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PAOLO SAVONA HA RAGIONE di Stefano Fassina

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[ 21 settembre 2018]

Alcuni lettori che condividono con noi una posizione di appoggio critico e condizionato al governo giallo-verde, ci hanno espresso inquietudine se non vero e proprio sconcerto per il documento — Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa — che Paolo Savona, nella sua veste di Ministro per gli Affari Europei, ha inviato alla Commissione europea di Bruxelles. Essi ci segnalano, in particolare il suo incipit:

«L’Europa unita trova il suo fondamento nel principio affermatosi nella convivenza civile tra i popoli che se si muovono le merci non si muovono le armi. L’esperienza dell’abbattimento delle barriere doganali vissuta dal Trattato di Roma in poi è stata altamente positiva per la pace e il benessere delle popolazioni europee. Il Governo italiano riconosce che il mercato comune, di cui l’euro è parte indispensabile, è componente essenziale del suo modello di sviluppo, ma ritiene che l’assetto istituzionale dell’Unione Europea e le politiche seguite non corrispondano pienamente agli scopi concordati nei Trattati». 

Non ci era ovviamente sfuggito il documento di Savona, come non siamo stupiti per la sua sostanza, che riarticola, ad un livello alto, le sue già note e veraci idee riguardo all’Unione europea. Si tratta di quello che potremmo chiamare “PIANO A” per una riforma di vago sapore keynesiano dell’Unione europea. Che esso esprima o no le opinioni di Di Maio e Salvini non ci è chiaro. Sappiamo che il Comitato centrale di Programma 101 darà presto un giudizio articolato del documento di Savona. 

Tre cose (e poi una quarta) possiamo subito dire del  Piano Savona. (1) di sicuro non va nella direzione proposta dalla Commissione europea il 6 dicembre scorso — Commission sets out roadmap for deepening Europe’s Economic and Monetary Union; (2) è certamente più radicale di quello del gennaio scorso avanzato da un autorevole gruppo di economisti francesi e tedeschi — Reconciling risk sharing with market discipline: A constructive approach to euro area reform; (3) esso va nella direzione opposta di quanto han proposto a maggio 154 autorevoli economisti tedeschi.

La quarta cosa è questa: noi continuiamo a considerare una distopia la riforma dell’Unione europea. Ove per distopia intendiamo due cose assieme: impossibile e, ove lo fosse davvero, non auspicabile. 

Il compagno Stefano Fassina la pensa diversamente. E qui sotto spiega come e perché.
*  *  *
NELL’INTERESSE DEL’ITALIA
sostegno trasversale al Progetto Savona
di Stefano Fassina

Nei giorni scorsi, il ministro per gli Affari europei Paolo Savona ha inviato ai governi dell’Unione e alla Commissione europea un progetto già dal titolo opportunamente ambizioso: «Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa“. Il riferimento, come indicato nella premessa, a “una politeia, invece della consueta governance, esprime una politica per il raggiungimento del bene comune, mentre la seconda — mutuata dalle discipline di management — indica le regole di gestione delle risorse».

Il progetto di Savona è un testo politico, nonostante il rigore tecnico da tempo inusuale nel discorso pubblico. È un’operazione del governo italiano in netta discontinuità con il passato. Anzi, è la prima volta che viene ufficialmente proposta da un governo dell’Unione una discussione sui “difetti” di impianto dei Trattati europei e delle istituzioni dell’eurozona, cause delle insostenibili divergenze economiche, non soltanto tra Paesi membri, ma tra territori e tra interessi sociali.

È anche la prima volta, a parte il precedente del governo Tsipras-Varoufakis, che un governo dell’Unione evidenzia ufficialmente che il problema prioritario della tenuta della moneta unica e dell’Unione è la sistematica, strutturale carenza di domanda aggregata: soffocata da politiche fiscali, per rigido disegno, pro-cicliche, in coerenza con il mercantilismo estremo diffuso dall’epicentro tedesco e olandese al resto della “comunità” (causa primaria della risposta protezionista della presidenza Trump).

È anche la prima volta che un governo dell’eurozona propone ufficialmente la revisione dello statuto della Bce al fine di consentire all’istituto di Francoforte di fare il prestatore di ultima istanza, quando necessario (ossia acquistare direttamente titoli di debito pubblico).

In alternativa alla autolesionistica agenda liberista dominante, sulla base della fondata analisi richiamata, il documento Savona propone una rotta keynesiana per la crescita e la riduzione del debito pubblico attraverso il rilancio degli investimenti pubblici e un obiettivo di “deficit dinamico”. Non è esplicitato nel testo e il ministro non ne ha mai neanche accennato, ma il documento italiano inviato a Bruxelles da Paolo Savona “dialoga” con la Dichiarazione di Meseberg, sottoscritta dalla Cancelliera Merkel e dal Presidente Macron a metà giugno scorso con l’obiettivo, poi giustamente bloccato dal governo italiano e dai governi degli altri “Piigs”, di introdurne i punti principali nel documento finale del vertice dei Capi di Stato e di governo del 28-29 giugno scorso.

A Meseberg, i campioni di europeismo hanno codificato il “Modello Grecia” e definito per i Paesi ad alto debito pubblico “soluzioni” di ristrutturazione sotto pesanti conditionality e totale espropriazione di spazi di decisione democratica tramite un Fondo Monetario Europeo dominato dai Paesi “core”. L’arresto dell’offensiva franco-tedesca è temporaneo. Torneranno alla carica.

L’iniziativa del ministro Savona, a nome del governo italiano, l’avrebbe dovuta fare, come avevamo suggerito su questo blog a maggio e luglio 2014, il governo Renzi forte, a maggio di quattro anni fa, del 40,8% dei voti raccolti alle elezioni europee e dotato della Presidenza dell’Unione dal 1 luglio 2014. Invece, per inconsapevolezza o ossessione elettorale, il neo-nato governo negoziò un po’ di flessibilità di deficit per la politica dei bonus e le costose e inutili misure supply side del Jobs Act.
Come allora, un’iniziativa necessaria rischia di essere sprecata anche ora, dove a Roma siede un governo con una significativa maggioranza parlamentare e un largo consenso popolare. In sostituzione di pirotecniche, scomposte e inutili reazioni (come il “ricatto” con sequestro di persone sulla nave Diciotti) all’ottusa chiusura nazionalistica dei partner dell’Unione e alle inaccettabili valutazioni politiche di spompati Commissari, il documento definito dal Ministro Savona dovrebbe essere la trama dell’offensiva dei nostri battaglieri Vice-Premier a Bruxelles.


Dovrebbero proporla, loro per primi, a tutte le forze politiche presenti in Parlamento e a tutte le rappresentanze economiche e sociali. I partiti di opposizione dovrebbero raccoglierla, invece di confidare nel “Generale Spread” e nelle contraddizioni imposte alla maggioranza duale dai vincoli della prossima Legge di Bilancio.

Sarebbe un messaggio di straordinaria lungimiranza politica, di adeguatezza delle classi dirigenti italiane, un’atto parlamentare, approvato all’unanimità, di sostegno alla proposta del governo italiano elaborata dal ministro Savona. L’occasione utile per discuterla e votarla è il passaggio parlamentare, tra un paio di settimane, della risoluzione di approvazione della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza [DEF]. È interesse dell’Italia, non della Lega o del M5S. Sarebbe utile anche per una “Finanziaria” meno elettorale. Va cambiato spartito. Proviamoci.


Un pensiero su “PAOLO SAVONA HA RAGIONE di Stefano Fassina”

  1. Alberto Capece Minutolo dice:

    Non sono affatto d'accordo con quanto dice Fassina e cioè che il documento di Paolo Savona rappresenti una discontinuità col passato. E' vero che in qualche modo mette il dito sulla piaga, ovvero sui difetti dei trattati europei, ma alla fine dice anche che l'euro è indispensabile e parte essenziale del modello di sviluppo italiano. Ora se c'è qualcosa che ha distrutto il Paese e cancellato il suo modello di sviluppo trasformandolo in nodello di involuzione e declino è proprio l'euro. Questo è solare e corrisponde del resto al parere della gran parte degli economisti. Quindi siamo di nuovo di fronte a personaggi collegati alla finanza internazionale, a leader politici che ha gia gettato la spugna e a una sinistra che è sempre in crisi di astinenza da Europa e che dovrebbe andare dagli europeisti anonimi per superare la crisi. Il fatto è che se queste cose le avessero dette Monti, Letta, Renzi, Mattarella, sarebbe normale, se le dice il ministro di un governo che si è presentato eurocritico è decisamente molto peggio.

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