UBER: NON SOLO UN ALGORITMO CHE RENDE SCHIAVO IL LAVORATORE
[ 4 aprile ]
Occorre comprendere come muta —ove il concetto di mutazione è oltre la semplice trasformazione— il modo di lavorare e vivere in un sistema economico e sociale neoliberista dispiegato. Gli Stati Uniti sono il luogo ove questa mutazione è andata più avanti, e in questo luogo UBER si pone come l’avanguardia di questa mutazione incessante.
Gli algoritmi
Lyft, il diretto concorrente che in Europa non è ancora sbarcato, usa meccanismi simili e ha fatto comparire ai propri autisti delle lancette che mostrano quando hanno quasi raggiunto un target. Peraltro sono molte le app che già fanno la stessa cosa con noi utenti per spingerci a rimanere connessi sempre di più e diventare un po’ dipendenti. Gli algoritmi predittivi di società come Netflix, Amazon, ma anche della pubblicità programmatica di Google e Facebook, giocano sulla sottile linea che separa il consiglio
dall’influenza nella scelta.
L’asimmetria informativa è tale che noi stessi possiamo convincerci di volere proprio ciò che ci viene offerto, come se fosse sul serio un’opzione tra tutte le altre. Uber però è interessante da seguire — non solo per gli aspiranti autisti — perché sta diventando un test sul nuovo rapporto tra azienda e non-dipendente tipico del lavoro flessibile dell’economia della condivisione.
L’influenza sui lavoratori
Il problema della piattaforma di «ride sharing» è come influenzare non solo le scelte dei consumatori, ma anche quelle della forza lavoro laddove non avendo dipendenti non può teoricamente imporre nulla. Ogni autista può guidare quando vuole, dove vuole e quanto vuole. Non ci sono obblighi come contraltare del fatto che non ci sono sostanzialmente diritti. Peraltro il mondo Uber è interessante anche perché, nonostante tutti i suoi limiti, è riuscito (laddove gli è stato permesso di operare) a imporre una liberalizzazione privatistica, cioè non dettata come normalmente avviene dallo Stato, di un mercato chiuso e tendenzialmente restio al cambiamento come quello dei taxi.
Soft-power?
Il problema della piattaforma però è che l’efficienza dell’algoritmo si scontrava con l’inefficienza del tutto razionale degli autisti: tutti vogliono (giustamente) lavorare nelle ore di punta e nelle zone di maggiore concentrazione di domanda di corse. Massimo
risultato con il minimo sforzo. Per Uber questo significava avere dei buchi di offerta. La gamification basata sui falsi incentivi (il messaggio per Streeter avrebbe potuto essere: “hai già guadagnato 320 dollari netti, ottimo lavoro!”) è stata studiata proprio per spingere le persone a lavorare quando il loro buon senso gli diceva di smettere. Quello di Uber è un soft-ware power nella forma. Ma forse hard nella sostanza.
Uber macht frei?
leggo: uber trattiene il 25% netto.25% su cui pagherà lo 0% di tasse.il meraviglioso mondo delle multinazionali.no borders, no free.