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PODEMOS E L’INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA di Manolo Monereo

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[ 21 settembre 2017]

Pubblichiamo una recentissima intervista di Manolo Monereo, uno dei dirigenti di spicco di Podemos

Nella prima parte dell’intervista Monereo risponde sulla questione se sia possibile, e se sì, in che forma e su contenuti, un’alleanza di governo tra Unidos Podemos e i socialisti del PSOE.
Nella seconda parte risponde ad ampio raggio e con profondità teorica e strategica sulla questione della indipendenza della Catalogna.
Data l’imminenza del referendum catalano del 1 ottobre e il precipitare del conflitto tra Barcellona e Madrid invertiamo l’ordine mettendo prima la parte dell’intervista che tratta della Catalogna.
E siccome ci siamo segnaliamo che anche noi, come Monereo, pur essendo federalisti e anti-secessionisti, siamo col popolo catalano che protesta contro gli arresti e la repressione del governo Rajoy. Come Monereo siamo per l’autoderminazione dei popoli, il che non significa affatto sostegno sempre e ovunque alla secessione.

[nella foto Artur Mas, leader del centro-destra liberista e indipendentista catalano]

   LA QUESTIONE CATALANA    

D. In alcuni aspetti, i discorsi del PSOE e di Unidos Podemos sono simili. Ma c’è un’area in cui sembra che ci sia un ostacolo importante: la questione catalana. Qual è esattamente la posizione di Podemos su questo problema?

-R.  Quando Podemos nacque come forza politica con qualche potere di decisione, il problema della Catalogna era già sul tavolo. Inoltre, il problema della Catalogna affiorò già nel 15M. Ricordo ancora Carod Rovira invitare i pitoflautas [ espressione gergale che non ha un equivalente in lingua italiana, che sta potrebbe stare per cazzaro; NdR]ad andare a pisciare in Spagna. In quei giorni la questione sociale, e la questione del potere, stavano emergendo con forza in Catalogna, e in quel contesto la borghesia catalana, guidata da CiU [Convergència i Unió, alleanza dei due partiti nazionalisti catalani di centro-destra CDC e UDC scioltasi nel 2015; NdR], ha reagito facendo un balzo in avanti. Lo disse Enrico Juliana, in Catalogna, che i disordini sociali erano diventati un malessere nazionale. Non bisogna dimenticare che la prima seria contestazione del populismo [1] [2] nacque col 15M. La seconda contestazione del populismo sorse con l’esplosione della corruzione, populismo e corruzione sono intimamente legati.

Jordi Pujol


Di fronte [agli scandali per corruzione, NdR] ed a queste contestazioni, il pujolismo reagì con una fuga verso l’indipendendentismo. Ha trasformato i disordini sociali in disordini nazionali. Ha pilotato quella mutazione, l’ha organizzata.

Quando venne Unidos Podemos il problema era già lì, e fu molto difficile, tra la pressione del PP e dei nazionalisti spagnoli e catalani, giocare dialetticamente con due elementi che erano strettamente correlati: la difesa dei diritti nazionali e la questione sociale come elemento fondamentale. Molte volte siamo caduti nella trappola del nazionalismo senza considerare che ciò che era in discussione in Catalogna era da una parte nazionalismo rappresentato da CiU e dall’altra la necessità di costruire un’alternativa a questo nazionalismo. La chiave era la questione sociale, la questione di classe. Non siamo stati in grado di fare una lettura intelligente della questione nazionale come discorso dominante e, come tale, deviante rispetto alla questione sociale.

Podemos che nacque in Catalogna stava dicendo: esiste la questione nazionale, tuttavia, deve essere legata alla questione di classe, ai diritti sociali, ai tagli alle politiche sociali. Se parliamo di una questione nazionale indipendentemente dalla questione sociale, questa è vecchia politica, non siamo interessati. E Podemos nacque in Catalogna con questo discorso, che è stato accusato di spagnolismo, ma è una menzogna. Poiché la questione nazionale non dovrebbe essere utilizzata per schivare la questione sociale. Per schivare il problema dei tagli, della riforma del lavoro, dell’industrializzazione, della legge della dipendenza … non si può usare la questione nazionale  per bloccare il futuro dei giovani, di destrutturare le classi lavoratrici.

E Podemos vinse nelle elezioni generali in Catalogna, e vinse con un forte discorso sociale e annodando la questione nazionale con quelle di classe e sociale. A mio parere, quel discorso è venuto meno, scivolando nel freddo discorso nazionalista, a spese di una proposta alternativa.


D. E perché il declino di Podemos in Catalogna?

R. Per un problema fondamentale: perché abbiamo abbandonato l’argomento del processo costituente. E perché Podemos non è stato in grado di mantenere un discorso più radicale sulla questione sociale? E perché l’egemonia si è spostata sulle questioni nazionalitarie? Perché abbiamo smesso di difendere in profondità il progetto del processo costituente. Ma noi in Catalogna, ma anche in Andalusia, Estremadura, Galizia, ovunque abbiamo un progetto chiaro: Stato federale. Una federazione di Stati e di popoli. Uno stato complesso, ma annodato non solo dal riconoscimento dei diritti nazionali, ma dai diritti sociali, che ponga fine al potere che abbiamo chiamato la trama, il potere economico. Questo è ciò che è scomparso dal nostro Nord e siamo andati, giorno dopo giorno, deriva —come rispondiamo qui e come rispondiamo lì? No, quando si va in Catalogna si deve avere lo stesso discorso che si ha a Madrid o Jaén. Noi non siamo indipendentisti.

D. Ma tu difendi il” diritto di decidere “, un modo politicamente vago di definire il diritto all’autodeterminazione.

R. Noi difendiamo il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione senza dubbio, ma con garanzie democratiche. Ciò che sta accadendo in Catalogna manca di garanzie democratiche, tutti lo sanno.

D. Difendendo quale progetto di Paese?

R. Noi vogliamo uno Stato federale dal punto di vista delle classi lavoratrici, delle maggioranze sociali. Non siamo tutti uguali. Nel nuovo Stato federale, nella Repubblica Federale Spagnola, vogliamo che comandino i lavoratori, i settori popolari, noi abbiano una visione di classe. Questo è il discorso che non siamo stati in grado di fare in Catalogna. Non dimenticare —lo sai, perché lo pubblicherete— che lavoro ad un libro per l’autunno che verrà chiamato “Spagna, un progetto di liberazione” il cui capitolo centrale è chiamato “Una Spagna federale in un’Europa confederale”.

D. Il 15 M mise in questione l’ordine sociale in Catalogna. Infatti, in molti crediamo che il salto verso l’indipendentismo iniziò quando il parlamento venne circondato e Artur Mas dovette sbarcare con l’elicottero. Ma è passato molto tempo, le cose si sono evolute e la mia impressione è che Podemos e la sua area politica non è chiaro cosa siano davvero, visto che per molte persone Podemos in Catalogna è Ada Colau. Podemos in Catalogna  ha abbondato in

Ada Colau

dichiarazioni contraddittorie: ha detto”non siamo separatisti”, ma i suoi dirigenti votarono sì-sì il 9N [ si riferisce al referendum consutlivo catalano per l’indipendenza svoltosi il 9 novembre 2014; NdR] o dicono di voler votare il prossimo 1 ° ottobre (anche se non ci sono garanzie democratiche) per mostrare il loro rifiuto del Partido Popular, la qual cosa è molto strana. Si è chiuso così un occhio sulla divisione verticale della società catalana, sulla rottura delle classi lavoratrici e una volta che questa divisione si è consolidata, come riparare i danni da una prospettiva di classe?

R. A mio modesto parere, il 15M catalano disse due cose: uno, diritti nazionali sì, ma usati per camuffare i problemi sociali. L’autodeterminazione, diritto di decidere, avanti. Ora, questo non può camuffare il conflitto di classe. È sorprendente che l’industria tecnologicamente avanzata stia super-sfruttando in modo intensivo la forza lavoro come mezzo per aumentare la produttività. Nessuno parla di questo. Il 15M disse: parliamo di conflitti sociali e dal conflitto sociale, affrontiamo la questione catalana. E questa era una posizione che il nazionalismo catalano non poteva accettare.

D. Ma questo discorso non esiste più …

R. Abbiamo perso. Il problema dell’indipendentismo, è molto grave, provoca la rottura della comunità catalana. Non so se gli indipendentisti —alcuni sono miei amici, compagni di ER [Esquerra Repubblicana; NdR] con cui sto lavorando in parlamento e di cui ho un grande apprezzamento, come Rufián o Joan Tardá—, si rendono conto di quello che dicono. La prima cosa che mi sorprende è che non si comprende che il giorno in cui si dichiarasse la Repubblica Indipendente di Catalogna, si creerebbe una minoranza spagnola nazionale. Pensano forse che, quando lo Stato spagnolo si sarà scisso, coloro che si considerano spagnoli catalani non faranno nulla? Resteranno sottomessi al nuovo potere, quando possono essere più del 40% della popolazione catalana? O addirittura possono essere la maggioranza … Una cosa è combattere per l’autonomia, o per il diritto di autodeterminazione o per consolidare una personalità catalana …

D. Capisco quello che dici, ma i catalani direbbero “fer volar coloms”, vale a dire alimentare illusioni, perché in realtà l’indipendenza della Catalogna non ci sarà, e tutti i politici lo sanno.

R. “Sì, ma qual è il problema di fondo? Che l’asse spagnolo-catalano sovradetermina l’asse di classe-nazione. Qual è la mia preoccupazione? Che nel giorno in cui una maggioranza catalana rompe con la Spagna si consoliderà una minoranza spagnola, che non è mai esistita e non dovrebbe esistere. Rompere uno stato non è innocuo, e questa minoranza [spagnola; NdR] può avere più del 40% dei voti in Catalogna. E la prima domanda che si pone è: quali diritti le minoranze avranno nel nuovo stato?

La destra spagnolista in Catalogna

La seconda domanda, cosa succede in Spagna? Questo lo si dimentica. Con un nazionalismo spagnolo corrotto e corruttore, antidemocratico, incapace di riconoscere i diritti nazionali e i diritti sociali, che finisce per alzare la bandiera spagnola quando lo stato si spezza. Ci troviamo di fronte a due mondi che si retro-alimentano e che liquidano la sinistra in Catalogna e in Spagna, e questo non posso accettarlo.

E c’è un terzo elemento, l’UE. A me cosa importa di una Catalogna formalmente indipendente in una Unione europea che impone i criteri di Maastricht, la troika, dove vengono imposte politiche neoliberali? E non è un caso che in Catalogna, tranne la CUP [Candidatura d’Unitat Popular, coalizione della sinistra radicale catalana; NdR] tutti sono europeisti pro-Unione europea, e che i miei amici di Esquerra Republicana non sono in grado di alzare la voce contro l’Unione europea, che porta a un disastro assoluto tutti i popoli d’ Europa.


Concludo: il grande problema che ha Unidos Podemos è che sta nel sandwich tra il nazionalismo spagnolo e il nazionalismo periferico, e non è in grado di risolvere un problema che il PSUC [Partit Socialista Unificat de Catalunya]risolse perfettamente nel 1936.

D. Uno degli elementi che sono serviti a creare confusione è stata la manipolazione del linguaggio. Oggi diciamo cose, slogan che sono ingannevoli ma mediaticamente molto fortunati, e altre a cui ciascuno dà un significato diverso. Ad esempio, si parla di “diritti nazionali”. Quali sono questi diritti?

R. Tu sai come me che i diritti nazionali prima esistono, poi si legittimano. Quando una popolazione crede, per ragioni x, che sia una nazionalità oppressa o una nazionalità che non viene presa in considerazione, essa sostiene i suoi diritti.
È un costrutto sociale e, come i nazionalisti sanno perfettamente, i costrutti sociali si maneggiano e vengono manipolati. A mio avviso, la Catalogna è una nazione consapevole di esserlo, però da qui ad essere un paese indipendente dalla Spagna c’è un enorme distanza. per di più questo processo non è neutrale da un punto di vista di classe. Di qui la mia insoddisfazione per ciò che sta succedendo. Chi parla qui della classe? Ora siamo tutti patria, siamo tutti comunità, che bello.
Quello che è in gioco in Spagna, per i popoli storicamente chiamati Spagna, è una lotta per il riconoscimento nazionale determinata dalle questioni sociali. Se questo non lo si vede, allora abbiamo un problema serio.
Faccio un esempio. Il partito di Puigdemont [attuale Presidente della Generalitat de Catalunya; NdR] è altrettanto corrotto del Partido Popular di Rajoy. È un partito-regime, come il PP a Madrid e Valencia o il PSOE in Andalusia. Il PP di Madrid e il PP di Valencia sono organizzazioni a delinquere. Corrotta e delinquenziale è anche  CiU. E anche il PSOE della signora Susana Diaz [governatrice del PSOE in Andalusia; NdR]. La magistratura sta indagando per una corruzione che ha significato arricchire i partiti politici, che hanno fatto doping alle elezioni, per l’arricchimento personale di alcuni, per aver rubato denaro.
Il partito di Puigdemont è una partito corrotto. Come può governare? Possiamo dimenticare il passato? Il partito di Pujol, Mas e Puigdemont è un partito corrotto gestito da élite catalane alcune delle quali potrebbero essere contro l’indipendenza.

D. Torno all’argomento della lingua e dei diritti nazionali. Se credo di averli, di appartenere ad un’altra nazione, convincimi che non ho il diritto di avere un mio stato.

R. Per una ragione molto semplice, perché le nazioni non devono per forza avere uno stato dietro di loro.

D. Ma perché non possono farlo?

R. Possono farlo se lo decidono.

Manolo Monereo


D. E come possono deciderlo?

R. Si chiama diritto di autodeterminazione.

D. Ma se quel diritto non è riconosciuto …

R- Devi capire come esercitarlo. C’è da mettersi d’accordo, concordare sulla base del diritto all’autodeterminazione.

D. Che nel nostro caso richiede una riforma costituzionale …

R. Non solo, c’è per me qualcosa di più importante: un patto in Catalogna tra indipendentisti e non indipendentisti. Ad esempio, la neutralità dei media, la percentuale necessaria [affinché il referendum del 1 ottobre sia da considerare valido. Il governo catalano ha approvato una legge ad hoc per cui affinché il referendum sia valido non è necessario il 50% più 1; NdR ]

D. Ciò riguarda le garanzie, ma prima c’è la questione della legittimità.

R. È evidente che in questo momento, con la legalità spagnola, non è possibile esercitare tale diritto. Ma tutto questo è un grande sofisma, perché sono convinto che se questo diritto fosse esercitato, l’indipendenza non sarebbe vincitrice nel referendum. La domanda è: perché la sovranità spagnola dovrebbe essere contraria alla sovranità catalana? Consideriamo la Catalogna come componente essenziale della Spagna. Io sono un spagnolo plurinazionale. Sono stato formato sapendo che in Spagna ci sono diverse nazionalità e nazioni. Che devono avere i propri diritti nazionali. Per me questo non è un problema. Ora, perché usare il diritto di autodeterminazione senza che il resto della Spagna parli?

D. Questo lo vedo ancora più esoterico …

R. Perché? Quando sei di Jaén, ad esempio, e ti viene detto che la Catalogna vuole autodeterminarsi, cosa significa per un andaluso di Jaén autodeterminarsi in quanto andaluso? La domanda che dovremmo chiederci per autodeterminarci dovrebbe essere: spagnoli, volete uno stato federale dove le nazioni e le nazionalità dello stato spagnolo possano coesistere, sì o no?

D. Questa è una proposta politica che ha senso, ma non è ciò che l’indipendentismo vuole …

R. Ma continuo con la mia idea: spagnolo, catalano, basco, vuoi che la Spagna avvii un processo costituente per diventare veramente uno stato federale? Questa è la domanda. Da lì, dobbiamo discutere di cosa significhi lo stato federale. Ad esempio, la tassazione. Ci sarà aiuto tra ricchi e poveri? La questione della classe non è solo episodica. Le migliaia di lavoratori di origine andalusa, di Extremadura, non  credono forse che per salvare la loro terra del Sud, è necessario un trasferimento di reddito dai paesi ricchi a quelli poveri?


D. La parola redistribuzione è da tempo evaporata nei discorsi della sinistra.

R. Beh, non voglio sopprimerla. Non avrei paura del nazionalismo e del diritto all’autodeterminazione se le forze democratiche spagnole possedessero un chiaro progetto di Paese.

D. Quindi, tu vorresti che il referendum fosse invertito, non per separarsi ma per costruire.

R. Referendum in positivo. E non solo in positivo, ma con qualcosa di molto più importante: con un contenuto di classe. Non sono disposto a parlare della Spagna del futuro come se fossimo tutti uguali.

D. Torniamo alla realpolitik. Presumibilmente questo settembre ci saranno grandi mobilitazioni in Catalogna e avremo la fase finale del famoso scontro tra treni. Quale dovrebbe essere la posizione di Unidos Podemos in questo scontro?

R.  Dovremmo fare due cose, la prima è riconoscere il diritto di decidere, poi chiedere anche garanzie democratiche intorno a tale diritto. Ciò che non è ammissibile è l’unanimità che il governo della Generalitat richiede ai popoli della Catalogna. La prima questione che deve essere risolta in Catalogna è constatare che c’è una pluralità al suo interno e che un referendum indetto in qualsiasi forma non è possibile. In secondo luogo chiedere che sia spiegato molto bene perché si vuole l’indipendenza. Cosa significherà per le pensioni degli anziani, per il contratto di lavoro dei giovani, per le donne, per la cultura e l’istruzione, vale a dire come si porrà la nuova Catalogna nella divisione del lavoro a livello europeo. Non dobbiamo lasciare da parte i sentimenti, ma dobbiamo razionalizzarli.

D. Beh, come ho detto, penso che tutti coloro che stanno coi piedi per terra sanno che non ci sarà indipendenza, e questo dice già qualcosa. Per esempio, supponendo che la Catalogna ottenga la sua indipendenza —ciò che è altamente improbabile— e riesca a rimanere nell’Unione europea, dato il suo alto livello di indebitamento, sarebbe immediatamente rilevata dalla troika, e sappiamo che cosa vuoi dire: politiche di austerità e l’intervento della BCE. Ma nessuno parla di cose come queste, perché nessuno crede veramente che l’orizzonte sia reale. Ma parlando della UE, pubblicherai quel libro in cui si chiede una Spagna federale nel quadro di una confederazione europea. Come muoversi in questa direzione?


R. Questa UE, che è stata definita da Jacques Delors come un’OPNI, un oggetto politico non identificato, non è né uno Stato federale, né uno Stato nazionale, né una federazione di Stati. È una cosa complessa che considera le politiche neoliberali come elemento fondativo e serve per applicarle. L’Europa di oggi non ha un contenuto istituzionale chiaro. Non sappiamo cosa siamo. In realtà siamo una confederazione perché siamo governati dai trattati, ma la Corte di giustizia della Ue ha detto che questi trattati sono una vera costituzione. Siamo entrati in un problema complesso e difficile, che considero irrisolvibile. Dire che possono essere costruiti gli Stati Uniti d’Europa è una menzogna. In che senso? Non esisterà mai una sovranità sopra alla sovranità degli Stati. L’utopia federalista non si realizzerà. Lo sappiamo, ma continuiamo a giocare con quella ipotesi come se fosse possibile.
Cosa succede veramente? Che l’Europa davvero esistente si oppone alla sovranità popolare. L’Europa è lo strumento principale per liquidare i diritti sociali e sindacali, per liquidare la democrazia stessa come lo abbiamo capito in ciascuno dei nostri paesi. Prima o poi l’UE salterà in aria e finirà per disintegrarsi, oppure avremo un’alternativa riformista, l’Europa confederale.

D. Che cos’è un’Europa confederale?

R.  Molto semplicemente: che non condividiamo la sovranità. La sovranità deve sempre detenerla lo stato. E i miei accordi con altri Stati sono quello di difendere la mia sovranità, per essere più sovrani, non meno. Io mi associo con la Germania per avere una politica industriale, per difendere i miei diritti sociali, per recuperare le regioni arretrate affinché diventino più forti come stato, non più deboli. La mia democrazia deve essere più forte, non meno. Io mi associo, ma per essere più forte, per non essere più debole e per esportarmi tutto quello che produci.
Una seconda questione: ciò richiede un nuovo ordine europeo, dove finisca l’egemonia tedesca. E un terzo: la moneta. Sappiamo tutti che l’euro è uno strumento per il dominio della Germania. Ciò di cui abbiamo bisogno è una moneta comune, non una moneta unica. Ma per noi la cosa fondamentale non è uscire o no dall’euro, che il problema non è solo l’euro; il problema è che questa Europa ipoteca la nostra sovranità e rende impossibile la democrazia nei nostri paesi.

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(2) Qui la prima parte dell’intervista di Manolo Monereo.

PODEMOS: ALLEANZA CON I SOCIALISTI DEL PSOE?

D. Curiosamente la maggior parte degli spagnoli che si considerano di sinistra, sembrano insensibili al problema della corruzione, almeno elettoralmente.

R- Perché esiste un terzo della popolazione che è impregnato dai principi del nazional-cattolicesimo e ha una visione patrimoniale del Paese. Questo Paese è suo. È il Paese che ha ereditato dai propri anziani e gli appartiene. È una Spagna franchista, legata alla Chiesa cattolica, capace di perpetuare un modello patrimoniale di potere.

D. Dobbiamo rassegnarci? Sarà sempre così?

R. Il problema è che una Spagna alternativa non è mai stata costruita a questa Spagna franchista. Ci si provò con la Repubblica e fummo schiacciati. Ora, dopo il 15M e Podemos, c’è un nuovo tentativo per un cambiamento vero del paese, con le classi dominanti che hanno comandato in questo paese per due secoli, che stanno perdendo terreno. Queste classi sono rappresentate dal Partido Popular, ciò che possiamo chiamare nazional-costituzionalismo.

D. E quali sono i pilastri politici di questa restaurazione?

R. In primo luogo, ovviamente, la monarchia. L’asse che collega il regime Franco con l’attuale sistema costituzionale è la monarchia. Nel nostro paese il monarca ha un grande potere. Tra le altre cose, è il capo delle Forze armate e le Forze armate hanno la missione di garantire l’unità di Spagna e la difesa della Costituzione. Il secondo pilastro è l’Unione europea. L’UE è un meccanismo creato dalle classi dirigenti europee per impedire il cambiamento sociale di sinistra. Ed è un gigantesco meccanismo di potere, concepito per difendere un modello neoliberista e impedire che un governo possa seguire altre strade. Il terzo elemento è quello che noi abbiamo chiamato la trama. In Spagna ci sono un insieme di poteri, economici, politici, mediatici, che hanno la facoltà di selezionare politiche e politici che sono funzionali a quei poteri, e pongono il veto alle politiche ed ai politici che cercano di andare oltre il modello neoliberista. Ciò che stiamo sperimentando ora in Spagna è un enorme potere di veto di questa trama che vuole fare due cose contemporaneamente: impedire politiche contrarie al modello neoliberale e impedire che Podemos possa arrivare al governo. Senza dimenticare le profonde trasformazioni che stanno avvenendo nel capitalismo spagnolo. Negli ultimi anni c’è stata una grande concentrazione di ricchezza e di potere, il cui ultimo esempio è la caduta del Banco Popular. Abbiamo visto come è caduta la quinta banca del paese, l’hanno acquistata per un euro e nulla è successo.

D. Quindi?

R. Quindi siamo nelle mani di un’oligarchia finanziaria e immobiliare che dirige il nostro destino. Una trama che deve essere sconfitta se vogliamo avere un governo veramente democratico.

(…)

D. E’ possibile una convergenza tra il PSOE e Unidos Podemos?

R. Pedro Sanchez ha oggi due alternative. La prima è prendere atto che non può governare se non con Unidos Podemos. Nelle prossime elezioni la somma PSOE-Unidos Podemos potrebbe avere la maggioranza assoluta nelle due camere. Se crediamo i sondaggi, sarebbe solo necessario raggiungere un accordo elettorale per il Senato. Potremmo anche pensare ad ottenere una maggioranza sufficiente per promuovere modifiche della costituzione

D. Senza i nazionalisti?

R. Senza i nazionalisti. Questa prospettiva va tenuta in mente. In un certo senso, potrebbero essere, le prossime, elezioni costituenti. Questo sarebbe un primo scenario.

D. Qual è la seconda alternativa?

R. Che Sanchez posizioni il PSOE a sinistra per indebolire Unidos Podemos e poi spostarsi al centro. E poi governare con Ciudadanos, o cercare qualche altro accordo. In realtà, queste due alternative possono essere combinate.

D. Quindi?

R.  Il mio parere è che oggi il PSOE e Pedro Sánchez vogliono demolire il peso politico, elettorale e sociale di Unidos Podemos, ma cercando di andare al governo con il sostegno, probabilmente esterno, di un Unidos Podemos con 30 o 35 deputati.

D. E’ un progetto che ha una lunga tradizione, lo sperimentammo anni addietro con l’approccio del PSOE verso Izquierda Unida.

R. Ancora prima, del PSOE con il  Partito Comunista. Lo fece Felipe González nella Transizione, andare a sinistra, occupare lo spazio del PC, liquidarlo e raggiungere la maggioranza assoluta degli 82 anni. A mio parere, il PSOE è in un’operazione a obbligare Unidos Podemos, e poi obbligarlo a sostenere dall’esterno le misure del governo.

D. Assistiamo quindi alla lotta per l’egemonia a sinistra …

R. Questo è quello che penso, una lotta che Unidos Podemos deve condurre, perché il suo futuro si gioca in questa battaglia. Penso che dobbiamo necessariamente, verso il PSOE, confrontarci in modo dialettico e unitario e che la dialettica unitaria richiede più di una semplice riorientazione tattica. Richiede una seria difesa del nostro progetto autonomo. A più unità, più progetto autonomo, non meno. Molti credono che siccome siamo a favore dell’unità, il conflitto sia finito. Niente affatto. Il conflitto politico e ideologico tra il partito socialista e noi sarà, non dirò eterno, ma duraturo, perché siamo sostanzialmente diversi. Tutto questo nel caso che Pedro Sánchez effettivamente conduca davvero a sinistra il suo partito,  e non si limiti ad occupare lo spazio a sinistra per poi portarlo al centro.

D. Ma Unidos Podemos è abbastanza forte da resistere a questo conflitto?

R. Da questo punto di vista, la prima cosa che dobbiamo fare è rafforzare la nostra unità. Unidos Podemos è un progetto unitario, che ha prodotto la più grande unità delle sinistre spagnole dopo la guerra civile. Ma se procediamo verso l’unità con il PSOE, è necessario rafforzare l’unità interna con altre forze, Izquierda Unida, Las mareas, Compromis, e tutti gli altri.

In secondo luogo, dobbiamo consolidare il nostro profilo politico. Ad esempio, da tempo, vado proponendo una costituente per la Costituente. Penso che Unidos Podemos, quindi molto meglio di quanto rappresenta oggi Unidos Podemos, dovrebbe proporre un’ Assemblea, degli Stati generali per l’alternativa, per indicare sei o otto punti importanti che mostrino la nostra visione di una riforma della Costituzione. Per avviare le necessarie riforme richieste dal paese e che la Catalogna reclama, per dare un esempio di ciò che è urgente oggi.

E per rinforzarci in questo processo unitario, Podemos deve strutturarsi politicamente e organizzativamente. Convocare un’ assemblea dei circoli per discutere dell’importanza di avere una cultura organizzativa e di quale strumento organizzativo useremo al di là di quelli consueti che sono stati utilizzati dalle diverse tradizioni dei partiti di sinistra.

Dovremmo fare una proposta seria alle altre forze politiche proprio per rafforzarci, creando comitati quartiere per quartiere, di città in città, luogo di lavoro per luogo di lavoro, comitati unitari. Dobbiamo dar vita ad una nuova formazione politica al di là della semplice coalizione, che non necessariamente comporti la dissoluzione dei partiti, che ci permetta di andare oltre, creando un tessuto sociale in basso, nella società, con comitati di unità popolare.

E dobbiamo andare avanti in quello che potremmo chiamare un vero e proprio governo ombra … C’è uno spazio che dobbiamo rafforzare in questa prospettiva, quella della proposta e della sua realizzazione. Unidos Podemos deve fare le cose in modo che nei prossimi mesi sia in grado di fornirci una struttura di governo ombra con ministeri e gruppi di lavoro sui grandi problemi del Paese.

E ora, stando ai suggerimenti, dovremmo nei prossimi mesi promuovere una serie di leggi per la Spagna. Ne abbiamo già presentata una, che ci serve molto bene come esempio. Abbiamo presentato una legge articolata sulle pensioni, che non solo esprime il fatto che non siamo d’accordo con la legge sulle pensioni del PSOE e del PP, ma abbiamo una proposta positiva, articolo per articolo, che è stata discussa in un gruppo di lavoro molto ampio, con professori e specialisti di alto livello.

Queste sono le proposte che rafforzano il nostro polo autonomo, che per me deve essere consustanziale alla dialettica unitaria con il Partito socialista, perché nel momento della verità, convergenze e divergenze, le verificheremo sulla proposte concrete.

D. Hai citato una questione che sembra rilevante data l’idiosincrasia spagnola: la necessità di definire un modello organizzativo. Visto dall’esterno, dà l’impressione che l’attuale modello organizzativo di Podemos impedisce, come già visto in alcune circostanze, che le decisioni adottate siano davvero applicate da tutta l’organizzazione.

R.  Si deve costruire un tipo di formazione politica che, come si direbbe in Italia, adempia le promesse che fa. Un’organizzazione che rappresenti in sé il tipo di società che vogliamo per il futuro. Che soddisfi la promessa di democrazia partecipativa, che muova dal basso verso l’alto, che difenda una pluralità che non sia un caos permanente, che tuteli maggioranze e minoranze senza precipitare in un faziosità sterile, un’organizzazione che voglia essere quello che vogliamo diventi il Paese, che sia esemplare.

Sono completamente convinto di una cosa, nessuno verrà in questa organizzazione se al suo interno disporrà di meno diritti di quelli di cui gode nella società. Nessuno aderirà se non è messo in grado di difendere quello che già difende nella società. Nessuno acconsentirà, ad esempio, che non esista un vero censimento, nello stile dei vecchi partiti.

Detto questo, un’organizzazione deve basarsi su una chiara dialettica tra maggioranze e minoranze, come avviene in qualsiasi organizzazione democratica. E ciò non impedisce l’unità di azione, che deve essere sempre garantita e sopra a tutto. Che le minoranze non si trasformino in frazioni, ciò che sarebbe la morte di ogni organizzazione che sia radicata nel territorio, vicina ai problemi della gente, e basata sul lavoro volontario e non sul funzionariato.

E poi due cose che ritengo molto importanti, la prima che gli organi direttivi statali [nazionali, a livello di tutta la Spagna, NdR] diano l’esempio, garantendo una direzione collettiva, un dibattito di idee aperto e pluralista. La seconda è che essi siano capaci di procedere alla divisione interna del lavoro con responsabilità individuali precise e concrete. E che periodicamente siano accertate.

In breve, quello che abbiamo criticato delle vecchie formazioni, si trasformi in una leva per costruire la nostra, dando l’esempio che siamo venuti per cambiare le cose e non permetteremo che le cose ci cambino.

D. Nel caso che Unidos Podemos e PSOE riescano ad appianare le cose, organizzarsi e arrivare al governo dovranno scontrarsi con la UE, e probabilmente non avrete altra scelta che adeguarvi alle politiche neoliberiste … Come venirne fuori?

R. Un vecchio militante disse che quando la sinistra arriva al potere ha due alternative: tradire o perire. Per evitare entrambi, è necessario avere alle spalle un potere popolare organizzato.
L’unica vera possibilità di costruire politiche democratiche e di sinistra in Spagna è rompere con la logica dominante nell’Unione europea. Se l’UE impone un massimale di spesa pubblica, una politica economica volta a ridurre il disavanzo, è chiaro che non è possibile progettare una politica alternativa. Ecco perché mi sembra disonesto non entrare nel dibattito europeo quando si discute della politica economica. È possibile rompere con quella dinamica? Credo che sarà possibile solo se una gran parte del popolo spagnolo accetta di rompere. Poche settimane fa, il Parlamento ha approvato il massimale di spesa, ma questo massimale di spesa era già stato concordato con l’UE. Qui si vede che il vero sovrano è la troika, non il parlamento spagnolo.

D. In questo contesto emerge Podemos, tuttavia il il PSOE sta recuperando…

R. Ma qualcuno può credere che il partito socialista di Prieto, Besteiro e Largo Caballero [ dirigenti socialisti prima del franchismo; NdR] sia il PSOE di oggi? A mio avviso, il PSOE è un nuovo artefatto ideologico, che emerge dopo il regime di Franco per fare ciò che la destra non è stata in grado di fare. Quello che oggi viviamo è una lotta, spesso cruenta, tra la restaurazione in corso e la rottura democratica che la società chiede. Ogni volta che c’è una crisi, c’è una restaurazione gattopardesca, qualcosa cambia affinché tutto rimanga lo stesso.

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* Fonte: EL VIEJO TOPO
** Traduzione dallo spagnolo a cura di SOLLEVAZIONE

NOTE

[1] Sul dirigente politico catalano condannato per una gigantesca truffa fiscale vedi Jordi Pujol

[2] Pujolismo è il progetto politico di settori della borghesia, della piccola borghesia e della classe media di alto reddito, nonché componenti importanti della Chiesa in Catalogna, che cerca di mobilitare i settori più ampi della società catalana, comprese le sue classi popolari, con i obiettivo di raggiungere una coesione multi-classe intorno al concetto di nazione catalana, che definiscono come inclusivi.

4 pensieri su “PODEMOS E L’INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA di Manolo Monereo”

  1. Anonimo dice:

    Capisco che la situazione è complicata, ma su questo secondo me ha ragione Azzarà.Non lo conosco personalmente, non mi piace la sua posizione sull'immigrazione ma su questo punto concordo con lui. Con la precisazione che questa è la reazione di un governo di grigi funzionari filo-UE che stanno affondando e potrà solo peggiorare la situazione. Vi riporto quello che scrive perché non riesco a linkare il singolo post sulla bacheca (se lo faccio sparisce il testo), se volete potete pure cestinare il commento:Catalogna: una repressione tardiva ma necessaria.Sinistra impazzita tra grottesche nostalgie del '36 e populismo irriflessivo.Dalla giusta e necessaria repressione della folle secessione della Catalogna – alla quale seguirebbe non il socialismo dei popoli contro l'UE ma un impazzimento particolaristico che minerebbe quanto rimane dello Stato nazionale e della democrazia moderna – passa un pezzo importante del nostro futuro.Basterebbe del resto guardare la posizione del Manifesto – o quella dei Negrieri o dei sessantottini in servizio permanente effettivo – per formarsi un giudizio politico, e in questo senso quanto accade potrebbe essere anche occasione di rieducazione e di selezione in un'area politica in confusione totale. C'è poco da sperare però, purtroppo: basti guardare allo sconcertante posizionamento di Contropiano e della Rete dei comunisti, che pure raccoglie compagni bravi, oppure di Cremaschi come di tanti altri, che pure dovrebbero avere esperienza e fiuto.È la conferma della natura generalizzata della confusione e della deculturazione politica, che non fanno distinzione di sigle.Sia esecrato in perpetuo Ken Loach, perciò, anche se non soltanto lui: mantenendo in vita il Trotzkismo Ideale Eterno – il purismo, l'idealismo, il dogmatismo ottuso -, con le sue mitologie di propaganda ha messo fuori gioco almeno tre generazioni a sinistra.

  2. Luca Tonelli dice:

    quel che bisogna capire sulla questione catalana è che in un momento come questo è IMPOSSIBILE che chi promuove le istanze indipendentiste non abbia forti legami con chi detiene il potere vero in UE.quando non fosse addirittura un ascaro agente per conto dell'asse franco tedesco.siamo in un momento di pausa con rincorsa sullo scenario continentale…dopodichè l'asse franco tedesco imporrà, o tenterà di farlo, la propria politica al resto del continente.dunque in catalogna questa situazione ha sicuramente intrecci sotterranei a noi al momento sconosciuti.ma è CERTO AL 100% che questo non è un movimento popolare…ma elitario.

  3. Ippolito Grimaldi dice:

    Bisogna stare attenti a non confondere le spinte indipendentiste e secessioniste con l' anelito alla riconquista della sovranità degli stati nazionali; il discrimine come al solito è la moneta unica; tutti i movimenti indipendentisti non mettono in discussione l' Europa e la sua moneta, bensì mettono in discussione gli stati nazionali; addirittura la Scozia aspira ad una sua indipendenza per rientrare nel circuito dell' Euro. La Catalogna ha chiarito subito che non è in discussione l' appartenenza alla UE; in Italia i "padani" sognavano di staccarsi dal centrosud per entrare da soli nel paradiso dell' ordoliberismo tedesco. Dimentichiamo che il sogno europeo nasce come "Europa delle regioni", Addirittura esiste un progetto europeo di riorganizzazione della Unione in macroregioni, un progetto che farebbe strame degli stati nazionali così come li abbiamo conosciuti.

  4. Anonimo dice:

    Capisco il ragionamento di fondo, sui timori di una egemonia eurista e lobbysta sul movimento catalano. Però non possiamo trasformare i timori in armi di distrazione. Ci sono alcune evidenze che non possono essere taciute.Ci sono tre grosse deficienze del governo spagnolo:1) la Spagna non ha avuto una vera transizione rivoluzionaria, e nemmeno una esperienza come la Resistenza; dal franchismo si è passati alla monarchia e poi, per gentile concessione del re, alla monarchia "democratica";2) il regime del '78 non è stato capace a risolvere nessuna delle questioni fondamentali del paese: nonostante la fine della dittatura, non è riuscito a convincere parte dei movimenti armati a deporre le armi;3) nonostante l'esperienza basca, il governo spagnolo non ha avuto la lucidità di capire che c'era il movimento indipendentista catalano era pacifico e legalitario, nonostante l'esperienza basca il regime del '78 è incapace di cadere sempre e di nuovo sui suoi errori, reprime un movimento pacifico e giocando col fuoco in un paese che ha vissuto un movimento indipendentista armato molto forte.Ma ci sono anche tre grosse deficienze della sinistra, e nemmeno la sinistra si dimostra capace di imparare dai propri errori: 1) durante la guerra civile, si impose la politica frontista, cioè quella di anteporre il fronte al nemico principale, alla rivoluzione; si diceva "prima vincere la guerra, poi fare la rivoluzione". fu un disastro, la borghesia per paura della rivoluzione, cominciò a sabotare anche la guerra, vennero disarmati gli anarchici, vennero riprivatizzate le fabbriche collettivizzate dagli operai, ma non servì a niente e si perse comunque la guerra;Oggi di nuovo, la sinistra spagnola e catalana non sa proporre di meglio che il solito ammuffito progetto frontista:2) la sinistra spagnola, pensa ad una allleanza fra Podemos e il psoe, una alleanza in nome della quale Podemos rinuncia a tutto e accetta perfino il regime monarchico;3) la sinistra catalana, CUP, idem, si impantana in un Fronte Popolare con gli indipendentisti liberisti e euristi, "prima l'indipendenza poi la rivoluzione" e intanto vota le leggi di austerità del governo della generalidat.Infine nemmeno sollevazione impara dagli errori del passato e ci propone un nuovo fronte popolare, un nuovo cln, non fosse stato abbastanza infame il primo

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