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“PIANO B”: LORO SÌ E NOI NO? di Piemme

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[ 27 giugno 2018]

E’ il segreto di Pulcinella che nei paesi che costituiscono, assieme alla Germania, il “nucleo duro” dell’eurozona (come del resto nei piani alti della Bce), sono molto avanti nella discussione del “Piano B” in caso di sfaldamento o collasso della moneta unica.

Qui da noi invece no, discuterne è proibito. Si deve credere a quanto affermò Draghi nel maggio 2015, al dogma fasullo della “irreversibilità dell’Euro”. Ricordate? Egli si appellò al fatto che “i trattati non lo prevedono”. Un pretesto buffo assai, non solo in base all regola della Lex Monetae, ma all’elementare quanto fondamentale principio più generale inscritto nello stesso diritto internazionale per cui ogni nazione che abbia stipulato un trattato può recedere ove consideri che esso leda gli interessi e la stessa sovranità statuale.

Tuttavia niente, in Italia, anche solo il nominare un “Piano B” è un tabù assoluto.
Ricorderete quando Di Maio e Salvini scelsero il pur sempre liberal-mercatista ma euroscettico Paolo Savona come ministro dell’economia. Si scatenò un putiferio e la manina “invisibile” dei mercati calò immediatamente la mannaia dello spread. Tant’è che Mattarella la spuntò ottenendo che al suo posto salissse Tria-senza-né-arte-né-parte, il servizievole.

Che in Italia non si possa aprire un dibattito pubblico sul che fare se l’euro viene giù è il simbolo più chiaro che siamo un Paese a sovranità limitata, una provincia di un impero a due teste —come quando c’erano Roma e Bisanzio. E che la “nostra” élite vieti ogni violazione del tabù indica fino a che punto essa è consapevole che il suo destino è legato a quello della moneta unica. Una dipartita inevitabile.

In camera caritatis, tuttavia, la “nostra” élite sa bene come stanno le cose. Afferma ad esempio Carlo Bastasin su IL SOLE 24 ORE del 31 maggio, mentre stava per nascere il governo giallo-verde, confessa:

«Nei mesi passati, ambienti della cancelleria avevano cercato di valutare che cosa sarebbe successo in Italia in caso di deriva anti-europea. Alcuni scenari erano stati elaborati considerando la possibile scelta di alcuni Paesi di uscire dall’euro. Un’eventualità che avrebbe ricondotto l’euro alla struttura originaria della strategia tedesca per l’unione monetaria, il famoso schema Schàuble-Lamers del 1994 sul nocciolo duro, da cui l’Italia era esclusa, circondato da un gruppo di Paesi non partecipanti. Questi scenari non vengono oggi presi in considerazione, anche se testimoniano una riflessione in corso sul futuro dell’euro area e sull’idea, cara agli economisti tedeschi, di disporre di un meccanismo di uscita “ordinata” dalla moneta unica».

Detto altrimenti a Berlino non solo hanno nel cassetto un “Piano B”, ma ne hanno elaborate diverse varianti. Davanti alla recalcitrante e temibile Italia, ovvero alla vittoria dei “populisti”, Bastasin ci rinfresca la memoria e, contorcendosi, ci ricorda che la Germania pur “non prendendo in considerazione” l’ipotesi di una italexit… ci sta riflettendo su. 

E’ l’ipotesi della cosiddetta “uscita ordinata” o concordata. La qual cosa, ne siamo sicuri, non sfugge alle migliori teste del nuovo governo. Solo che questa “riflessione”, diversamente che in Germania, si svolge nelle segrete stanze romane e milanesi e non diventa dibattito pubblico. Penso si possa affermare qualcosa di più preciso: dietro alle chiacchiere di circostanza che Conte, Tria e compagnia cantando, fanno un giorno sì e l’altro pure, sul fatto che l’Italia resterà nell’euro, si può stare certi che essi, spaventati all’idea di uno smottamento non pilotato della moneta unica, si aggrappano alla possibilità di trovare un accordo con Berlino e Parigi per uno smantellamento concordato.

Che ciò sia possibile, che quella di un divorzio consensuale con tanto di divisione dei beni non sia una pia illusione, ce lo dirà il futuro. Un futuro, vedrete, non così lontano.

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