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GLOBALIZZAZIONE, LA CINA E L’OCCIDENTE: LA CURVA DI MILANOVIC di Dario Di Vico

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La curva di Milanovic

[ 12 maggio 2017 ]



La curva di Milanovic dimostra tra le altre cose, i grandi vantaggi ottenuti con la globalizzazione dalla Cina. Ma anche dalle élite più ricche dell’Occidente. Ciò mentre le classi medie occidentali e tutte le classi salariate ci hanno rimesso le penne. E’ davvero singolare che l’autore del pezzo qui sotto, Dario Di Vico, chieda alla Cina ciò che egli e la combriccola di europeisti non chiedono alla Germania….


«Se i cinesi potessero votare per tenere in equilibrio e in continuità i sistemi politici occidentali, il gioco sarebbe fatto. E avremo una classica situazione da cui tutti guadagnano. Sono infatti loro i veri vincitori della globalizzazione, sono stati cittadini della Repubblica popolare che hanno incassato il dividendo più generoso dall’allargamento del mondo, dall’intensificarsi degli scambi e dalla riduzione delle barriere. 

Il guaio è che in parallelo le classi medie occidentali hanno subito una retrocessione ed è questo movimento all’indietro che, sommato ad altre componenti —l’immigrazione in primis—, sta condizionando pesantemente i risultati elettorali ad ovest, in quasi tutti paesi. La verità è che i flussi dell’economia sono diventati via via più integrati/globali e scoppia la contraddizione con i mercati politico-elettorali, che invece sono rimasti rigidamente nazionali. Ed è un rebus che per ora non trova soluzione. 

In questa chiave può risultare di grande utilità l’immagine che ormai tutti hanno preso a chiamare l’elefante di Milanovic [vedi sopra]. E che pubblichiamo corredata da una ricca leggenda. Si tratta di un grafico elaborato qualche tempo fa ma sempre attuale perché mette in relazione la crescita globale del reddito e la sua distribuzione a Est e a Ovest.

Branko Milanovic è un serbo-americano, ex capo economista della Banca mondiale. Ora insegna alla City University di New York ed è considerato tra i massimi studiosi di disuguaglianza. Si dichiara amante del calcio —che tra le sue passioni viene subito dopo la disuguaglianza, la politica e la storia— e nei giorni scorsi ha tributato su Twitter il suo omaggio a Claudio Ranieri (“Was always a gentleman”) appena licenziato dal Leicester. 

Milanovic considera le politiche blairiane della “terza via” una variante della destra, se non addirittura una versione annacquata del Thatcherismo, stigmatizza le sinistre incapaci di offrire sbocchi alle crescenti contraddizioni sociali (in passato loro materia prima), ricorda come non molti anni fa fosse ben difficile ottenere qualsiasi finanziamento per ricerche sulla disuguaglianza e sostiene, infine, che il dibattito in materia adesso è rifiorito per il mutamento del clima politico, ma anche perché si hanno a disposizione molti più dati. 

Il suo elefante e ci mostra come a usufruire del massimo incremento di ricchezza siano stati gli abitanti dei paesi emergenti, in primissimo luogo i cinesi, e ci lustra altre due evidenze: il declino delle classi medie [nella classe media la vulgata mette tutti i

lavoratori salariati dell’Occidente, Ndr] dei paesi sviluppati e il boom dei guadagni per la ristrettissima élite globale. Pier Pietro Ichino, che ha pubblicato e commentato il grafico nel suo sito, l’elefante “Mostra come Barak Obama abbia ragione: chi si batte per l’uguaglianza e l’equità del genere umano non può combattere la globalizzazione”. Ma —e c’è lo spazio di un ma piuttosto ingombrante— la parte bassa della proboscide sottintende il ristagnare o la flessione del reddito di almeno un terzo della classe media occidentale, “donde quell’ansia e senso di insicurezza che ha contagiato anche qualcuno che quella riduzione drastica non la sofferta, ma teme di finire tra i perdenti”.


In realtà c’è una forte asimmetria tra i due fenomeni. Chi tiene veramente al superamento delle disuguaglianze e ne fa quasi un principio etico, non negoziabile, dovrebbe essere più che soddisfatto: il dorso dell’elefante lo dovrebbe rassicurare sul fatto che sono centinaia di milioni i poveri che, non solo in Cina, hanno visto migliorare le proprie condizioni di vita, a cominciare dei contadini che si sono lasciati alle spalle le campagne e si sono inurbati. Lo storico balzo in avanti di cui sono stati protagonisti nemmeno dal punto di vista meramente quantitativo è paragonabile al declino dei ceti medi dell’Ovest, la cui esistenza “era comunque relativamente prospera” (chiosa di Milanovic). È l’incrocio fatale, già accennato, con i mercati politici nazionali e i loro equilibri terremotati dalla globalizzazione che rovescia proporzioni e valori e mette in copertina il forgotten man che ha votato Donald Trump.

Facciamo adesso un salto a Davos allo storico discorso di fine gennaio di Xi Jinping, che ha colto l’occasione per ereditare la bandiera della globalizzazione dagli americani e presentarsi come l’alfiere del mondo largo che rifiuta protezionismi e bandiere. 
Il numero uno di Pechino ha presentato la mondializzazione con una grande operazione di redistribuzione della ricchezza e circa gli effetti collaterali generati in Occidente ha implicitamente sostenuto che sono figli dei nostri errori. “Voi”, ci ha detto: 

«Non siete stati capaci di conciliare efficienza ed equità e avete subito l’egemonia del capitale finanziario, sacrificando il benessere delle vostre classi medie sull’altare non del benessere dei contadini del mio paese, bensì dell’1% degli straricchi».

Qualcosa del genere l’aveva già scritta Milanovic, sostenendo che “quando Reagan e Thatcher costruivano il consenso per la svolta neoliberale non lo facevano certo spiegando che quelle politiche avrebbero arricchito i poveri cinesi, e che i lavoratori inglesi o americani nel frattempo avrebbero perso il proprio lavoro”.


Ha ragione Xi Jinping con il suo schiaffo di Davos, ovvero se-avete-perso-è colpavostra-non-mia? 
Secondo Andrea Goldstein, economista e autore del libro Capitalismo rosso (Università Bocconi Editore), senza voler assolvere le leadership occidentali (e mondare i loro errori) il numero uno di Pechino ha raccontato tutta la storia. 

«Finora la Cina si è comportata come un free rider che aveva campo libero grazie alle liberalizzazioni dell’Occidente, ma da loro è ancora difficile operare per gli industriali stranieri, interi Settori sono rimasti chiusi e protetti e purtroppo gli indicatori degli osservatori internazionali segnalano una tendenza al peggioramento».

Da vincitore della globalizzazione, Xi Jinping a Davos, avrebbe dovuto offrire all’Ovest è una sorta di indennizzo: “più libertà economiche in Cina come contributo alla crescita dell’Occidente e la sua stabilità”. Questa scelta non c’è stata e la classe dirigente di Pechino continua con la politica del doppio binario: voi dovete liberalizzare, noi facciamo quello che ci aggrada. E, chiude Goldstein, “vediamo che si stanno orientando verso una decisa centralizzazione delle scelte economiche e un rafforzamento delle società a capitale pubblico come braccio armato delle scelte governative.

Un pensiero su “GLOBALIZZAZIONE, LA CINA E L’OCCIDENTE: LA CURVA DI MILANOVIC di Dario Di Vico”

  1. Fiorenzo Fraioli dice:

    Dario Di Vico, frusinate, compagno di scuola mio e di Claudio Martino, ex leader cittadino (con Claudio) del Movimento Lavoratori per il Socialismo. Ho ancora nitido il ricordo degli sproloqui che disse durante una riunione, lui leader riconosciuto e io più piccolo e soprattutto paesanotto. Uno dei più grandi rimpianti della mia gioventù non averlo interrotto per dirgli "stai dicendo una marea di stronzate". Ma ero timiduzzo in illo tempore…

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