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LA FASE STORICA IN CUI SIAMO E LA NOSTRA STRATEGIA POLITICA (seconda parte) di Manolo Monereo

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[ 26 maggio 2017]

La prima parte QUI.

«Non v’è nulla di arbitrario nella speranza. E’ costruzione dal reale e dal concreto. Si genera speranza nelle lotte di tutti i giorni, nei fallimenti, nelle piccole vittorie e nel che fare quotidiano. In sostanza, dare un senso alla vita e lottare per ottenerlo. Siamo l’unico animale che deve dare un senso al vivere e lottare per esso. La nostra crisi è crisi di civilizzazione e il pericolo ci perseguita. Il nodo che intreccia la crisi ecologico-sociale con la decadenza economica e la guerra deve essere tagliato. Non possiamo credere, come Hölderlin, che “dove c’è il pericolo cresce ciò che ci salva”. No, ci salverà invece un’azione cosciente, una speranza che combini grandi verità materiali che rendano degna la vita delle persone con verità spirituali che danno senso a ciò che facciamo. Comunità, appartenenza, come patria di tutti i giorni e azione collettiva per un mondo abitabile e giusto. Pietro Barcellona ci disse più e più volte: il difetto più grande degli intellettuali è sempre l’élitarismo e il disprezzo per la gente comune».

3. Governare nella periferia dell’Unione europea: la strategia dei poteri sociali e la

costruzione nazional-popolare


La grande sfida di Podemos è stata, fin dall’inizio, il suo impegno chiaro, la sua pretesa di essere una forza politica con volontà di governo e di potere. Di fatto, il combattimento reale, quello che segna la congiuntura attuale, è la disputa per l’egemonia nella sinistra. Il problema si potrebbe porre così: cosa significa governare in un paese periferico dell’Unione europea egemonizzata dallo Stato tedesco? Da un altro punto di vista: quale potere reale ha la democrazia spagnola per promuovere un progetto politico, sociale ed economico alternativo al neoliberismo dominante nell’UE?

La domanda non è facile e ha molti aspetti. Per iniziare, converrà tenere conto che l’UE è stata il modo in cui la globalizzazione è stata applicata in una parte del nostro continente. Questo non è il luogo per aprire un dibattito approfondito sulla natura dell’UE, del sistema dell’euro e del ruolo della Germania. Basterà indicare che l’Unione europea appare come una forma di dominio politico che gestisce gli interessi generali del capitale, che organizza e dirige le classi dirigenti dei vari paesi e che assicura un tipo specifico di capitalismo che, per brevità, chiamiamo neoliberismo. La chiave è sempre stata quella di espropriare la sovranità monetaria ed economica degli Stati in un doppio processo di “depoliticizzazione” della politica economica e di “naturalizzazione” dell’economia, come Jacques Sapir ha sottolineato molti anni fa. Era il nucleo del progetto difeso da Von Hayek, l’Europa federalizzata che sottrae alla sovranità popolare  la politica economica e il controllo sull’economia, imponendo uno Stato minimo alle diverse nazioni e, questo spesso si dimentica, che impedisce la costruzione di Stati Uniti d’Europa, vale a dire uno stato europeo in senso stretto.

L’esperienza di Syriza insegna molto. Si davano almeno due alternative: eseguire una serie di politiche che, in un modo o nell’altro, fossero funzionali ai parametri prevalenti nell’Unione o uscire dall’Unione e dall’euro con un processo più o meno unitario. Ci sarebbe una terza posizione un po’ più complessa, vale a dire, l’attuazione di politiche che avrebbero potuto mettere in discussione il modello neoliberista e che anche, in una forma o in un’altra, avrebbero finito per scontrarsi con i poteri dominanti dell’Unione, innescando una dinamica sociale e politica che avrebbe organizzato i settori popolari in difesa di un governo legittimo con un programma democratico al servizio delle maggioranze e delle classi lavoratrici. La chiave, il vero problema per tutti i paesi del sud  della UE è lo stesso, l’UE si configura in ultima ratio, come un ostacolo di dimensioni enormi a cambiamenti politici, sociali ed economici che mettono in discussione il modello neoliberista.

Il modello di integrazione proprio della UE lo si riconosce dal modo come essa si pone davanti all’ipotesi di un governo che dichiara di voler difende i diritti sociali, la democratizzazione dell’economia e la sovranità popolare. 

L’europeismo delle classi dominanti è qui che ha il suo vero fondamento: assicurare che nessun governo possa sfidare il capitalismo neoliberista e, ciò che è fondamentale, lo Stato tedesco come custode, guardiano dell’Unione europea. Per dirla con più precisione: in epoche precedenti la paura era quella di un colpo di stato militare organizzato dalle forze armate, sotto la supervisione di una NATO guidata dagli Stati Uniti. Oggi il colpo di stato lo compie la Banca Centrale Europea, lo organizza la Troika e lo effettua lo Stato tedesco, sempre, mantenendo le classi dominanti dei diversi Stati come alleati strategici. La Germania fa il lavoro sporco che nessuna borghesia del sud della zona euro potrebbe realizzare da sola, in cambio si garantisce predominio economico e supremazia politica.

Gli obiettivi delle forze popolari e democratiche del sud dell’Unione hanno molto a che fare con i programmi dei Comitati di Liberazione Nazionale e sociale dei movimenti di resistenza al nazifascismo europeo. Occorre ricostruire lo Stato su nuove basi, dotandolo di potere per regolare l’economia, sottomettere i poteri finanziari parassitari e assicurare politiche che garantiscano la piena occupazione, la redistribuzione del reddito e i diritti sociali. C’è da rifondare la democrazia dando nuovo slancio al potere costituente del popolo, con riforme costituzionali che rafforzino il costituzionalismo sociale e che

garantiscano l’efficacia dei diritti fondamentali, che impediscano che ci siano poteri sovraordinati rispetto alla sovranità popolare democraticamente organizzata. Una democrazia, per farla breve, di donne e uomini liberi e uguali impegnati per la giustizia e una relazione armonica con la natura.

Il tempo guadagnato, lo hanno sottolineato con forza W. Streeck e in un certo senso Colin Crouch, è quello che serve per evitare lo scontro tra democrazia così come la conosciamo e il capitalismo realmente esistente. Il capitalismo come problema appare dove meno te lo aspetti, vale a dire, per il peso delle sue proprie contraddizioni e per l’enormità del suo trionfo. Si può dire che il capitalismo ha minato le basi sociali che lo hanno reso possibile e che, ora senza nemici, non tiene specchio dove guardarsi né meccanismi autocorrettivi che lo guidino. Il paradosso è grande e con conseguenze strategiche importanti. Ciò che è fondamentale non può essere trascurato: la questione del nostro tempo, il centro nodale del conflitto, è la contraddizione sempre più forte tra democrazia e capitalismo. Non è la prima volta, ma può essere l’ultima.

Dobbiamo tornare alla domanda radicale: che cosa significa governare qui e ora? Nella nostra tradizione si è sempre posta  una distinzione tra accesso al governo e conquista del potere. Il problema di oggi è, se si vuole, più profondo, più difficile: i governi hanno meno potere, perché non dirigono Stati sovrani, i poteri reali risiedono fondamentalmente nella UE e questa ha meccanismi coercitivi per imporre ad ogni Stato l’attuazione di politiche economiche neoliberiste. Per dirla in altro modo, l’unica opzione che offre l’Unione europea è quella di scegliere la forma più adeguata per applicare la sue ricette neoliberiste, e questo sempre sotto la supervisione della Commissione e sotto la minaccia di sanzioni.

Molti anni fa, nel pieno del dibattito sul Programma Comune francese, l’economista S. Ch Kolm disse che quando la sinistra arrivava al governo finiva sempre per dover scegliere tra perire o tradire; perire, per la sua incapacità di condurre una sana politica economica; tradire, per rinunciare ad una parte sostanziale del suo programma, o per inadeguatezza rispetto all’esistente o per la forza dei poteri dominanti. Ma in questa Unione europea, la Grecia di Syriza sembra essere diversa: tradire e perire. Nell’Unione europea si dà una politica e una sola, tutto il resto sono sogni ad occhi aperti e diverse modi di ingannarsi.

Il problema rimane quindi il potere. Un governo democratico deve accumulare potere, creare ed organizzare potere contro la troika; deve fare passi intelligenti e coraggiosi che gli diano più autonomia macroeconomica; deve definire una serie di proposte sociali possibili, volte ad aumentare il potere dei lavoratori e dei sindacati; organizzare una fiscalità realmente progressiva e lottare contro la frode e l’elusione; intervenire sulla povertà con strumenti efficaci e rapidi come il reddito o il lavoro garantito; creare le condizioni per un nuovo modello di sviluppo sociale ed ecologicamente sostenibile. La chiave è unire programma e costituzione dei soggetti politico-sociali. La dialettica soggetto-programma è essenziale. Il conflitto deve essere lo strumento, il mezzo che permetta di organizzare poteri sociali e il programma, il dispositivo che genera le condizioni per l’egemonia. Programma-soggetti-poteri sociali che definiscano un progetto nazional-popolare capace di sfidare il potere ad un’oligarchia finanziaria egoista, parassitaria e senza progetto di Paese.   

  
4. Alleanze, programma, partito: “volere è potere”

Non si da altra possibilità, si debbono fare tre cose in una volta, con più difficoltà: l’accelerazione del tempo, dei tempi politici e elettorali. Oggi Unidos Podemos rappresenta la più ampia alleanza elettorale dalla fine della seconda Repubblica —Podemos, Izquierda Unida, le Mareas galiziane e En Comun-Podem— con 71 deputati e 21 senatori, una significativa forza parlamentare impari dato il nostro sistema elettorale ingiusto e sleale. Cosa c’è dietro? I due principali problemi dalla cui risoluzione dipenderà in gran parte la soluzione dei dilemmi politici del paese: la “questione sociale e di classe” e la “questione nazionale”, vale a dire, le rivendicazioni sociali e le esigenze nazionali per un nuovo progetto di Paese, per un nuovo tipo di Stato e un nuovo modello sociale più giusto ed egualitario. Tutto questo nel bel mezzo di una crisi estremamente grave del progetto della Ue.
Le alleanze sono sempre complesse, molto di più nel nostro caso quando esprimono fratture nazionali che cercano di costruire un nuovo Stato. L’alternativa federale è una vecchia aspirazione e sempre rinviata, che richiede riforme costituzionali molto profonde. La definizione del demos, quella del soggetto costituentestesso è problematica in sé e richiede mediazioni politiche complicate. Il fattore decisivo è la necessità di un programma comune che annodi il sociale ed il nazionale in un nuovo progetto Paese che recuperi la sovranità dello Stato per attuare politiche che assicurino un lavoro dignitoso, diritti sociali fondamentali per tutti e lo sviluppo del nostro debole Stato sociale. Quando parliamo di programma, come prima è stato indicato, si fa riferimento a un insieme di idee-forza coerentemente articolate, comprensibili dalla maggioranza, capaci di trasformare il senso comune e diventare una convinzione per cui si può combattere e impegnarsi.
“Volere è potere” è un vecchio adagio castigliano che significa che quando le persone s’impegnano per idee o progetti possono cambiare la realtà. Fondamentale è l’azione collettiva, l’organizzazione, la creazione di comunità, di appartenenza, di identità intorno ad un nuovo progetto collettivo. Nelle nostre società c’è sempre un deficit di soggettività. La rassegnazione e la passività rovinano tutto. Lo stesso discorso sulla corruzione è ambivalente. Da un lato, spinge all’indignazione contro il controllo esercitato dai poteri forti sulla politica fino a corromperla; d’altra parte, il fenomeno invita alla passività, il discorso che tutti sono uguali, che non c’è salvezza nella politica e che ognuno deve fare i conti con i propri guai provando a liberarsi individualmente. I poteri continuano nella loro vecchia strategia del ritorno alla democrazia censitaria espellendo le persone dalla politica.
Partito, programma e alleanze vanno riscattate nella loro originalità come una proposta democratico-plebea che cerca di unire, organizzare e dare un senso di appartenenza ad un nuovo blocco storico-culturale attorno ad un progetto politico di liberazione sociale. Ora, come sempre, un progetto chiaro, trasparente, intelligibile, comprensibile agito collettivamente e, questo è vitale, pubblicamente esemplare. La virtù repubblicana è sempre stata quella della difesa dell’etica pubblica che non ci considera angeli in un mondo imperfetto, ma uomini e donne liberi che credono che la politica ha un fondamento morale, incompatibile con la corruzione, con l’uso privato di beni pubblici, con i privilegi economici e sociali che non hanno nulla a che fare con l’esercizio di un servizio alla comunità. In breve, scegliere la migliore tradizione del movimento democratico-socialista, che incorporava nella vita pubblica gli umiliati e gli sfruttati, dando loro una voce e diritti e che tendeva a socializzare la vita pubblica. La chiave è sempre stata un impegno politico e di classe forte; organizzarsi e agire collettivamente; fare la grande politica per cambiare il mondo dalle fondamenta, per costruire una società giusta, egualitaria, libera dallo sfruttamento e dal dominio.
Per il partito Podemos ciò è molto difficile. Esso deve costruirsi nel bel mezzo di un’alleanza di cui è la spina dorsale e organizza; definire la struttura organizzativa tra scadenze elettorali e immaginando e inventando quadri e direzioni in battaglie politiche molto dure, a volte drammatiche. Essere partito senza cadere nel partitismo fazioso e vuoto, costruirsi dal basso senza allontanarsi da elettori e alleati; farsi nel conflitto sociale senza settarismo e aprire nuovi spazi più difficili e complessi. Ci sono tre problemi che richiedono un’attenzione immediata: a) i circoli (organizzazione di base), il loro funzionamento e il loro inserimento nel territorio, con un occhio alle elezioni locali che saranno decisive; b) la formazione rapida e sistematica di centinaia di quadri politici e amministratori pubblici; c) consolidare una squadra dirigente autorevole, capace, plurale e unita.
5. Epilogo. La speranza come problema

Non v’è nulla di arbitrario nella speranza. E’ costruzione dal reale e dal concreto. Si genera speranza nelle lotte di tutti i giorni,nei fallimenti, nelle piccole vittorie e nel che fare quotidiano. In sostanza, dare un senso alla vita e lottare per ottenerlo. Siamo l’unico animale che deve dare un senso al vivere e lottare per esso. La nostra crisi è crisi di civilizzazione e il pericolo ci perseguita. Il nodo che intreccia la crisi ecologico-sociale con la decadenza economica e la guerra deve essere tagliato. Non possiamo credere, come Hölderlin, che “dove c’è il pericolo cresce ciò che ci salva”. No, ci salverà invece un’azione cosciente, una speranza che combini grandi verità materiali che rendano degna la vita delle persone con verità spirituali che danno senso a ciò che facciamo. Comunità, appartenenza, come patria di tutti i giorni e azione collettiva per un mondo abitabile e giusto. Pietro Barcellona ci disse più e più volte: il difetto più grande degli intellettuali è sempre l’elitarismo e il disprezzo per la gente comune.

* Fonte: Rebelion
** Traduzione a cura di SOLLEVAZIONE

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