LA FASE STORICA IN CUI SIAMO E LA NOSTRA STRATEGIA POLITICA (seconda parte) di Manolo Monereo
[ 26 maggio 2017]
costruzione nazional-popolare
La grande sfida di Podemos è stata, fin dall’inizio, il suo impegno chiaro, la sua pretesa di essere una forza politica con volontà di governo e di potere. Di fatto, il combattimento reale, quello che segna la congiuntura attuale, è la disputa per l’egemonia nella sinistra. Il problema si potrebbe porre così: cosa significa governare in un paese periferico dell’Unione europea egemonizzata dallo Stato tedesco? Da un altro punto di vista: quale potere reale ha la democrazia spagnola per promuovere un progetto politico, sociale ed economico alternativo al neoliberismo dominante nell’UE?
La domanda non è facile e ha molti aspetti. Per iniziare, converrà tenere conto che l’UE è stata il modo in cui la globalizzazione è stata applicata in una parte del nostro continente. Questo non è il luogo per aprire un dibattito approfondito sulla natura dell’UE, del sistema dell’euro e del ruolo della Germania. Basterà indicare che l’Unione europea appare come una forma di dominio politico che gestisce gli interessi generali del capitale, che organizza e dirige le classi dirigenti dei vari paesi e che assicura un tipo specifico di capitalismo che, per brevità, chiamiamo neoliberismo. La chiave è sempre stata quella di espropriare la sovranità monetaria ed economica degli Stati in un doppio processo di “depoliticizzazione” della politica economica e di “naturalizzazione” dell’economia, come Jacques Sapir ha sottolineato molti anni fa. Era il nucleo del progetto difeso da Von Hayek, l’Europa federalizzata che sottrae alla sovranità popolare la politica economica e il controllo sull’economia, imponendo uno Stato minimo alle diverse nazioni e, questo spesso si dimentica, che impedisce la costruzione di Stati Uniti d’Europa, vale a dire uno stato europeo in senso stretto.
L’esperienza di Syriza insegna molto. Si davano almeno due alternative: eseguire una serie di politiche che, in un modo o nell’altro, fossero funzionali ai parametri prevalenti nell’Unione o uscire dall’Unione e dall’euro con un processo più o meno unitario. Ci sarebbe una terza posizione un po’ più complessa, vale a dire, l’attuazione di politiche che avrebbero potuto mettere in discussione il modello neoliberista e che anche, in una forma o in un’altra, avrebbero finito per scontrarsi con i poteri dominanti dell’Unione, innescando una dinamica sociale e politica che avrebbe organizzato i settori popolari in difesa di un governo legittimo con un programma democratico al servizio delle maggioranze e delle classi lavoratrici. La chiave, il vero problema per tutti i paesi del sud della UE è lo stesso, l’UE si configura in ultima ratio, come un ostacolo di dimensioni enormi a cambiamenti politici, sociali ed economici che mettono in discussione il modello neoliberista.
Il modello di integrazione proprio della UE lo si riconosce dal modo come essa si pone davanti all’ipotesi di un governo che dichiara di voler difende i diritti sociali, la democratizzazione dell’economia e la sovranità popolare.
L’europeismo delle classi dominanti è qui che ha il suo vero fondamento: assicurare che nessun governo possa sfidare il capitalismo neoliberista e, ciò che è fondamentale, lo Stato tedesco come custode, guardiano dell’Unione europea. Per dirla con più precisione: in epoche precedenti la paura era quella di un colpo di stato militare organizzato dalle forze armate, sotto la supervisione di una NATO guidata dagli Stati Uniti. Oggi il colpo di stato lo compie la Banca Centrale Europea, lo organizza la Troika e lo effettua lo Stato tedesco, sempre, mantenendo le classi dominanti dei diversi Stati come alleati strategici. La Germania fa il lavoro sporco che nessuna borghesia del sud della zona euro potrebbe realizzare da sola, in cambio si garantisce predominio economico e supremazia politica.Gli obiettivi delle forze popolari e democratiche del sud dell’Unione hanno molto a che fare con i programmi dei Comitati di Liberazione Nazionale e sociale dei movimenti di resistenza al nazifascismo europeo. Occorre ricostruire lo Stato su nuove basi, dotandolo di potere per regolare l’economia, sottomettere i poteri finanziari parassitari e assicurare politiche che garantiscano la piena occupazione, la redistribuzione del reddito e i diritti sociali. C’è da rifondare la democrazia dando nuovo slancio al potere costituente del popolo, con riforme costituzionali che rafforzino il costituzionalismo sociale e che
garantiscano l’efficacia dei diritti fondamentali, che impediscano che ci siano poteri sovraordinati rispetto alla sovranità popolare democraticamente organizzata. Una democrazia, per farla breve, di donne e uomini liberi e uguali impegnati per la giustizia e una relazione armonica con la natura.
Il tempo guadagnato, lo hanno sottolineato con forza W. Streeck e in un certo senso Colin Crouch, è quello che serve per evitare lo scontro tra democrazia così come la conosciamo e il capitalismo realmente esistente. Il capitalismo come problema appare dove meno te lo aspetti, vale a dire, per il peso delle sue proprie contraddizioni e per l’enormità del suo trionfo. Si può dire che il capitalismo ha minato le basi sociali che lo hanno reso possibile e che, ora senza nemici, non tiene specchio dove guardarsi né meccanismi autocorrettivi che lo guidino. Il paradosso è grande e con conseguenze strategiche importanti. Ciò che è fondamentale non può essere trascurato: la questione del nostro tempo, il centro nodale del conflitto, è la contraddizione sempre più forte tra democrazia e capitalismo. Non è la prima volta, ma può essere l’ultima.
Dobbiamo tornare alla domanda radicale: che cosa significa governare qui e ora? Nella nostra tradizione si è sempre posta una distinzione tra accesso al governo e conquista del potere. Il problema di oggi è, se si vuole, più profondo, più difficile: i governi hanno meno potere, perché non dirigono Stati sovrani, i poteri reali risiedono fondamentalmente nella UE e questa ha meccanismi coercitivi per imporre ad ogni Stato l’attuazione di politiche economiche neoliberiste. Per dirla in altro modo, l’unica opzione che offre l’Unione europea è quella di scegliere la forma più adeguata per applicare la sue ricette neoliberiste, e questo sempre sotto la supervisione della Commissione e sotto la minaccia di sanzioni.
Molti anni fa, nel pieno del dibattito sul Programma Comune francese, l’economista S. Ch Kolm disse che quando la sinistra arrivava al governo finiva sempre per dover scegliere tra perire o tradire; perire, per la sua incapacità di condurre una sana politica economica; tradire, per rinunciare ad una parte sostanziale del suo programma, o per inadeguatezza rispetto all’esistente o per la forza dei poteri dominanti. Ma in questa Unione europea, la Grecia di Syriza sembra essere diversa: tradire e perire. Nell’Unione europea si dà una politica e una sola, tutto il resto sono sogni ad occhi aperti e diverse modi di ingannarsi.
Il problema rimane quindi il potere. Un governo democratico deve accumulare potere, creare ed organizzare potere contro la troika; deve fare passi intelligenti e coraggiosi che gli diano più autonomia macroeconomica; deve definire una serie di proposte sociali possibili, volte ad aumentare il potere dei lavoratori e dei sindacati; organizzare una fiscalità realmente progressiva e lottare contro la frode e l’elusione; intervenire sulla povertà con strumenti efficaci e rapidi come il reddito o il lavoro garantito; creare le condizioni per un nuovo modello di sviluppo sociale ed ecologicamente sostenibile. La chiave è unire programma e costituzione dei soggetti politico-sociali. La dialettica soggetto-programma è essenziale. Il conflitto deve essere lo strumento, il mezzo che permetta di organizzare poteri sociali e il programma, il dispositivo che genera le condizioni per l’egemonia. Programma-soggetti-poteri sociali che definiscano un progetto nazional-popolare capace di sfidare il potere ad un’oligarchia finanziaria egoista, parassitaria e senza progetto di Paese.