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COS’É IL PUTINISMO di Stefano Zecchinelli

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[ 21 marzo 2018 ]


“Rosicano, in Occidente rosicano”.
Così, in romanesco, si descriverebbe il sentimento prevalente nelle capitali occidentali dopo la schiacciante vittoria elettorale di Putin. Che rosichino dunque. Ciò che non può giustificare l’apologia del putinismo che volteggia a varie latitudini. Comprensibile a destra, lo è molto meno a sinistra. Intervistato dal CORRIERE DELLA SERA del 19 marzo alla domanda “Anche Putin è cresciuto nel mondo sovietico…”, il nipote di Antonio Gramsci, che in Russia ci vive, così risponde: 

«Il suo passato comunista ha lasciato tracce. L’archetipo è quello. Di sovietico, però, non ha più quasi nulla. Lui dice di rimpiangere l’URSS, ma l’ha tradita completamente. Niente servizi sociali, tutto privatizzato».

Un neoliberismo alla russa insomma. La qual cosa va tenuta a mente, anche per leggere la geopolitica russa. Zecchinelli afferma che non è imperialista. Ne siamo davvero sicuri? Forse è utile ricordare come Lenin lesse il ruolo della Russia zarista nella Grande Guerra. Un paese semifeudale, a capitalismo arretrato che tuttavia era una grande potenza militare la quale entrò nel conflitto “per spartirsi il bottino e dividere il mondo in zone d’influenza”. Lo stesso Zecchinelli ammette che il disegno di Putin è quello di riacquisire il dominio sulle aree di tradizionale influenza russa. Non è forse anche questa una forma di imperialismo?

*  *  * 

IL TRIONFO DI PUTIN E LE SUE CONTRADDIZIONI


La vittoria schiacciante – ben oltre il 73% delle preferenze – ottenuta da Vladimir Putin alle elezioni presidenziali appena concluse, dimostra senza possibilità d’appello che la strategia politica russofoba statunitense non intacca minimamente la saldatura avvenuta fra l’elite al potere — patriottica e cristiano ortodossa — con il popolo russo, realizzatasi dopo la sventurata era Eltsin. Putin è riuscito a restituire alla Russia non soltanto l’indipendenza nazionale, ma anche un linea geopolitica da grande potenza capitalista. La Federazione Russa è un paese capitalistico ma non (o non ancora) imperialistico ed è il terreno di scontro fra diverse fazioni che si contendono l’egemonia. La strategia di Putin passa attraverso questa consapevolezza. Bisogna dividere il campo avversario: l’obiettivo non è certo il socialismo ma la transizione da un regime neoliberista e semi-dipendente (Eltsin) ad un capitalismo di stato con una politica estera autonoma.

Il neoeletto presidente non guardava, all’inizio del suo percorso, alla Cina ed all’Iran. Essendo un nazionalista ortodosso, ha cercato di legare la ‘’Russia cristiana’’ all’Europa instaurando una alleanza strategica con i nazionalismi europei e con Israele. Questo progetto è fallito ed anche Putin ha dovuto cambiare strada. Il sociologo James Petras ci descrive i primi passi politici dello statista ‘’cristiano-ortodosso’’. Leggiamo e commentiamo: 

«La strategia di Putin all’inizio perseguì una maggiore cooperazione con gli stati e le economie occidentali, ma sulla base di scambi reciproci invece delle unilaterali appropriazioni di risorse russe prevalse sotto Yeltsin. Putin cercò di assicurare una maggiore integrazione politico-militare con USA e UE per proteggere i confini e la sfera d’influenza russa. A tal fine aprì le basi militari e le linee di supporto russe alle forze militari statunitensi-europee impegnate nell’invasione dell’Afghanistan, e non si oppose alle sanzioni contro l’Iran. Putin accettò anche l’invasione statunitense dell’Iraq, nonostante i legami economici russi con Baghdad. […] Dette perfino il via libera al bombardamento NATO della Libia. Grazie alla collusione politica e diplomatica di Putin con l’espansione militare di Washington e NATO, il commercio e gli investimenti con l’Occidente prosperarono. Ditte russe ottennero prestiti nei mercati di capitali occidentali; investitori stranieri fioccarono nella borsa russa e le multinazionali formarono joint ventures. Ventures per il petrolio e il gas fiorirono. La spesa privata esplose, la disoccupazione si ridusse da due cifre a una, i salari arretrati vennero pagati e i centri di ricerca, le università e le istituzioni culturali cominciarono a riprendersi». [1] 

La debolezza della strategia iniziale di Putin era quella di non contemplare nessuna alleanza tattica con le forze antimperialiste, oltre a non guardare all’Iran ed alla Cina. Israele, dal canto suo, ha sempre utilizzato l’influenza del Zionist Power per orientare le politiche europee e statunitensi, quindi non avrebbe mai accettato un’alleanza strategica con Mosca in funzione anti-islamista. Gli oligarchi economici si dispersero in occidente contribuendo al progetto di Soros e della Trilaterale, volto a costituire la nuova classe capitalistica transnazionale. La sovranità russa era, di nuovo, in pericolo.

Putin commise l’errore di non considerare la relazione, imprescindibile, del Zionist Power statunitense col progetto di Soros e della Fondazione Clinton, quindi prese alla lettera i discorsi, più teocratici che teocentrici, della destra israeliana sulle radici ebraiche dello Stato sionista. I fatti l’hanno ampiamente smentito: i mass media israeliani contribuiscono, attivamente, alla demonizzazione della Federazione russa, accettando l’etica puritana dei neoconservatori USA. Nulla di più distante dallo spirito comunitario della religiosità ortodossa. Il nostro è stato costretto — secondo chi scrive a malincuore perché Putin non si è mai dichiarato anti-sionista (un errore che lo ridimensiona molto) — a prenderne atto e a delineare, sulla base delle esperienze acquisite, una nuova linea politica.

Rifiutato con argomentazioni anti-marxiste il bolscevismo (di cui diverse davvero molto volgari), Putin ha rivalutato l’alleanza diplomatica che Stalin riuscì a tessere con la Chiesa Ortodossa salvaguardando la sovranità russa dagli imperialismi italiano e tedesco. Oggi, il Partito Russia Unita non vuole riconoscere l’unicità della Rivoluzione d’Ottobre, un evento storico straordinario per l’impulso dato al processo mondiale di decolonizzazione radicale. In questo modo, il presidente russo si pone ai vertici di una alleanza tradizionalista ed anti-modernista la quale — sul modello del khomeinismo iraniano — si contrappone tanto al socialismo quanto al neoliberismo occidentale. Un mondo, certamente, meno aggressivo del capitalismo di sorveglianza statunitense, ma ugualmente libero-scambista. Non c’è piena realizzazione dell’individuo dentro il capitalismo, compresi i modelli corporativi russo ed iraniano. Lo stesso popolo russo è totalmente estraneo alle dinamiche del capitalismo occidentale e quando Russia Today, con indiscutibili meriti, entra nel campo della sinistra anti-neoliberista non può che attingere dalla cultura radicale (principalmente Chomsky ed Eva Golinger) statunitense. 


(…)

Il collante teocentrico fra élite politica, clero ortodosso e popolo russo ha permesso l’ascesa di Putin, un anti-neoliberista di destra che ha ostacolato la nascita di una nuova ed originale alternativa comunista. L’Urss si è disintegrata a seguito della duplice sconfitta sia del “giacobino” Trotsky che dello stesso Stalin, due grandi personaggi i quali, all’interno di una drammatica e lacerante divergenza che li ha visti protagonisti, individuarono il medesimo nemico: la burocrazia termidoriana per Trotsky; la casta maledetta per Stalin. Il nazionalismo ortodosso ha permesso a Putin di respingere i fantasmi di Trotsky, Bucharin, Stalin e Suslov, permettendo al clero ortodosso di fare la parte del leone; non antimperialista, ma anti-modernista. La vittoria di Putin è in un certo qual modo una vittoria del popolo russo che premia un leader nazionalista, nemico della oligarchia imperialista statunitense, ma la prospettiva politica non soltanto resta incerta ma confinata verso un orizzonte inconcludente nel medio periodo (che programmi hanno i comunisti russi?). Il capitalismo — perfino quello di stato — non è mai una soluzione.

Putin non vuole distruggere l’oligarchia imperialista occidentale e non ha mai pensato, da buon religioso, di farci affari. Il suo obiettivo è quello di trasformare la Russia in una fortezza ideologica (oltre che economica), con una espansione geopolitica — notate bene: ho detto geopolitica, non imperialistica — limitata agli spazi che furono propri della ‘’grande madre Russia’’ e a tal fine allacciare diverse alleanze tattiche; dal nazionalismo arabo all’Iran; dalla Cina ai governi di centro-sinistra latino-americani. Il rapporto con Israele è una lama a doppio taglio, essendo lo Stato ebraico tanto imperialistico quanto inaffidabile.

In fondo è un po’ l’erede di Caterina II, il passato sovietico è stato, con una insopportabile ingratitudine, rimosso al fine di recuperare retaggi storici e culturali anacronistici. La sua contraddizione più grande è quella di cozzare potenzialmente con quelle forze giovani e antimperialiste come ad esempio gli Hezbollah libanesi e le Resistenze palestinesi e yemenite. Di certo, nessun gruppo dirigente rivoluzionario accetterà la realpolitik ortodossa. Tutto questo porterà nuovi conflitti all’interno del campo anti-occidentale, mettendo il capo di stato russo davanti alle sue irrisolvibili contraddizioni.

Il Partito Russia Unita ha comunque restituito orgoglio e patriottismo al popolo russo. La vittoria elettorale di Putin non deve essere cestinata soltanto perché si tratta di dell’affermazione di un leader nazionalista borghese. La Russia mostra i muscoli e ha forse il più forte esercito regolare del mondo (escludendo la guerra di quarta generazione, cioè la guerra nucleare). Il giornalista Israel Shamir dà un giudizio positivo della linea Putin ed io credo che abbia ragione: 

«Il principale oppositore di Putin, il comunista Grudinin, non ne ha contestato né la politica estera né la spesa per la difesa; gli elettori approvano comunque la politica estera. La rivelazione di Putin ha reso i russi orgogliosi, ma loro lo voterebbero comunque». [2] 

Dove cadono Putin e Grudinin (più brezneviano che comunista)? Semplice, non possono offrire una prospettiva anti-capitalista e socialista ai lavoratori russi, e la prospettiva da loro intrapresa rischia di barcollare nel medio-lungo periodo.

* Fonte: L’Interferenza

3 pensieri su “COS’É IL PUTINISMO di Stefano Zecchinelli”

  1. Dalla conca con pudore dice:

    La Russia difende la Siria a fianco di Iran e Hezbollah, a fianco della resistenza, dalla vile Aggressione imperialista occidentale. Questo conta e questo spiega. un saluto a tutti!

  2. Anonimo dice:

    Ottimo articolo molto interessante. Borgognone in un suo recente intervento sulla Russia ha paragonato Russia Unita (il partito di Putin) al vecchio Msi italiano addirrittura! Zjuganov leader comunista era molto nazionalista, non ci sono più comunisti marxisti in Russia?

  3. Redazione SollevAzione dice:

    A sinistra del PC storico, per capirci quello fondato da Zyuganov e oggi guidato dall'affarista Pavel Grudinin, esistono almeno quattro o cinque organizzazioni comuniste. Alcune staliniane altre no. Nessuna flirta con Putin, anzi sono radicalmente all'opposizione.

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