA/SEL: UN BEL CASINO”

  1. Anonimo dice:

    Trovo incredibile questo documento che teorizza l'uscita dall'euro a prima firma di Fassina, nel senso che adesso che lo dicono i compagni di Sinistra Italiana non appare più una posizione "populista" attribuita sempre ad altre forze e movimenti politici. Meglio tardi che mai mi verrebbe da dire, ma non sulla posizione anti euro, che onestamente personalmente non saprei prendere posizione perchè confesso umilmente di non avere idee molto chiare, ma sull'approccio all'argomento in se stesso, appunto da sempre trattato come mere velleità populiste. Nel resto del documento si affrontano temi seri ed importanti (dalla svalutazione del lavoro, allimpoverimento causato dalla globalizzazione, ecc.) su cui mi sento in perfetta sintonia. Ma se la sinistra continuerà a frammentarsi in mille rivoli dal peso sociale insignificante, come sta accadendo anche ora con l'ennesima fuoruscita dei "gregari" di Pisapia per fare da stampella al PD, nell'illusione (nella migliore delle ipotesi) di spostare a sinistra l'asse del PD, mi sa che quel 40% i 5 stelle lo raggiungeranno davvero!

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