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TARGET 2: UN’ARMA SPUNTATA di Felix Simon

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[ 4 febbraio ]


Scrivemmo sul Target 2 nel Novembre scorso e poi il 24 gennaio.
Ci torniamo con un articolo di Voci dall’estero che spiega bene come la minaccia di Draghi non si tenga in piedi e come una Banca centrale nazionale sovrana emettendo moneta risolve il problema del target 2
Proponiamo qui un interessante articolo del 2012 di Felix Salmon in cui si riassume e si chiarisce l’annoso dibattito sul reale significato dei saldi Target2. 

La questione è tornata alla ribalta dopo la recente dichiarazione di Draghi che finalmente ha smentito la pretesa di “irreversibilità” dell’euro, richiamando però i paesi che eventualmente volessero lasciare l’euro a una piena regolazione dei conti con l’Eurosistema. Nente di più semplice: i saldi Target2 non sono che regolazioni contabili tra BCE e banche centrali nazionali utili alla funzionalità dell’Eurosistema e facilmente liquidabili in caso di uscita, data la caratteristica delle banche centrali di essere istituti di emissione.

Moody ha appena declassato il rating della Spagna di tre punti — un chiaro segnale che il bailout bancario, ancor prima di essere attuato, è già stato giudicato dai mercati come estremamente nocivo per l’affidabilità della Spagna. Il rendimento dei titoli spagnoli a 10 anni è adesso del 6.75%, rispetto al meno del 5% dell’inizio di marzo, e si avvicina ai livelli ai quali l’accesso al mercato è sospeso a tempo indeterminato. Tornano le preoccupazioni circa il futuro dell’euro — e automaticamente, come succede ogni volta che queste preoccupazioni riappaiono – si ricomincia a parlare di Target2.

La settimana scorsa, George Soros metteva in guardia contro “i crediti che la Bundesbank vanta nei confronti delle banche centrali dei paesi periferici all’interno del sistema di compensazione Target2 ”; oggi, nel New York Times Hans-Werner Sinn scrive che la Bundesbank ha crediti Target2 per una somma pari a 874 miliardi di dollari dalla periferia europea. “Se Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna dovessero fallire e non ripagare i debiti, con l’euro ancora in corso, la Germania brucerebbe 899 miliardi di dollari”.

Contemporaneamente, in una recente relazione, Jonathan Carmel, della Carmel Asset Management, ha pubblicato questo grafico con la seguente nota esplicativa: “la Bundesbank si è sostituita alle banche tedesche nella loro esposizione verso la periferia“; ha poi spiegato che l’indebitamento della periferia è adesso un problema della Repubblica Federale Tedesca”.

I numeri sono imponenti e minacciosi, e Sinn in particolare fa tutto il possibile per terrorizzarci con la loro grandezza. L’anno scorso ho pubblicato un articolo di Martin Wolf sulle tesi di Sinn, che ha suscitato molte obiezioni. E allora, adesso ci riprovo: proverò a spiegare che questo grafico in realtà dimostra solo che il debito privato in Germania sta diminuendo. La curva su cui ci si deve concentrare è quella blu, non quella verde.

Ma facciamo un passo indietro. Il cosiddetto Eurosistema — costituito dalle banche centrali nazionali (BCN) più la BCE — ha un carattere fortemente federato. La BCE, per conto suo, fissa i tassi di interesse e gestisce un suo modesto bilancio di esercizio, ma le sole banche con cui ha a che fare sono le BCN. Sono le stesse banche centrali, come la Bundesbank o il Banco de España, ad effettuare tutte le operazioni di liquidità, a prestare denaro alle banche commerciali, e più in generale a far funzionare l’euro come valuta.

Ciascuna banca dell’Eurosistema è titolare di un conto presso la rispettiva banca centrale nazionale — e se si somma tutto il denaro presente in tutti questi conti, il totale è il saldo Target2 presso la banca centrale in questione. Vale la pena qui ricordare l’unica cosa su cui tutti sono d’accordo riguardo i Target2: finché la zona euro resta in piedi, non sono affatto un problema. La somma della totalità di saldi Target2 nelle varie banche centrali è sempre zero, ed il sistema funziona efficientemente e perfettamente.

Se una signora spagnola fa un assegno al suo terapista, il denaro esce dal suo conto ed entra nel conto del terapista. Finché entrambi i conti sono presso banche spagnole, si tratta solo di un trasferimento da una banca all’altra, ed il il saldo Target2 presso il Banco de España rimane invariato. Supponiamo però che la nostra correntista spagnola decida di trasferire €1.000 da Banco Santander su un conto della Deutsche Bank. In questo caso, il saldo nel suo conto Santander andrà a sotto di €1.000, ed il Banco de España dovrà anch’esso dedurre €1.000 dal conto di Santander presso la Banca centrale. In Germania, €1,000 si materializzano sul conto Deutsche Bank, ed alla prima occasione Deutsche Bank depositerà questa somma nel suo conto presso la Bundesbank, cosicché la Bundesbank aggiungerà €1.000 al saldo di Deutsche Bank.

In pratica, il Banco de España avrebbe appena distrutto €1.000, e la Bundesbank avrebbe appena creato €1.000. Non è un problema — si tratta di banche centrali, e la funzione delle banche centrali è quella di creare e distruggere denaro. Ma per semplici ragioni di contabilità, i conti nell’Eurosistema devono essere pareggiati. Teniamo presente che quelli che per noi normalmente sono degli attivi, per le banche sono passività. Quindi Deutsche Bank deve €1.000 alla nostra signora spagnola — che è un altro modo per dire che lei deposita €1.000 presso Deutsche Bank. A sua volta, Deutsche Bank deposita €1.000 presso la Bundesbank, il che significa che la Bundesbank deve €1.000 alla Deutsche Bank. E la catena continua: la BCE deve €1.000 alla Bundesbank, il Banco de España deve €1.000 alla BCE, e Santander deve €1.000 al Banco de España, dal momento che Santander ha di fatto dovuto prendere in prestito il denaro dal Banco de España per poterlo trasferire alla Deutsche Bank.

Trattandosi di alta finanza, gli obblighi verso le banche centrali nazionali sono qui garantiti, sicché il Banco de España detiene garanzie da parte di Santander che coprono abbondantemente i €1.000 dovuti. Da parte sua, il Banco de España invece non è tenuto a fornire garanzie alla BCE. Le banche centrali non hanno bisogno di fare nulla del genere: le garanzie non sono necessarie poiché esse possono sempre stampare denaro in caso di bisogno.

Non è comunque difficile capire che il saldo Target2 della Bundesbank è ultimamente in crescita, mentre i saldi delle periferie sono in diminuzione: è in atto una corsa verso investimenti più sicuri, e le banche tedesche sono (giustamente) percepite come più sicure delle banche spagnole, greche e di quelle degli altri paesi della periferia. Analogamente, le banche tedesche che hanno prestato denaro a debitori spagnoli — ed in particolar modo alle banche spagnole — non rinnovano questi prestiti. Quando i prestiti sono ripagati, le banche tedesche depositano semplicemente il denaro presso la Bundesbank, invece di prestarli nuovamente a qualche paese in seria difficoltà. Questo fa aumentare ulteriormente i saldi Target2 della Bundesbank, ed ogni qualvolta ciò accade c’è una riduzione uguale e contraria dei saldi Target2 altrove.

Si nota dunque subito ad occhio nudo come stanno davvero le cose: il denaro affluisce verso la Germania. I risparmiatori dei PIIGS o rimborsano direttamente i loro debiti con le banche tedesche, oppure trasferiscono i loro fondi presso conti in banche tedesche. In tal senso, è un po’ strano che personaggi come Sinn e Soros descrivano queste transazioni come denaro prestato dalla Germania alla periferia — in realtà, i flussi sono nella direzione esattamente opposta. Ma per ragioni contabili, questi flussi generano obblighi di contabilizzazione interna fra le varie banche dell’Eurosistema, e a quanto pare sono proprio questi obblighi di contabilità interna a preoccupare così tanto Soros e Sinn.

Tuttavia, come evidenziato da Karl Whelan, è tutt’altro che scontato che questi obblighi di contabilizzazione debbano destare preoccupazione. Nel suo complesso, l’Eurosistema è sempre in pareggio, e per ogni euro creato in una parte dell’eurozona un altro euro viene distrutto da un’altra parte. L’unico caso particolare in cui si potrebbero prevedere effetti negativi sarebbe se uno o più paesi abbandonassero l’euro. Ma anche in questo caso, non è detto che le conseguenze siano poi così gravi.

Un’eventuale uscita della Grecia sarebbe troppo poco significativa per destare preoccupazioni. La Grecia ha un saldo negativo Target2 di circa €100 miliardi. Questo significa che le banche greche devono €100 miliardi alla Bank of Greece, che sono coperti da garanzia; e che a sua volta la Bank of Greece deve €100 miliardi alla BCE in titoli non garantiti. Se la Grecia dovesse svalutare in modo caotico ed andare in default, sarebbe perfettamente ragionevole pensare che la Bank of Greece non adempirebbe ai suoi obblighi verso la BCE, e tratterrebbe per sé le garanzie delle banche greche, per aiutare a finanziare il più possibile la nascente dracma.

Se dovesse succedere, il fondo dell’Eurosistema — le altre 16 banche centrali, più la BCE — subirebbe una perdita contabile di €100 miliardi. Ma esse dispongono di un capitale di €86 miliardi, e possono creare altri 400 miliardi di capitale in qualsiasi momento, semplicemente rivalutando le loro riserve auree. Quindi trovare €100 miliardi non sarebbe difficile — soprattutto perché lo stesso concetto di banca centrale insolvente è un tantino assurdo. Anche nel caso in cui il capitale di una banca centrale cessasse di essere positivo e diventasse negativo, all’atto pratico nulla cambierebbe. Le banche centrali non possono fallire, perché possono sempre stampare moneta.

Ma se fosse l’intero eurosistema a crollare, e ciascun paese ritornasse alla sua moneta nazionale? Anche in questo caso è difficile vedere in che modo questo costituirebbe un colpo per la Germania. Le banche tedesche, come la Deutsche Bank, si ritroverebbero i loro saldi Target2 in euro ridenominati in marchi. E la Bundesbank teoricamente avrebbe sempre un credito con la BCE, ma a quel punto la BCE sarebbe praticamente già sparita. Ma non sarebbe un problema. Basterebbe semplicemente dichiarare che tutti quegli euro sono adesso marchi, dato che la Bundesbank può creare tutti i marchi di cui ha bisogno.

L’ipotesi sottesa al catastrofismo di Sinn è in buona sostanza che, se l’euro dovesse crollare, i contribuenti tedeschi dovrebbero versare mille miliardi alla Bundesbank per compensare tutto il denaro che la Bundesbank non può più riscuotere dalla BCE. Ma questo è semplicemente assurdo. Scrive Whelan:

“Il nuovo marco sarebbe, come l’euro, una moneta a corso forzoso, e non sarebbe affatto necessaria la piena copertura di tutti i marchi con riserve contanti effettivamente disponibili alla Bundesbank.

Se anche i funzionari tedeschi fossero preoccupati dal fatto che il bilancio di esercizio della Bundesbank mostri necessariamente più attivi che passivi, basterebbe convenire che la Bundesbank emetta a proprio favore un assegno di valore pari al suo credito TARGET2, e che si accrediti ogni anno gli interessi. Non sarebbe necessario neanche coprire le sue passività, per cui tecnicamente la solvibilità della Bundesbank sarebbe ristabilita senza nessun aumento delle tasse per i cittadini tedeschi.

Qualcuno potrebbe magari obiettare che la mancata ricapitalizzazione per via fiscale della Bundesbank farebbe perdere fiducia nel valore della moneta e/o causerebbe inflazione. Tuttavia, non si modificherebbe in alcun modo la quantità di moneta in circolazione nella Germania post-UEM. Ed un assegno sbattuto in un caveau non può scatenare un’iperinflazione. Ѐ invece molto più probabile, siccome il valore di una moneta a corso forzoso dipende principalmente dalla fiducia da parte dei cittadini che la moneta sarà resa disponibile in quantità limitata, che il nuovo marco si rivaluti significativamente, e che il risultato sia la deflazione piuttosto che l’inflazione.

In altre parole: sì, la Bundesbank dovrebbe di fatto stampare l’equivalente di mille miliardi di euro in marchi, cosa questa abbastanza atipica per la Bundesbank, ed in teoria ad effetto inflattivo. Ma se si crea una nuova moneta, è necessario stamparla. E sinché le banche tedesche depositano questi marchi presso la Bundesbank, e rifuggono dal prestarli a debitori di altri paesi, l’offerta di moneta in Germania non aumenterebbe affatto.

Scrive così Sinn:

«Se Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna dovessero fallire e non ripagare i debiti, con l’euro in vigore, la Germania brucerebbe 899 miliardi di dollari”. Se l’euro dovesse fallire, la Germania perderebbe oltre 1.350 miliardi di dollari, più del 40 percento del suo PIL. Ѐ mai successo che gli Stati Uniti abbiano corso un rischio simile per aiutare altri paesi?»

Posto che Sinn si riferisca qui ai saldi Target2 — e questi saldi rappresentano la maggior parte di quelle cifre — non credo affatto che abbia ragione. Innanzitutto, come sottolinea Whelan nel suo blog, gli Stati Uniti hanno già sopportato oneri superiori al 40% del PIL per aiutare altri paesi. Nel 1941, il debito pubblico americano era meno del 40% del PIL; nel 1946, era oltre il 120% del PIL. Oh, e 400.000 soldati americani sono morti in guerra, fra l’altro. In gran parte ciò si potrebbe ragionevolmente considerare una forma di autodifesa, ma in buona parte si trattava di aiuti al mondo libero estremamente necessari.


Ma più specificatamente, i correntisti tedeschi non perderebbero soldi, le banche tedesche non perderebbero soldi, e nemmeno lo stato tedesco perderebbe soldi. L’unico soggetto che si potrebbe considerare aver perso qualcosa sarebbe la Bundesbank — ma in realtà la Bundesbank avrebbe soltanto convertito tutti gli euro in circolazione in Germania in marchi. Se l’euro cessasse di esistere, anche le obbligazioni all’interno dell’Eurosistema cesserebbero di esistere — anzi, lo stesso Eurosistema cesserebbe di esistere, dato che la sua unica raison d’etre è di tenere in piedi l’euro. Tutte le convenzioni di contabilità interna sparirebbero in una nuvola di fumo, e ciascuna banca centrale nazionale opererebbe per conto proprio, gestendo la propria moneta e controllando le proprie banche.

Potrà essere rassicurante pensare che gli euro di oggi siano in qualche modo reali e che gli ipotetici marchi di domani non lo siano, e che quindi se domani questi euro cessassero di esistere per essere sostituiti da marchi, ciò comporterebbe la perdita di centinaia di miliardi di euro. Ma non è così che funzionano le monete a corso forzoso. Il marco di domani sarebbe reale né più né meno come l’euro di oggi, e infatti verosimilmente il problema del marchi non è il pericolo di indebolirsi quando la Bundesbank ne dovesse stampare in quantità, ma piuttosto che la loro popolarità come valuta sarebbe talmente alta da farne salire il valore alle stelle, rendendo le esportazioni tedesche non competitive.

Non vi è dubbio che i costi collegati allo smantellamento dell’euro rischiano sicuramente di essere ingenti. Ma non ingigantiamo la questione includendo in questi costi anche i saldi Target2. Questi non sono altro che delle convenzioni contabili: sono un artifizio per assicurare che l’Eurosistema sia sempre a somma zero. Se si vuol credere che i saldi Target2 siano debiti reali, allora allo stesso modo si dovrebbe credere che una corsa agli sportelli in Spagna, in cui i depositi fuggono verso la Germania, sia negativo per la Germania e positivo per la Spagna — dato che non farebbe che accentuare gli squilibri Target2.

In base al ragionamento fatto da Sinn, sarebbe meglio per la Spagna o l’Italia abbandonare l’euro, perché in questo modo eviterebbero di ripagare i loro debiti Target2 e si ritroverebbero quindi incredibilmente ricchi — avrebbero preso in prestito centinaia di miliardi di euro dall’Eurosistema, e non avrebbero poi mai più bisogno di ripagare il loro debito. Se credete ad una cosa del genere, allora potete anche prendere sul serio Sinn. Ma a me sembra chiaro che se l’euro cessasse di esistere, quello che conta sarebbero le relazioni bilaterali delle banche centrali nazionali con tutte le banche dei rispettivi paesi. E queste relazioni bilaterali, essendo basate su prestiti pienamente garantiti, non sarebbero affatto toccate dalle convenzioni contabili Target2.


** Traduzione di Margherita Russo

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