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RIFORMARE L’EUROZONA? IMPOSSIBILE! di Enrico Grazzini

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[ 29 gennaio 2018]

L’Italia tra promesse elettorali e rischio fallimento, perché l’intesa “europeista” tra Berlino e Parigi non ci salverà

Le strabilianti promesse miliardarie di meno tasse e più welfare fatte dai partiti italiani in vista delle elezioni sono poco più di aria fritta perché toccherà a Bruxelles, a Berlino e a Francoforte decidere sui nostri conti. Sono infatti le istituzioni europee e la grande finanza a decidere del destino dei cittadini italiani, mentre le elezioni nazionali e la nostra democrazia parlamentare ormai contano poco. Il problema è che l’Italia è il ventre molle dell’eurozona, in particolare per il suo elevato debito pubblico, e nessuno ci farà degli sconti: l’Unione Europea, e il governo tedesco che comanda la UE germanizzata, ci imporranno sicuramente ancora austerità e sacrifici. La nuova grande speranza dei nostri politici, propagandata dalla fanfara dei media dominanti, è che il nuovo governo tedesco popolar socialista di Merkel-Schulz in via di costituzione accetti la proposta di alleanza “europeista” fatta da Emmanuel Macron e che l’intesa annunciata tra Berlino e Parigi per il rilancio dell’integrazione europea aiuti il nostro paese a ottenere più flessibilità sui conti pubblici, e quindi a uscire dalla crisi. Ma questa è una falsa speranza e una pia illusione. Ai due paesi europei, nostri vicini e concorrenti, può infatti convenire che l’Italia resti nel tunnel della crisi.

Merkel e Macron porteranno avanti innanzitutto i loro interessi nazionali, pur ammantandoli di nobile retorica europeista. Il Fondo Monetario Europeo che vorrebbero realizzare farà da cane da guardia per salvaguardare prima di ogni altra cosa gli interessi delle banche creditrici e dei paesi più forti nei confronti degli stati indebitati come l’Italia. Il FME imporrà lo stretto controllo centralizzato dei bilanci pubblici: lo scopo primario non sarà certamente il benessere economico dei paesi europei; l’obiettivo principale è invece che gli stati “lazzaroni” del sud Europa restituiscano i debiti contratti con i grandi operatori finanziari anche a costo di soffocare le loro economie e di impoverire le loro società. La micidiale pressione dell’eurozona contro lavoratori e ceto medio non cesserà per merito della “benevolenza” della diarchia franco-tedesca.

La vera novità è che in Europa si delinea una nuova gerarchia con al centro l’egemonia militare-nucleare di Parigi e quella economica di Berlino: il nostro paese rischia di diventare ancora più dipendente dalle politiche dei due stati egemoni – vedi per esempio l’adesione italiana alla inutile e pericolosa missione militare in Niger sotto comando francese -. La considerazione di Luigi Di Maio, candidato premier dei 5 Stelle, sul fatto che Francia e Germania sarebbero più deboli in Europa e che quindi l’Italia potrebbe operare con maggiore efficacia per cambiare le politiche europee, appare del tutto irrealistica.

Il vero problema però è che il rischio di fallimento sovrano dell’Italia diventa sempre più concreto a causa della fine del programma di espansione monetaria da parte della Banca Centrale Europea. Con la fine del Quantitative Easing sarà assai più difficile collocare il nostro debito pubblico e gli interessi da pagare sui titoli di stato prevedibilmente aumenteranno. Il peso del debito pubblico potrebbe diventare insostenibile e la crisi precipitare, come accadde nell’estate del 2011. Davanti a noi abbiamo un precipizio assai difficile da superare. Non a caso Francia e Germania, proprio per affrontare una grave crisi come quella italiana, stanno prospettando la realizzazione del Fondo Monetario Europeo. Potrebbe essere proprio il FME a “salvare” e commissariare l’Italia.

L’Italia è l’unico grande paese europeo che non ha ancora recuperato il livello del PIL di prima della crisi. Ma non uscirà dal tunnel se la politica italiana non deciderà finalmente e coraggiosamente di contrastare con fermezza le politiche restrittive europee come il Fiscal Compact, e di muoversi autonomamente nei confronti della nuova diarchia europea. In questo contesto la moneta fiscale complementare all’euro può svolgere un ruolo essenziale per fare uscire i nostro paese dalla crisi senza correre il rischio di rovinose rotture con la UE e con l’eurozona.



I partiti fanno finta di illudersi che si possano risolvere i problemi dello sviluppo economico, dell’occupazione e del benessere nazionale grazie alla riforma dell’eurozona. Ma le riforme sono manifestamente una missione impossibile. Ce lo ha spiegato chiaramente il compianto Luciano Gallino – il più profondo e acuto “intellettuale organico” della sinistra la cui lezione sull’Europa, sul finanzcapitalismo e sull’euro è però volutamente ignorata dalla sinistra stessa-.

In una delle sue ultime interviste Gallino ha spiegato: “l’euro non funziona e non funzionerà mai. Non si tratta di continuare le invettive contro la finanza, ma di mettersi a studiare cosa fare per migliorare l’euro, per affiancarlo a monete parallele o dissolverlo in maniera consensuale. Così com’è l’euro è una camicia di forza che rende la vita impossibile a tutti, tranne che alla Germania”.

Tutti vogliono rimodellare l’Europa. Ma la critica di Gallino verso l’Europa disunita dalla moneta unica è radicale: “I trattati oggi non sono modificabili se non all’unanimità. È il segno dell’impossibilità pratica di intervenire”. L’Europa è irriformabile perché le riforme strutturali richiederebbero una unanimità che non si può ottenere. Inoltre perché è dominata dalla politica nazionalista della potenza egemone: “Poi c’è il problema della Germania, l’unico paese ad avere avuto vantaggi dall’euro in termini di export e produttività. Convincerla a diminuire l’export, è difficile se non impossibile”.

Non c’è partito politico che possa illudersi: la Germania non rinuncerà mai alle sue politiche mercantilistiche di enorme surplus commerciale con l’estero (circa l’8-9% del PIL) che danneggiano l’Europa. La politica europea della nuova (?) Grande Coalizione (ammesso naturalmente che il programma comune elaborato da Merkel e Schulz venga accettato dal congresso della SPD) non virerà di 180 gradi. La Germania non ha alcuna convenienza a cambiare le politiche dell’eurozona perché la sua economia sta marciando a pieno regime.

Il principio di base della politica della Germania verso l’Europa resterà immutato: NO al Transfer Union, NO all’Europa dei trasferimenti di risorse. La Germania non verserà un solo soldo per investire sul futuro dell’integrazione europea. Anche perché l’opposizione di destra, quella dei liberali e di Alternativa per la Germania, cioè dei partiti ultranazionalisti usciti vincenti dalle elezioni, costringeranno il governo popolar-socialista a non essere per nulla lungimirante e generoso verso l’Europa.

Il nuovo governo tedesco continuerà a perseguire una politica europea di austerità. Del resto nelle partite importanti, come quella energetica del gas russo, come quella del rapporto con la Russia, con i paesi dell’est, con l’Ucraina, con la Turchia, la Germania gioca da sempre da sola, al massimo cercando l’appoggio francese. L’intesa economica e politica tra i due non sarà facile, ma l’asse franco-tedesco si costruirà innanzitutto sulle politiche estere e dell’immigrazione gestite manu militari in Africa e Medio Oriente (vedi il caso siriano e del Libano).

L’Italia come sempre si accoda: sotto il comando francese parteciperà in Niger – dove la Francia controlla le miniere di uranio – alla inutile e pericolosa missione militare neo-colonialista contro migliaia di poveri disgraziati che cercano di fuggire in Europa. E’ come se gli americani all’inizio del ‘900 avessero invaso l’Italia e altri paesi europei per impedire l’emigrazione in America di milioni di poveracci in cerca di lavoro. Il possibile risultato dell’operazione militare potrebbe essere, purtroppo e per reazione, la diffusione dell’integralismo islamico e del terrorismo.

L’Italia si accoda, ma Francia e Germania si stanno già preoccupando di spartirsi i posti più importanti della UE. La Germania reclama la presidenza della BCE alla scadenza di Draghi, nel 2019, e punta sul falco Jens Weidmann che da sempre si oppone duramente e apertamente alle politiche monetarie espansive di Draghi. La Francia da parte sua lavora per avere un suo uomo come prossimo superministro europeo del Tesoro a capo del costituendo FME. In questo contesto, l’Italia rischia di trovarsi tra l’incudine e il martello. Ricordiamoci che la Francia ha sempre cercato di soffiarci il petrolio libico ed è la responsabile principale delle tragedie in Libia e in Siria.

L’esempio dell’europeismo francese è dato dall’azione di Vincent Bollorè, grande finanziere che ha dato l’assalto a Mediaset, controlla Telecom Italia – la rete nazionale di telecomunicazioni – ed è tra i principali azionisti di Mediobanca. Secondo molti analisti la finanza francese punta a controllare Unicredito e le Assicurazioni Generali (di cui Mediobanca è principale azionista).

E’ possibile che, con il rilancio della politica europea, l’austerità venga per un po’ alleggerita, ma in cambio l’asse Berlino-Parigi (la Commissione UE in realtà conta poco o nulla) chiederà ancora più di prima di effettuare le cosiddette “riforme strutturali” – ovvero: precarizzazione del mercato del lavoro, attacco alla spesa pubblica e al welfare, privatizzazione dei servizi pubblici, apertura al capitale straniero nei settori strategici nazionali -. La prospettiva del Fiscal Compact diventerà micidiale per l’Italia.


* Fonte: Micromega

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