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PERCHÉ USCIAMO DA EUROSTOP di Militant

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[ 16 marzo 2018 ]

Della coalizione Eurostop abbiamo parlato In più occasioni. Ne siamo stati tra i fondatori, per abbandonarla nell’estate scorsa, spiegandone le ragioni.

Venimmo criticati da più parti. 
In verità pare si abbia avuto ragione.
Lo sprofondamento di Eurostop in Potere al Popolo ha provocato l’inevitabile smottamento. Dopo di noi Moves, quindi Porcaro, Boghetta e Formenti, infine, notizia di oggi, del gruppo Militant, di cui pubblichiamo qui sotto il loro denso dispaccio. Torneremo sulla questione. Una sola osservazione critica: alla forza del giudizio sul sinistrismo radicale (di cui Eurostop è, in ultima istanza, un precipitato) fa da contraltare l’assenza di una proposta complessiva. O meglio, si parla di una “traversata nel deserto”. Con la qual cosa pare si debba intendere una “ritirata strategica”. Ciò che, prima ancora che sbagliato, a noi sembra stridere con l’analisi fatta sulle ragioni dell’affermazione dei “populismi”. La nostra proposta? (1) la situazione è ancora apertissima, la partita decisiva è ancora da giocare; (2) occorre fare rotta verso un partito populista di sinistra. Ciò implica dare forma ad una sinistra patriottica, nazionale e popolare.

«Raramente utilizziamo questo spazio per comunicazioni ufficiali, il più delle volte inutili per un collettivo come il nostro. Se questa volta deroghiamo alla regola che vuole questo un luogo di confronto, e non pietrificato dalle formalità, è perché è ormai inevitabile informare della nostra fuoriuscita dalla piattaforma politica Eurostop. Prendiamo atto della scelta di proseguire nel percorso di Potere al Popolo, una strada che – lo abbiamo discusso lungamente qui e nelle sedi opportune – ci sembra smentire una serie di presupposti analitici che da molti anni andiamo elaborando, come collettivo e insieme ai compagni che ancora animano la piattaforma anti-europeista. Prendiamo atto della mancata critica della realtà, in funzione di un’esaltazione fuori fuoco che insiste nel vedere in una storia che muore – la “sinistra radicale” dei partitini “comunisti” – addirittura un punto di partenza. 

Lo scollamento tra sinistra e società, emerso violentemente dai risultati elettorali del 4 marzo, avrebbe dovuto ricondurre, proprio quei compagni che in questi anni più coraggiosamente avevano centrato il proprio ruolo nella critica radicale alla sinistra di complemento, a un confronto materiale con gli attuali rapporti della politica. Si prende atto che “la sinistra è morta”, ma si insiste, defibrillatore alla mano, nel rianimare costantemente il morto, ripartendo sempre e soltanto da quella sinistra che, al sicuro delle proprie riunioni, si giudica come nemico. Non è, d’altronde, un problema di questo o quel partitino. E’ un intero schema ideologico che andrebbe dileguato: il calderone arcobaleno della sinistra radicale, che non ha più ragion d’essere. Quella socialdemocrazia dal basso che vorrebbe correggere le storture del sistema senza indicare priorità comprensibili è stato spazzato via, espunto dalla logica politica, relegato tra gli anacronismi intellettuali. Forse è solo un passaggio della storia politica di questo paese, ma bisogna prendere atto che tale fase discendente è in corso da quasi un ventennio, e vent’anni fa eravamo già dentro una fase di ritirata storica, per quanto mascherata da saltuarie esplosioni di partecipazione democratica (e non certo rivoluzionaria!). Non ci interessa però accusare nessuno. Ci piacerebbe invece sfruttare questa occasione per formulare una critica che sia soprattutto un’autocritica.

Abbiamo partecipato da subito ad Eurostop perché credevamo – e crediamo tutt’ora – necessario organizzare un discorso attorno alla contraddizione principale dei nostri tempi: l’europeismo liberista incarnato nell’Unione europea. La difficoltà, a volte la vera e propria paura, nella sinistra, di affrontare di petto il nodo strategico che struttura l’attuale sistema ordo-liberale europeista è parte di quell’incomprensione popolare verso le sinistre radicali. Non tutto, ovviamente, si risolve attraverso l’utilizzo di “giuste parole d’ordine”, ma l’incomprensione totale del mondo reale nel quale viviamo contribuisce allo scollamento evidente tra “sinistra” e “popolo”. Agitare la contraddizione principale non significa però risolvere i conti con la propria proiezione politica. Eurostop, e noi con essa, è stata incapace di organizzare attorno al problema principale un discorso che intervenisse nella miriade di contraddizioni immediate di cui si compone la realtà sociale. Il risultato è stato quello di un gruppo ben strutturato di compagni incapaci di esercitare una qualche forma di internità politica nei settori di classe. I proletari, detto schematicamente, si fanno difendere dalla sinistra di classe (nelle vertenze sindacali, sociali, territoriali, eccetera), ma affidano la propria rappresentanza al “populismo”. Un circuito perverso, perché contribuisce all’indebolimento della suddetta sinistra di classe, a cui corrisponde un peggioramento complessivo delle condizioni di vita dei proletari, a cui si risponde con titanici sforzi militanti rincorrendo una realtà sociale che sfugge sempre più di mano. Un incubo, che però va combattuto e non introiettato.

I motivi per cui il cosiddetto populismo raccoglie elettoralmente tutto ciò che non riesce più ad essere raccolto dalla sinistra sono molteplici. Nel corso di questi anni abbiamo provato a indagarli, nel limite delle nostre forze militanti e intellettuali. Crediamo, soprattutto oggi, che il motivo principale (non l’unico però) sia più o meno questo: il “populismo” definisce una gerarchia di politiche, esattamente il contrario del calderone informe della “sinistra radicale”. E questa gerarchia ruota attorno alla resistenza che questo suscita rispetto alle politiche ordo-liberali europeiste-globalizzate. Al “populismo” – e al suo elettorato – interessa poco o nulla del “programma”, della lista della spesa, della coerenza del proprio discorso politico: tutte cose che, al contrario, mandano in estasi i commentatori più sofisticati. Al “populismo” – e al suo elettorato – interessa essere percepito come strumento di resistenza alla globalizzazione, in Europa organizzata per mezzo della Ue. Credere che il “populismo” vinca elettoralmente per questa o quella proposta specifica significa reiterare la propria incomprensione dell’esistente: il “populismo” vince perché se ne frega del programma, l’importante è manomettere gli ingranaggi della stabilità liberale. Il “populismo” indica un nemico, immediato e concreto. E lo fa “anti-ideologicamente”, cioè costantemente calato nella realtà dei fatti.

Che poi questo nemico non sia il “vero nemico”, che il populismo (stavolta senza virgolette) faccia in pieno parte di quel sistema politico liberale di cui è una “controfaccia”, e bla bla bla, ce lo possiamo ripetere oltre la noia, ma tant’è: o ci si rassegna e si torna a fare altro nella vita, ma se si decide di insistere nella politica da qui tocca ripartire. Dalla realtà, non dalle proprie proiezioni ideologiche.

I motivi per cui, pur intervenendo nella contraddizione principale, si vegeti in uno stato di minorità, sono ovviamente molti. C’è una situazione oggettiva di cui tener conto: viviamo una fase di riflusso storico della partecipazione politica, e dentro questa fase difficilmente uscirà fuori “l’organizzazione” capace di invertire lo stato di cose presenti. Si tratta, per lo più, di resistere in attesa di tempi migliori. Eppure non tutto si risolve incolpando “i tempi che corrono”. Ci sono anche nostre responsabilità soggettive. Eurostop, e noi con essa, scontiamo i limiti di una proiezione che rimane ancora eccessivamente massimalista, intesa come perseguimento di un programma massimo senza alcuna realistica possibilità di successo, finendo così confinati in un idealismo dei propositi nei fatti poco comprensibile. Manca la via di mezzo, la capacità cioè di far vivere dentro le lotte di classe quelle parole d’ordine che rimandano alla natura strutturale delle varie contraddizioni.

Ribadiamo che quella riferita non è una critica ai compagni, ma un’autocritica che investe in primo luogo noi e, ovviamente, gli ambiti entro cui abbiamo fatto politica in questi anni. Allargando la visuale si intravedono le macerie di un panorama politico che procede senza sinistra, cannibalizzata dal “populismo”. Da qui bisogna ripartire. Capire bene il risultato elettorale, utile in quanto fotografia dell’esistente e non feticcio politicistico ovviamente. E adeguarsi a un mondo che cambia, che è cambiato, molto più velocemente di quello che pensavamo. Per la “sinistra” dei cliché cosmopoliti è suonata da quel dì la marcia funebre. Ma per chi ancora lavora ancorato alla realtà, occorre un atto di coraggio, quello di ripensare se stessi davvero. Siamo dentro una traversata del deserto che non prevede scorciatoie politiciste.


* Fonte: MILITANT

4 pensieri su “PERCHÉ USCIAMO DA EUROSTOP di Militant”

  1. Anonimo dice:

    Sono gia' intervenuto piu' volte sulla questione eurostop, dal mio punto di vista sono stati sbagliati i tempi di uscita da questa esperienza. Invece di abbandonarla alla rinfusa lo snodo poteva essere rappresentato proprio dalla critica serrata a Potere al Popolo. Prprio dai collettivi e associazioni che avete citato anche di diversa storia e provenienza (moves, indipendenza e costituzione, fronte popolare, militant) poteva nascere il nucleo di una sinistra anti euro che definite patriottica (e' un aggettivo che non mi piace sembra che guardi al passato, non lo trovo accattivante, dimenticando poi che in Italia la questione meridionale e' ancora attuale)..Ringrazio la vostra pluralita' anche a pubblicare critiche, ma sempre costruttive, alle vostre posizioni.PS visto che comq ospitate alcune interviste a Bertinotti ispiratore insieme a negri del cosmopolitismo di sinistra (sinistra europea….) suggerisco un colloquio con marco rizzo, ma non per aderire al partito comunista, ma per vedere se ci sono i margini per un patto di unita' di azione tipo fronte popolare anche in vista di un eventuale ritorno al voto oscillante dai 6 mesi, se non trovano l'accordo, ai due anni che sarebbe il tempo in cui i parlamentari di fresca nomina maturerebbero il vitalizio

  2. Barbaro D'Urso dice:

    L'ennesima spaccatura del capello in quattro. Anzi, in quattrocento.Oggi è possibile e necessario fare solo queste cose:fare pressione sui singoli deputati e senatori pentastellati e leghisti affinché, avendo insieme la maggioranza assoluta in entrambe le camere, approvino al più presto una legge elettorale simile a quella francese (colleggi uninominali maggioritari con ballottaggio fra i primi due se nessuno supera il 50%);questo, dato il momento attuale ed il tracollo di Pd e Fi, genererà uno spareggio di fatto fra pentastellati e leghisti affinché uno solo dei due ottenga la maggioranza assoluta nella prossima legislatura;Pd e Fi sono ora debolissimi: Renzi è ancora in preda ad una fitta isterica e i suoi stentano a riprendersi dalla botta, mentre pure i pochi oppositori interni – Emiliano, Zingaretti – se ne restano in disparte vista la situazione tragica; Berlusconi è sbalestrato anche lui per il sorpasso subito a destra da Salvini e tutti i suoi ruffiani tremano di paura, inoltre bisogna approfittare che non sia ancora rielegibile e tenerlo fuori dal parlamento in modo definitivo: chi se ne frega delle sorti di Mediaset, ripugnante fabbrica di rifiuti tossico-culturali;dunque, l'affondo nei confronti dei due partiti "classici" deve essere portato ora, subito, con una mossa audace e spregiudicata: a Roma si dice chi mena primo, mena du' vorte. Dopo ci sarà tutto il tempo, per gli anatomo-patologi, anzi, anatomo-politologi paludati e tromboneschi del giornalismo televisivo di fare l'autopsia dei due cadaveri, tutte le sere da Floris, Formigli, Santoro, Berlinguer, Belpietro, Maria De Filippi e Carlo Conti. Prima, però, i cadaveri bisognerà fornirli;la cosa andrà presentata come "populisti" contro "moderati" o "liberali". Oggi vincono a mani basse i "populisti". Laddove ci siano ballottaggi fra un "populista" – leghista o grillesco – ed un "moderato", si vota e si agita per far votare il "populista". Se il ballottaggio è fra due della stessa "categoria", inutile sbattersi e si trascorra la domenica elettorale in altro modo;questo forzerà la formazione di un governo, non più tardi dei prossimi sei mesi, monocolore leghista o pentastellato. Il risultato sarà una "accelerazione" della crisa politica, economica, sociale e morale del paese per manifesta insipienza ed incopetenza dei nuovi governanti. Grande sarà la confusione sotto il cielo. La situazione sarà eccellente.Dunque… AGITARE, AGITARE, AGITARE!!!

  3. Redazione SollevAzione dice:

    «Sono gia' intervenuto piu' volte sulla questione eurostop, dal mio punto di vista sono stati sbagliati i tempi di uscita da questa esperienza. Invece di abbandonarla alla rinfusa lo snodo poteva essere rappresentato proprio dalla critica serrata a Potere al Popolo».Proviamo a rispondere alla critica del lettore. procedendo per punti.(1) in Eurostop ci siamo stati da fondatori. Abbiamo messo tanta pazienza e modestia. Dopo due anni abbiamo preso atto che su 1) sovranità nazionale, 2) populismo e 3) immigrazione –tutto si tiene– la maggioranza di Eurostop era sorda (sorda) e non avrebbe mai cambiato posizione. Che ci stavamo dunque a fare? A fare i grilli parlanti?(2) Altri compagni, a grandi linee d'accordo con noi, (ad esempio Formenti e Boghetta,) scelsero invece di stare dentro nella convinzione che le cose avrebbero preso presto una migliore piega. Se oggi "escono alla rinfusa" è perché prendono atto che niente si cambia in Eurostop e che nessuno ascolta. Prendono atto che l'adesione a PaP, malgrado la debacle elettorale, non è solo tattica: è che Eurostop si dimostra un cascame, un precipitato del sinistrismo radicale. Non basta dire no Euro No Ue, questo il punto.(3) Noi, tra le altre cose, in quei mesi della primavera estate eravamo impegnati nel costruire la CLN (di cui anche Boghetta e Porcaro facevano parte). Riconosciamo che il progetto CLN si è impaludato e che quindi non siamo riusciti ad indicare qui e ora una via migliore rispetto a quella di Eurostop. Su questo abbiamo fatto autocritica. Fossimo restati in Eurostop sarebbe durata solo altri cinque mesi. Che non avremmo mai accettato di sprofondare in PaP….

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