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L’ITALIA NON ESISTE? di Piemme

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[ 6 maggio 2018]

Era il dicembre del 2016 quando su questo blog segnalavamo il pamphlet del piddino Fabrizio Rondolino L’ITALIA NON ESISTE (PER NON PARLARE DEGLI ITALIANI). 

Era, dicevamo “… un concentrato esplosivo di disprezzo del concetto di nazione, di vero e proprio odio auto-razzista dell’Italia e del popolo italiano. Un inno sperticato del “vincolo esterno” euro-tedesco, sotto le mentite spoglie di quel cosmpolitismo “progressista” di cui si ammanta la globalizzazione capitalistica”.

Si leggeva nel pamphlet:

«Tanto per cominciare, l’Italia non esiste. È un’espressione geografica, uno stivale che s’allunga pigro nel Mediterraneo, una graziosa penisola purtroppo in gran parte rovinata dagli italiani. L’idea di farne uno Stato, una Na­zione con la maiuscola, come se fossimo la Spagna o l’Inghilterra, è una sciocchezza sesquipedale, che perdoniamo al conte di Ca­vour soltanto perché, maturato nella lingua e nella cultura d’Oltralpe, pensava in buona fede di vivere in Francia. L’Italia non è mai stata una nazione, e non lo sarà mai».

Rondolino, segui le tracce di un altro sciacallo, Sergio Salvi, che nel 1996 (Erano gli anni della Lega di Bossi) pubblicò, appunto L’ITALIA NON ESISTE, ma radicalizzandole. Il Salvi almeno sosteneva che sì, gli italiani esistono,  hanno un’identità antropologica e sociale, ma l’Italia come Stato-nazione non era mai nata.


La pubblicistica auto-razzista e anti-italiana ha radici profonde, Gramsci avrebbe detto che la fonte sta nel cosmopolitismo di matrice cattolico-romana, che lui riteneva infatti essere stato il principale ostacolo alla (tardiva) formazione dello Stato unitario. 
E, ci avrebbe detto  il Gramsci, che proprio per questo il Rinascimento fu in verità una fase antirivoluzionaria rispetto al primo Umanesimo. Una tesi che egli giustificava appunto col ruolo cosmopolitico degli intellettuali italiani, ed il loro rifiuto di mettersi alla testa del popolo per farne una nazione. Di cui la sua ammirazione per Machiavelli…


Non c’è dubbio che tale pubblicistica anti-italiana, in nome di un antifascismo liberistico, è funzionale al disegno mondialista delle élite, ed in particolare a quelle euriste. Essa non solo deve dimostrare che ogni “sovranismo” è nazionalismo becero, reazionario; deve mostrare che il patriottismo, sotto le Alpi, è semplicemente destituito di qual si voglia fondamento storico.

Lorsignori non demordono.

Sul CORRIERE DELLA SERA del 2 maggio, tanto per fare un esempio, sotto le mentite spoglie di un articolo scientifico si poteva leggere:

«Gli Italiani? Non esistono. Si tratta solo di un’aggregazione di tipo geografico. Abbiamo identità genetiche differenti, legate a storie e provenienze diverse e non solo a quelle» spiega Davide Pettener, antropologo del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna…»

Qui addirittura si tira in ballo la genetica, a ben vedere facendo il verso alla demenziale idea hitleriana della nazione come basata su un presunta (inesistente ovunque) purezza biologica della razza.

E così veniamo a LA STAMPA di ieri. In prima pagina Mattia Feltri, facendo il sofisticato, ci da questo Buongiorno:

»L’Italia non esiste, non è mai esistita. Non prendetevela con me, se non vi piace, ma con Giuseppe Prezzolini. «Il suo tentativo di formare uno stato nazionale è fallito. Sarà forse una provincia dell’Impero europeo». Scritto nel 1958 da New York.  L’Italia non è una nazione, è una civiltà. Non ha nessuna idea di nazione. È municipale nella pratica e universale nelle aspirazioni. Quanto di meraviglioso ha prodotto, l’Impero romano, la Chiesa, il Rinascimento, Cristoforo Colombo e Marco Polo, Giotto e San Francesco, Enrico Fermi e Guglielmo Marconi, non ha niente di italiano, ha molto di più, ha il respiro del mondo. Poi c’è quella maledetta (o benedetta) pratica municipale, micragnosa, piccina, e l’abbiamo vista rappresentata alla grande negli ultimi sessanta giorni, durante i quali a nessuno è importato nulla dell’Italia perché semplicemente l’Italia non esiste. Nessuno che si voglia lordare le mani tendendole all’avversario per il bene dell’Italia, che tanto non esiste. Esistono gli italiani, a nome dei quali ognuno parla, gli italiani vogliono, gli italiani hanno detto, gli italiani hanno scelto, e poi quelli nemmeno sono «gli italiani», sono i loro tifosi schierati contro tutti gli altri tifosi, che chiamano delinquenti, traditori, al soldo del nemico, e gli riserverebbero il patibolo. Chi disse fatta l’Italia bisogna fare gli italiani forse si sbagliava, gli italiani esistono, sono sempre esistiti, oggi si chiamano Di Maio, Berlusconi, Salvini, Renzi, italiani esemplari per un’Italia che non esiste».  

Torneremo sull’argomento, ed anche su Prezzolini e la  letteratura nazionalistica che fece da concime all’imperialismo e poi al fascismo.


Una cosa si deve sapere: contro questa narrazione va condotta una lotta a tutto campo, spietata. Dall’esito di questa battaglia ideologica, non penso di esagerare, dipende il destino del nostro Paese.

3 pensieri su “L’ITALIA NON ESISTE? di Piemme”

  1. Vincenzo Cucinotta dice:

    Assolutamente d'accordo, questa battaglia culturale è decisiva. A questo scopo, farei preliminarmente notare che i tre personaggi citati non danno motivazioni uguali tra loro, anzi si contraddicono l'un l'altro platealmente, il che mi pare un'evidenza della strumentalità del ragionamento portato avanti, fa tutto brodo, se porta alla conclusione ricercata di negare l'esistenza della nazione italiana. La seconda cosa che sottolineerei è che la questione non può essere posta a partire da una più o meno fondata elucubrazione teorica, come se noi sbarcassimo da Marte a Fiumicino e dovessimo capire che fare di questo territorio in base a considerazioni astratte, cioè di natura logico-scientifica. Lo stato italiano esiste, questo è un fatto, e quindi l'unico problema che abbia senso porsi è cosa farne, senza quindi pensare di dover giustificare una realtà di fatto. In politica, si ragiona tra alternative che possano essere considerate plausibili sulla base dello stato dei fatti, non come se ci trovassimo in un laboratorio isolato dal resto della realtà. Esiste, e nessuno può negarlo, una cultura italiana, una lingua italiana, un modo di essere di noi Italiani che ci viene riconosciuto da tutti, come sa chi minimamente ha messo il naso fuori dal suolo patrio e ha potuto vedere come siamo anzi considerati i più caratterizzati nazionalmente (in genere amati e ricercati, ma questo è un altro discorso). Logica vorrebbe che ragionassimo a partire dal fatto che esiste la cultura italiana come esiste lo stato italiano, non facendo finta che abbiamo sessanta milioni di persone che occupano un territorio e oggi dobbiamo decidere cosa farne partendo da zero. Se così facessimo, vedremmo le divisioni interne, la difficoltà a sentirci nazione non come un destino, ma come un preciso prodotto delle condizioni storiche pregresse, e quindi il compito sarebbe quello di rimuovere tutti i detriti storici che impediscono a una cultura condivisa di farsi nazione. Tanto più riconosciamo le difficoltà, tanto maggiore dovrebbe essere l'impegno a costruirla davvero la nazione. La verità è che la prima e fondamentale difficoltà, l'ostacolo maggiore è costituito proprio da una classe dirigente traditrice degli interessi nazionali, e che naturalmente include anche questi pseudo-intellettuali che periodicamente ci ricordano quanto siamo indietro per scoraggiarci e rassegnarci a rimanere provincia di un impero.

  2. Luca Tonelli dice:

    A parte che altri studi genetici, ben più attendibili, mostrano che esiste una forte differenza tra popolazioni italiane e d'oltralpe.Che nel corso dei secoli nel resto d'europa c'è stata molta ma molta più mescolanza etnica che non nell penisola.E che quindi gli Italiani sono fra loro geneticamente assai più affini che non i tedeschi ad esempio.Proprio perchè le alpi hanno costituito una barriera assai più difficile da attraversare nei secoli che non il Reno o l'Elba.E i popoli che migrando l'hanno dominata non hanno, fino a epoche recentissime, mai veramente inciso sulla maggioranza che nella penisola (isole escluse), è sempra stata etnicamente e geneticamente latino/italica fin dalla cacciata/assimilazione dei galli padani. i governanti erano Longobardi? la popolazione era latina. e via così nei secoli a venire pur con le differenze culturali che il frazionamento politico ha portato.Basta googlare o cercare sulla banalissima wikipedia per avere conferma di questo.

  3. Anonimo dice:

    Riflessioni sulla continuità nella politica italiana(Dopo una entusiasmante rilettura delle opere di Sciascia e con particolare riferimento a 1912+1) Lo stato nazionale, lo stato unitario, nacque laico.Nel 1913 nacque il patto Gentiloni. I partiti succedutisi preferiranno sempre la politica con forti resistenze al vero cambiamento, al progresso sociale e culturale delle masse popolari e forte sudditanza alla chiesa cattolica la quale, con la politica di quei partiti e di quelli con cui fecero comunella, mai ebbe difficoltà nell’infantilizzare il popolo, come ebbe a dire, se non ricordo male, Federico Fellini. Al patto Gentiloni seguirono prima i patti lateranensi o concordato tra stato e chiesa, 1922, con i quali il fascismo fece dei temi del patto Gentiloni la politica sostanziale del suo governo rendendo lo stato e la nazione succubi della volontà della chiesa e successivamente, nel 1948, l’inserimento nella costituzione repubblicana, e questo dobbiamo al PCI, dell’articolo 7 che riconosce valore ufficiale a quel concordato. Tradendo la resistenza!Nella continuità, allora, si spiega bene come mai il parlamento della cosiddetta repubblica democratica abbia dato recentemente stabile valore all’inno di Mameli riconoscendolo in modo ufficiale quale inno della nazione: pur essendo, quell’inno, incomprensibile ai più, fortemente retorico, di evidente retorica fascista, di un fascismo ante litteram e lo hanno fatto pur con la storica esperienza alle spalle di venti anni di ipertrofica retorica fascista della romanità e di schiavitù alla chiesa di Roma, un inno che ha un vuoto ed ipocrita richiamo ad eroi presunti mentre gli eroi veri li abbiamo trascurati quando erano vivi e sovvengono Pasolini e Sciascia, un inno che contiene la ipocrisia della dedizione alla morte per la patria, un inno per nulla laico ed evidentemente confessionale, scelto per ratificare la condizione di sudditanza che stato e nazione vivono nei confronti della chiesa cattolica storica alleata di ogni regime fascista, un inno scritto da un giovane studente esaltato e ventenne. Insomma, il solito trito e ritrito e desolante e triste idealismo!La conseguenza è, come scrisse P. P. Pasolini, che: “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”.È fatta salva, così, “la nostra tradizione al culto e alle celebrazioni delle apparenze, per l’imperativo di salvarle anche nella decomposizione della sostanza!” È fatto salvo, così, il nostro fascismo tuttora imperante come farsa nell’animo degli italiani educati a opportunismo, qualunquismo, esteriorità, furberia e come tragedia nella politica del paese che quella farsa alimenta. Cosicché ogni necessario e possibile e civile dibattito si abbassa a banale battibecco tra fans di partiti e non facciamo i conti con la nostra storia: motivo per cui mai siamo stati nazione, né popolo.Quelle cose succedono se l’opinione pubblica le accetta; ma sono i giornali che orientano l’opinione pubblica. Allo stesso modo un regime volgare o corrotto o infame si salva solo se la stampa lo consente…e la stampa lo consentì allora come lo consente oggi. In tal modo, come ieri non aveva notizie della realtà, il lettore, anche il più assiduo, oggi non può della realtà effettiva avere sentore se non quando la tocca con mano, se non quando qualcosa accade sotto i suoi occhi, qualcosa di grave, di tragico e se ne cerca notizia o non la trova perché censurata o la trova “impudicamente imposturata”. Manlio Padovan P.S. In effetti a me pare che l'Italia esista e pure gli italiani; ma non sono quelli che dovrebbero essere. Credo a motivo di una classe dirigente sempre di molto inferiore alle aspettative e al popolo.

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