IDIOZIE EURISTE di Leonardo Mazzei
[ 10 marzo ]
Brillante. Peccato sia fin troppo facile rispondergli che:
a) I tassi sono sì stabili, ma sempre svantaggiosi per i paesi dell’area mediterranea, con la differenza – rispetto a prima – che proprio a causa della moneta unica ciò determina un deflusso di capitali dal sud al nord dell’Unione. Un giochino che piace molto alla Germania, che può così ridurre il proprio debito senza far niente, grazie a tassi in territorio costantemente negativo. Un assurdo possibile solo grazie alla follia dell’euro. Ma su questo il Fontana niente ha da dire. E ci mancherebbe!
b) I mutui sono più vantaggiosi solo in apparenza, dato che quel che conta è il tasso reale depurato dall’inflazione. E siccome oggi siamo ad un’inflazione vicina allo zero, è ovvio che anche i tassi applicati ai mutui abbiano avuto una diminuzione nominale. Ma nominale, non reale. Mentre invece il Fontana dovrebbe sapere che chi ha contratto un mutuo a tasso fisso qualche anno fa, si trova oggi a pagare, proprio per l’effetto deflattivo dell’euro, dei tassi reali salatissimi.
c) Sul mercato unico – i cui vantaggi sono comunque tutti dalla parte dei grandi gruppi capitalistici – al direttore del Corsera dovrebbe essere noto che esso esiste da ben prima dell’euro (ed esattamente dal 1° gennaio 1993) ed indipendentemente da esso, tant’è che ne fanno parte tutti i paesi dell’UE, non solo quelli dell’eurozona. Di che ciancia allora costui?
d) Sui pagamenti e sui viaggi c’è poco da dire. Certo, l’eliminazione di questi fastidi è piaciuta, ma perché non chiedere oggi agli italiani se preferiscono viaggiare con l’impiccio del cambio ma con una situazione economica migliore, piuttosto che senza questa seccatura ma con le tasche vuote? Domanda interessante, ma per il Fontana di certo un tabù.
Ma cosa c’è al cospetto delle presunte meraviglie da lui elencate? Semplice, il puro disastro in caso di uscita dall’euro. Una catastrofe che egli sintetizza in tre punti: una svalutazione del 30%, il problema del debito estero delle aziende italiane, l’esplosione dello spread.
Anche qui temi non nuovi, che meritano tuttavia qualche risposta:
a) Premesso che l’alternativa alla svalutazione esterna è solo quella interna, quella effettivamente operante oggi, che attacca i salari, le pensioni ed ogni prestazione sociale, come si fa a parlare di un 30% senza specificare rispetto a quale moneta? Se ci si riferisce a quel che rimarrebbe dell’euro, nel caso di un’uscita della sola Italia, è questa una cifra che non sta né i cielo né in terra. Se si parla del dollaro idem. Se invece ci si vuol riferire al nuovo marco tedesco è possibile anche un’oscillazione di questo tipo, ma non tanto per una svalutazione della lira, quanto per una fortissima rivalutazione del marco rispetto all’insieme delle monete circolanti. Che è esattamente quel che servirebbe all’Italia, e che ovviamente la Germania cercherà di impedire a tutti i costi. Tutto ciò senza dimenticare l’esistenza di studi (leggi QUI) che prevedono che, dopo le oscillazioni iniziali, la lira avrebbe una svalutazione rispetto al marco limitata ad un modesto 13%.
b) Sul debito estero il Fontana spara la cifra di 600 miliardi di obbligazioni emesse da banche ed imprese italiane sui mercati internazionali e soggette al diritto estero, dunque più difficilmente ridenominabili nella nuova lira. Qui, al di là della dubbia attendibilità di questa cifra, e prescindendo dal fatto che al momento della rottura dell’euro molte sarebbero le cose oggetto di trattativa, il discorso è semplice: si tratta di interessi privati che non possono in alcun modo prevalere su quelli pubblici. Così scrivevamo in proposito tre anni fa nel nostro Vademecum sull’euro:
«Scegliere di sottoporsi alla legislazione britannica è una maniera per spuntare tassi di interesse più bassi, un modo come un altro per scommettere al gran casinò della finanza mondiale. Lo stesso gioco che fanno banche e grandi imprese quando decidono di denominare le loro obbligazioni in diverse valute, sperando di azzeccare il mix tra cambi e interessi. Questa logica da scommettitori non ha cure particolari. E’ un sistema folle, ma è veramente assurdo che se ne parli solo a proposito dell’uscita dall’euro, come se questa fosse la causa».
Cinque sono i temi di cui si occupa, nel maldestro tentativo di smontare quelli che a suo avviso sono cinque miti dei no-euro. Vediamoli.
Il primo punto riguarda il commercio estero, che secondo il giornalista non ha sofferto a causa dell’euro, tant’è che il surplus commerciale dell’Italia è tornato a crescere recuperando i livelli pre-crisi. Il che è vero, ma come è avvenuto, chi ha pagato il prezzo di questo risultato? Domande che ad uno del giornale di Confindustria certo non importano molto.
Eppure è proprio nelle risposte a questi quesiti che si cela la verità, che è in effetti assai semplice da rilevare. Il dato della bilancia commerciale è infatti un saldo tra un “più” (le esportazioni) ed un “meno” (le importazioni). Se questo saldo ha ripreso a salire si deve giusto all’effetto combinato di due fattori. Da un lato, causa la riduzione dei consumi interni, le importazioni sono calate; dall’altro, solo la deflazione salariale – il brutale abbassamento del salario reale – ha consentito alle imprese italiane di mantenersi relativamente competitive.
Detto più chiaramente: se i conti a lorsignori tornano è solo grazie all’aumento dello sfruttamento dei lavoratori ed all’impoverimento degli italiani. E poi ci dicono che la lotta di classe non c’è più.
In realtà sono proprio i dati sulla dinamica delle importazioni a parlarci del disastro che si è compiuto nell’ultimo decennio. Come si può vedere in questa tabella, le importazioni sono crollate violentemente con la crisi del 2009 e poi, in maniera più graduale, con la lunga recessione del 2012-2014. C’è un dato che chiarisce l’entità di questa catastrofe: nel periodo 2008-2016 il valore delle importazioni è passato da 382 a 365 miliardi di euro (-4,5%). Ma attenzione, questo è un calo in valore che ancora non ci dice di quanto sono diminuite le importazioni in quantità. Un dato che si può in qualche modo approssimare solo tenendo conto del tasso medio globale dell’inflazione, operazione che ci consente di stimare all’ingrosso una diminuzione reale attorno al 30%. Avete capito quanto si è impoverita l’Italia in questo periodo?
«Se prendiamo, ad esempio, il caso della benzina, bisogna considerare che il costo della materia prima (il petrolio) – che è l’unico che risentirebbe della svalutazione, dato che i pagamenti vengono effettuati in dollari – incide solo per il 25% sul prezzo alla pompa. Il 57% sono tasse (accise e Iva), mentre il restante 18% include i costi di trasporto e raffinazione, nonché il margine lordo delle aziende distributrici. Se proprio vogliamo fare i conti, ne risulta che un’ipotetica svalutazione del 15% produrrebbe un aumento del costo alla pompa del 3,75%».
In questo esempio abbiamo concesso un’ipotetica (e tutt’altro che certa) svalutazione del 15% rispetto al dollaro. Ma prendendo per buona questa ipotesi, quanto inciderebbe il 3,75% di aumento alla pompa sul tasso di inflazione? L’Istat attribuisce alla voce “beni energetici” un peso di circa l’8% sul totale, per cui possiamo calcolare che arriveremmo ad un’incidenza sull’inflazione dello 0,3%. Ma siccome nei “beni energetici” viene computata anche l’energia elettrica, che oramai con i prezzi del petrolio ha ben poco da spartire, si scende allo 0,2%. Zerovirgoladue, ecco – nella peggiore delle ipotesi – la vera quantificazione del “dramma petrolio” conseguente ad un’uscita dall’euro. Mi pare che non ci sia altro da aggiungere.
Il terzo punto riguarda il governo della moneta. L’Italia ha perso la sua sovranità? E’ vero, ci dice il Sorrentino, ma è meglio così, perché altrimenti non avrebbe avuto i “vantaggi” dell’euro. Su questo tema – sostanzialmente quello dei tassi – abbiamo già risposto occupandoci del Fontana e non ci torniamo sopra.
C’è invece un inciso del giornalista che vale più di tutto il resto. Senza peraltro fornire argomentazione alcuna, egli lascia cadere lì un’affermazione che è tutto un programma:
«È vero, la politica monetaria è decisa a Francoforte dalla Bce per tutti i paesi di Eurolandia. L’Italia ne ha però tratto vantaggi di cui, restando “sovrana” – ma la sovranità è una finzione giuridica – non avrebbe potuto godere».
Ecco, in quell’inciso (la sottolineatura è nostra) c’è tutto il pensiero delle oligarchie globaliste: la sovranità è una finzione; meglio, ha da essere una finzione, che essa spetta solo ed esclusivamente ai cosiddetti “mercati”, cioè più concretamente ai potentati che lì spadroneggiano.
Bene, la visione di lorsignori è chiara, ma qui il pensiero va ai tanti sinistrati che inorridiscono alla semplice parola “sovranità”: che gli orecchi non gli fischino neppure un po’?
Nel quarto punto Sorrentino si inventa un nemico di comodo. Egli accusa infatti i no-euro di rimproverare alla moneta unica di aver portato inflazione al momento della sua introduzione. Ovviamente tutti sappiamo delle speculazioni che vi furono nel 2002, ma il giornalista gioca facile nel dimostrare che l’euro ha comunque portato ad un calo dell’inflazione.
Il problema è però un altro. Sorrentino recita infatti la solita litania secondo cui l’inflazione «è davvero la peggiore delle tasse», scordandosi che ormai da anni il problema è semmai la deflazione, ed il primo obiettivo del QE della tanto decantata Bce è proprio quello di far risalire l’inflazione.
«Il trattato di Maastricht funzionerebbe perfettamente se in ciascun paese la crescita fosse uguale al 2-2,5% e la sua inflazione al 2,5%: permetterebbe di avere deficit pari al 3% del pil ogni anno – il massimo consentito – e di portare il debito al 60% del pil in un tempo lungo ma non irragionevole».
E bravo Sorrentino: se mia nonna avesse le ruote sarebbe una carriola!
Ora con uno così che si deve fare? Questa formuletta “anni ’90” la conoscevamo anche noi, ma è passato un quarto di secolo e bisognerà pur chiederci come mai non funziona. Invece no, ci viene riproposta pari pari: a volte il tempo passa davvero invano!
Probabilmente il Sorrentino vorrebbe dirci che è tutta colpa dell’Italia, peggio degli italiani, popolo indisciplinato e spendaccione quanto mai. Peccato che tra i tre valori di riferimento della formula magica, l’unico che torna è proprio quello del deficit, che per la verità è già al di sotto del 3%, con un costante avanzo primario da oltre vent’anni. Non tornano invece gli altri due: quello sull’inflazione – a proposito, ma allora non era una cosa così peccaminosa! – e soprattutto quello sul Pil.
Potrebbe gentilmente smontare anche le affermazioni contenute in questo video? cordiali saluti https://www.youtube.com/watch?v=NaO1IICzqsI&t=3s