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LEGGE DI BILANCIO E INTERESSE NAZIONALE di Stefano Fassina

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[ 25 ottobre 2018 ]

Berlino 16 ottobre.
Nella foto Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre con  Sarha Wagenknecht e Fabio De Masi di Aufstehen! (In piedi!)


La lettera della Commissione europea consegnata ieri da Pierre Moscovici al Ministro
Tria è un atto dovuto. Stavolta almeno, a differenza del 2011 con la famosa missiva
della Bce, le procedure formali sono rispettate. Sarebbe interessante sapere dal
Commissario Moscovici quando recapiterà analoga lettera al Ministro Scholz per
segnalare a Berlino la continua, gravissima, infrazione del limite di saldo commerciale
fissato dal Six Pack. È falso sostenere, come ha appena fatto a Agorà il loquace
Commissario, che non rientra nel suo mandato. Il saldo della bilancia commerciale è più
rilevante del saldo di bilancio pubblico. 


Una ripetuta, enorme violazione delle regole da parte della Germania genera gravissimi danni collaterali per gli altri Paesi dell’eurozona, costretti a svalutazione del lavoro, contenimento della domanda interna e conseguenti effetti deflativi sul Pil reale e nominale e inevitabili rigonfiamenti del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno. A Bruxelles, a Berlino, a Francoforte, in coro con chi in Italia prospera nelle esportazioni e nella finanza, continuano a far finta che il problema siamo soltanto noi, sempre poco responsabili a bere l’amara medicina. Il problema, invece, è proprio la medicina mercantilista Made in Germany: aggrava la malattia, sia nel vecchio continente, sia nelle relazioni con il nostro principale alleato, gli Stati Uniti, legittimato a misure difensive come i dazi (estremismo mercantilista e protezionismo sono le due facce della stessa medaglia). 

Insomma, sarebbe ora di riconoscere l’insostenibilità sistemica del mercato unico e dell’euro, come coraggiosamente indicato nel documento del Ministro Savona (“Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”), assunto, senza adeguata comprensione e impegno, dal Governo Conte e dalla maggioranza.
Per affrontare lo strappo “senza precedenti” del programma di finanza pubblica italiano,
sarebbe necessaria una preliminare valutazione di quadro e l’avvio di una radicale
correzione di rotta della politica economica europea. Anche ai partiti della “grande”
coalizione a Berlino, in inarrestabile emorragia di consenso, sarebbe utile innalzare i loro
investimenti pubblici e le retribuzioni di larga parte delle loro lavoratrici e lavoratori, in
particolare nel settore dei servizi a basso valore aggiunto: un aumento della loro
domanda interna per ridurre la loro sofferenza economica e sociale e invertire il segno
del loro contributo alla crescita dell’eurozona (da fattore negativo a positivo). Invece,
nulla. Spalleggiati da una miope opposizione politica nostrana, asserragliata a difesa dei
più forti, i dominus tedeschi alla guida degli interessi transnazionali imperniati su export
e grande finanza insistono a presentare l’Italia, dopo la Grecia, come patologia
particolare e ritentano, come nel 2011, la strada della compressione della sovranità
democratica nazionale. I risultati economici e politici generati da quella imposizione sono
stati disastrosi (impennata del debito pubblico e rigonfiamento della destra nazionalista e
del Movimento anti-sistema), ma l’obiettivo politico ultimo raggiunto: non c’è alternativa.

Quindi, riprovano.
Ma il governo italiano ha gravi responsabilità. L’innalzamento degli obiettivi di deficit di
finanza pubblica per il prossimo triennio era necessario. Va confermato. Ai nostri
“europeisti”, va spiegato che seguire un quadro di bilancio coerente con il Fiscal
Compact sarebbe stato autolesionistico. Tentare di realizzare il “pareggio” avrebbe
aggravato le condizioni della nostra economia reale e del lavoro e determinato un
aumento del debito pubblico. Tuttavia, riconoscere il profilo della Nota di Aggiornamento
al Def come condizione necessaria non implica “tema libero” per la scrittura della Legge
di Bilancio. Affinché la condizione necessaria produca effetti positivi, la forzatura
compiuta va accompagnata da misure adeguate in termini di effetti economici e sociali e
di finanza pubblica. Per attenuare la spirale distruttiva tra inevitabile bocciatura della

Commissione e dei governi europei (“amici” di Visegrad inclusi), comportamento delle
agenzie di rating e disinvestimenti da parte degli operatori finanziari, la manovra deve
concentrare l’extra-deficit sugli investimenti pubblici in piccole opere e definire un ordine di priorità per gli interventi di contrasto alla povertà e inserimento al lavoro e di
allentamento delle regole per il pensionamento. L’ossessione elettorale deve essere
ridimensionata. L’attuazione delle “promesse” va collocata nell’orizzonte della
legislatura. Proposte indecenti sul piano della giustizia sociale e dannose sul versante
economico e di finanza pubblica, come il condono fiscale e penale previsto attraverso la
“dichiarazione integrativa speciale”, vanno eliminate. In tale contesto, invece di dare
sponda alla miopia dell’opposizione, va costruito un dialogo, innanzitutto con le forze
sociali dalla parte del lavoro, in nome dell’interesse nazionale e di un minimo di
sovranità costituzionale. Va anche cercato un sostegno dei governi Ue interessati al
cambio di regime economico: Spagna, Portogallo, Grecia, anche Francia, nonostante
l’autolesionistica subalternità di Parigi alla Germania.


“La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”, scriveva un uomo saggio di
Treviri nato 200 anni fa. Perseguire un obiettivo giusto in modo sbagliato porta al
naufragio, non soltanto il Governo M5S-Lega, ma l’Italia, in primis i suoi settori più fragili,
e seppellisce la praticabilità di un’alternativa progressiva al dominante assetto di
svalutazione del lavoro e della democrazia.

2 pensieri su “LEGGE DI BILANCIO E INTERESSE NAZIONALE di Stefano Fassina”

  1. Anonimo dice:

    Fassina parli anche tu il politicAmenta corretto. Come si fa a chiedere la cooperazione della Francia di Macron? Come si fa ad opporsi al condono fiscale? Ma hai cognizione di come versano milioni di piccoli produttori commercianti artigiani prossimi al fallimento?

  2. Anonimo dice:

    L'analisi è corretta. Il limite, non per me, è quello di criticare la piegatura populista e elettoralista della manovra. Ma questo, essendo un sito di sinistra, non credo possa veder prevalere commenti a difesa dei furbetti del lavoro autonomo che le tasse su cui si regge lo stato vorrebbero che le pagassero solo i salariati dalla busta paga. Chi lucra sulla crisi sono gli stessi che dovrebbero essere favoriti dal condono e magari, alcuni di questi, sconosciuti al fisco, pregustano anche di poter arraffare il reddito di cittadinanza. La giustizia sociale si sposa sempre con la giustizia fiscale. Sarebbe ora che a sinistra si cominciasse a chiedere il rispetto della costituzione laddove si afferma che il prelievo fiscale debba crescere per i redditi più alti e non appiattirsi o, addirittura calare, facendo prevalere un truffaldino concetto di meritocrazia al posto di quello costituzionale di equità sociale.

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