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L’ITALIA SEMI-COLONIA O NAZIONE SOVRANA? di Alceste De Ambris

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[ 30 mazo 2018 ]

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

I) Nel suo libro sulla storia del colonialismo, Wolfang Reinhard distingue tre varianti del fenomeno: il dominio diretto (es. il Brasile portoghese), il controllo indiretto (gli Inglesi in Egitto) e la “semicolonia”.

Quest’ultimo tipo si caratterizza per il dominio esercitato non da un solo Paese colonizzatore, ma da una pluralità di potenze, che in parte per la loro rivalità in parte invece per gli interessi comuni, consentono la sopravvivenza formale dello Stato colonizzato e un residuo di indipendenza politica.

Come esempi l’autore indica, nel XIX secolo, la Cina e l’Impero ottomano. La Cina, grazie a vari interventi militari (tra cui la famosa “guerra dell’oppio”) era stata costretta ad aprire i suoi mercati agli occidentali — benché oggigiorno c’è ancora qualche ingenuo che considera il “libero mercato” un’istituzione naturale e pacifica. Tramite “trattati ineguali” erano stati aperti porti al commercio marittimo (treaty ports) e concessi privilegi ai cittadini occidentali. A Inghilterra Francia Russia e Germania erano stati ceduti territori, e le loro imprese avevano diritto a costruire ferrovie e sfruttare  miniere. Con l’invasione del Giappone si avrà l’occupazione militare vera e propria.
Nell’ Impero ottomano, che già era stato costretto a concedere alle potenze europee trattati ineguali privilegi e concessioni di servizi pubblici, a seguito della bancarotta del 1881, si era installata un’Amministrazione internazionale del debito, a cui veniva girata una parte delle entrate delle Stato e aveva il compito di approvare progetti infrastrutturali.

II) Il paragone storico non è esagerato rispetto alla condizione attuale dell’Italia, che si trova di fatto ridotta a semi-colonia, avendo perduto la maggior parte degli elementi costituitivi della sovranità popolare.
Il Paese si trova ora sotto una triplice occupazione.

Dal punto di vista economico, è dal 1992 una colonia della Germania, ossia del Paese  che dirige l’Unione europea, imponendo il suo folle modello mercantilista basato su austerità e deflazione, a esclusivo vantaggio proprio e delle banche (benché sia riduttivo definire così mastodonti too big to fail che dispongono di risorse maggiori di quelle statali).

Dal punto di vista militare l’Italia è, dopo la seconda guerra mondiale, una colonia americana, come dimostra la presenza di decine di basi militari Usa e Nato sul nostro territorio.

Dal punto di vista culturale siamo, dagli anni Ottanta, una colonia americana, posto che il 90% dei prodotti mediatici, di intrattenimento (film, musica, trasmissioni) e di informazione (la “bolla mediatica” occidentale), provengono dagli Stati Uniti, i quali hanno così imposto il proprio stile di vita e idioma (l’uso di anglicismi inutili nel linguaggio corrente è ormai inarrestabile).

Per altri aspetti il nostro Paese ha uno status ancora inferiore, e assomiglia ad una colonia in senso stretto. E’ stato privato del potere di emissione e cambio della propria moneta, gestita da un organo tecnico e “indipendente” come la Banca centrale europea; di conseguenza ogni anno dobbiamo pagare il “pizzo” alla finanza internazionale, quasi un centinaio di miliardi come interessi sul debito. Recentemente l’Italia subisce l’importazione in massa di lavoratori da Paesi poveri, al fine di disporre di manodopera a basso costo in concorrenza con quella locale, proprio come avveniva con gli schiavi africani deportati nelle colonie americane. Inoltre siamo tenuti, come un tempo i sudditi degli imperi, a fornire contingenti militari per missioni di guerra, contrarie sia ai nostri  interessi che al diritto internazionale (Kossovo, Irak, Libia), e a imporre sanzioni a Paesi amici (Russia, Iran, Venezuela). Dal punto di vista giuridico, i trattati europei sono gerarchicamente sovraordinati alla legislazione nazionale, benché improntati ad un modello economico ultracapitalista, incompatibile con la nostra Costituzione (art. 35-47).

III) Approfondiamo la questione economica che è la più rilevante. La decadenza del nostro Paese coincide con l’adesione all’Unione europea e l’introduzione dell’euro. I trattati di Maastricht e di Lisbona, impostati sui dogmi economici ordo-liberisti, hanno costretto l’Italia ad aprirsi alla libera circolazione dei capitali e delle merci, eliminando dazi e limitazioni; a privatizzare le imprese pubbliche, sia le banche sia le industrie sia gli stessi servizi (energia, telefonia, autostrade ecc.) — imprese monopoliste prive di rischi, i cui profitti si configurano in realtà come un rendita; a tagliare la spesa pubblica e in particolare lo stato sociale, a “liberalizzare” professioni e negozi, a sopprimere i diritti dei lavoratori faticosamente conquistati, ad abbandonare politiche industriali e di piena occupazione, generando così precarietà e disoccupazione. Le conseguenze per le classi medie e per quelle più disagiate sono state devastanti. 



Le imprese privatizzate, compresi i settori strategici, spesso sono poi state finite in mano ad azionisti stranieri, o delocalizzate all’estero. Come definire, se non colonia, un Paese dove certi prodotti/servizi vengono forniti esclusivamente da imprese estere (non solo settori tradizionali ma anche informatica, commercio elettronico, social media) e persino settori non delocalizzabili (grande distribuzione, alimentari, telefonia, acqua, trasporto aereo, assicurazioni, squadre sportive!) sono in mano a stranieri ? 


La situazione sarebbe ottimale per immaginare qualche forma di socialismo (magari autogestionario), visto che i capitalisti italiani sono già stati “espropriati”… ma è evidente che l’ordinamento europeo rende impossibile qualsiasi politica economica non solo socialista, ma nemmeno socialdemocratica (il keynesismo, con il pareggio di bilancio in Costituzione, è ormai proibito per legge).

L’analisi qui deve salire di livello e adottare un’interpretazione di classe. E’ vero che, come diceva Wallerstein, il capitalismo tende a creare rapporti sbilanciati centro periferia, che trasferiscono valore dai Paesi più poveri a quelli più ricchi. D’altra parte non è l’intera nazione a sfruttare le risorse delle colonie, ma è la classe capitalista che sfrutta sia il proprio popolo (pensiamo all’esplosione delle disuguaglianze sociali) sia quelli colonizzati.
Il colonialismo classico era praticato da Stati-nazione distinti e in conflitto tra loro. Con l’avvento della globalizzazione, il “nuovo colonialismo” finanz-capitalista è attuato da un’oligarchia internazionale non legata a singoli Paesi, che utilizza i vari Stati come meri strumenti. Già in passato i processi di colonizzazione seguivano le iniziative dei privati (es. la Voc olandese o la Compagnia delle Indie). Ora questa tendenza è prevalente: l’erosione della sovranità statale avviene soprattutto ad opera di entità private, multinazionali finanziarie investitori: gli Stati si trovano in ostaggio dei cd. “mercati”.

IV) Qual è il ruolo della politica in un Paese colonizzato? I dominatori, come sempre, si appoggiano su élite locali collaborazioniste — ben espresse dai media e partiti della seconda Repubblica — per ottenere la sottomissione spontanea del popolo. I rappresentanti politici, dietro contrapposizioni su temi secondari (es. i diritti civili, la criminalità, l’ambiente), si limitano alla mera amministrazione dell’esistente e alla spartizione delle risorse concesse dall’alto. La democrazia si riduce al vuoto spettacolo delle elezioni, dato che i politici non hanno reali poteri decisionali: il sistema procede  con il “pilota automatico”. Le ultime elezioni italiane naturalmente non cambiano nulla, visto che nessun partito autenticamente “sovranista” era candidato. 


Condizione preliminare per essere liberi è la consapevolezza di non esserlo, sicché occorre valutare in modo spietatamente onesto la situazione attuale della nostra patria. Il sovranismo deve essere precisamente il progetto politico di decolonizzare l’Italia. Senza liberazione nazionale alcuna rivoluzione sociale è logicamente possibile. Dobbiamo studiare e prendere a modello i movimenti di liberazione nazionale del 900, in Asia come in Africa. E considerare che spesso la decolonizzazione non è avvenuta senza un tributo di sangue, a causa della violenta resistenza dei colonizzatori (Indonesia, Algeria, Vietnam, Angola ecc.).

6 pensieri su “L’ITALIA SEMI-COLONIA O NAZIONE SOVRANA? di Alceste De Ambris”

  1. Anonimo dice:

    Alceste de Ambris ??? Semplice omonimo o discendente?Cesco

  2. Fiorenzo Fraioli dice:

    Sintesi ineccepibile e chiara. Grazie.

  3. Il dito nella piaga dice:

    Dopo o molto dopo i dominati si ribellano.Impegnamoci. Che sia prima di molto dopo.

  4. Anonimo dice:

    Leggo adesso su wikipedia, fu il fondatore del sindacalismo rivoluzionario. Non conoscevo né lui né il sindacalismo rivoluzionario, ma è qualcosa di cui abbiamo un disperato bisogno.

  5. Filippo Corridoni dice:

    Davvero un bel post.

  6. Anonimo dice:

    "…visto che i capitalisti italiani sono già stati “espropriati”…"Scusate l'ignoranza, ma l'Italia non era il paese della piccola e media impresa?Se è vero che a Nord a differenza del Sud la sfida con la globalizzazione non è completamente persa, percepita tale almeno, a me sembra che il vero zoccolo duro che ancora alimenta e giustifica il dispositivo della narrazione piddina oggi sia il "cummenda leghista con riflessi catalani", antisovranista della peggior specie.Per questo se devo immaginare a quale azione di gatekeeping verrà data la precedenza per mantenere in vita la narrazione piddina italiana credo che tra la flat tax a Nord e il RdC a Sud per questa volta la spunterà la Casaleggio, essendo inderogabile concedere qualcosa a Sud prima che la situazione esploda.Salvini e Bagnai si fermano un turno, poi torneranno per battere i pugni sul tavolo.francesco

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