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I CINQUE STELLE E IL FUTURO di Moreno Pasquinelli

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[ 12 aprile ]

Qual’è la natura sociale e politica del Movimento 5 Stelle? E data questa natura qual è il suo destino? Cosa quindi tenderà a fare ove avesse in mano il potere?

Attorno a questi enigmi —a cui i Cinque Stelle sono i primi a non dare risposte— si accapigliano sociologi e politologi, si interrogano le classi dominanti e i movimenti di opposizione.

A noi pare chiaro, e ce lo conferma per ultimo il recente convegno svoltosi ad Ivrea —luogo simbolico che ci riporta ad Adriano Olivetti ed alla sua utopia comunitarista, e però nemmeno una parola a SUM#01 gli è stata dedicata… non è un caso— che M5S sia un contenitore di cose alquanto disparate. Ma se parliamo di “natura”, nel senso di “essenza”, non ce n’è una soltanto, ma due principali. Un’anima liberista e una anti-liberista.

In questo senso, per capire M5S, occorre prendere prestito la formulazione teologica del Concilio di Nicea. Di contro alla setta ariana la quale postulava che Gesù avesse una differente (e subordinata) natura rispetto a quella del Padre, il Concilio rispose che Cristo era della stessa sostanza (ousia) del Padre, che Gesù era pienamente uomo e pienamente divino, e queste due nature coesistevano in lui in perfetta armonia.

Il fatto è che queste due anime, essendo M5S un’entità profana e per nulla divina, ben lungi dal coabitare armonicamente, sono come il diavolo e l’acqua santa, confliggenti, destinate a separarsi. Se fino ad oggi questo conflitto non è deflagrato, prima ancora che per il carisma di Beppe Grillo, ciò dipende dal posizionamento politico all’opposizione. Fino a che M5S resterà all’opposizione sarà relativamente facile tenere buoni i propri demoni interni, puntarli contro i nemici esterni evitando che si azzannino l’uno con l’altro.

Non a caso chi comanda in M5S ha voluto dare al convegno di Ivrea la forma di un simposio di futurologia, a metà tra un meeting di Scientology e ad una soporifera seduta di un club di capitalisti rampanti. In quanto a politica vera, a visione sociale, zero pressoché assoluto. Il “futuro” risulta così un alibi per giustificare la fuga, la diserzione dal presente, dal drammatico presente che vive il nostro paese. 

Ma futuro per futuro, alla fin fine quale versione ci è stata esibita? Né più e né meno che quella propugnata dagli stregoni delle élite oggi dominanti: magnifiche sorti e progressive attenderebbero l’umanità grazie alla illimitata e provvidenziale potenza della rivoluzione tecnologica. Una narrazione abusata, sciatta, teoricamente dozzinale.

Non è nostro il pessimismo antropologico di Massimo Fini, ma il suo intervento ha almeno avuto il pregio di mettere in guardia i presenti dai rischi del “progresso”….

2 pensieri su “I CINQUE STELLE E IL FUTURO di Moreno Pasquinelli”

  1. Giovanni dice:

    E dopo aver parlato di disintermediazione oggi pubblica Cremaschi. Un colpo al cerchio ed uno alla botte. Il quale Cremaschi però parla il solito linguaggio sindacalese bolso rievocando quello statuto dei lavoratori che per tanti, fra cui io, significa solo l'esclusione. Parla cioè dei diritti degli altri. Questo gli spindoctor del Grilloblog lo sanno bene e per questo glielo fanno dire. Ma Cremaschi lo sa?

  2. pasquino55 dice:

    Da Comunista quale sono non mi rassegno (e non voglio) al fatto che in questo periodo le più interessanti e oggettivamente rivoluzionarie analisi politiche, culturali e sociali siano espresse dalle migliori e più lucide menti della destra (Massimo Fini)e dalle avanguardie del mondo cristiano (papa Francesco). Continuare a dover osservare come la cosiddetta intellighenzia di sinistra si sia volontariamente e perdutamente imbrigliata per raccattare un po' di visibilità mediatica e un po' di "consenso politico" dentro e dietro giurassiche analisi e tatticismi senza attualità e prospettiva, alla continua ricerca di scorciatoie politiche che, data la complessità e la situazione attuale di rapporti di forza tra sfruttati e sfruttatori che non esistono, è veramente deprimente. Una sinistra che consapevolmente ha lasciato e sacrificato sull'altare del pragmatismo politico che siano altri a combattere quelle che erano le proprie battaglie, sperando e illudendosi che per mezzo di qualche (quanto improbabile) furbesco tatticismo di potersi reinserire nell'agone politico e tornare ad avere un ruolo di rilievo nello scontro culturale ed epocale che in questa contesa si sta consumando tra libertà e nuovo schiavismo, ha chiuso il cerchio, staccandosi definitivamente da quelli che sono i presupposti del suo DNA. Questa scelta colpevole e scellerata non può che condannare alla marginalità e all'inconsistenza politico sociale chi l’ha compiuta. Quando il gioco si fa duro è ora che i duri (se ci sono) comincino a giocare.Pasquino55

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