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CON I FORCONI FRANCESI

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[ 19 novembre 2018 ]

La Francia è scossa dalla protesta dei “Gilet gialli”, a cui questa redazione rivolge la propria solidarietà.
Un movimento spontaneo, cioè sorto dall’iniziativa — petizione on line — di centinaia di cittadini “senza partito” per cancellare il rialzo dei prezzi dei carburanti. Con generale sorpresa il movimento si è subito allargato a macchia d’olio (2mila azioni e blocchi sabato scorso!), con roccaforti, non è un caso, nelle zone economicamente depresse — anche la Francia ha il suo Mezzogiorno.

In parallelo all’estensione geografica il movimento ha radicalizzato la sua protesta, diventando squisitamente politica e anti-sistema: contro il governo, contro Macron, contro la globalizzazione.

All’ultimo momento anche le forze politiche populiste, di destra e sinistra, l’ex Fronte Nazionale della Le Pen e La France Insoumise di Mélenchon, hanno tentato di mettere il cappello. Il primo ministro Edouard Phlippe ha affermato che il governo non farà marcia indietro, nella speranza che la protesta si sgonfi, come accaduto con i “berretti rossi” nel gennaio 2013 , e “nuit debout” nell’aprile 2016.

Vedremo.

Nel frattempo i media di regime francesi (ed a ruota quelli europei) hanno lanciato (come poteva essere diversamente?) una campagna di sputtanamento. Così vengono ingigantiti alcuni incidenti accaduti nei blocchi: l’insulto ad una, dicasi una!, automobilista di colore, oppure il caso di una donna costretta a togliersi il velo, ed infine (poteva mancare?) il “sessismo” — insulti a Macron considerato gay. Dulcis in fundo, l’accusa al movimento di essere retrogrado perché antiecologico.

Che nel fiume in piena del movimento popolare di protesta confluiscano i mille rivoli del disagio sociale, quindi, se non proprio rivendicazioni, anche sentimenti e atteggiamenti sbagliati e reazionari, è fisiologico, tanto più dopo decenni di lobotomizzazione delle menti, di annientamento della coscienza socialista, di culto dell’individualismo qualunquista e antipolitico.

Un fenomeno simile a quello dei “gilet gialli” lo avemmo in Italia col “Movimento 9 dicembre” del 2013. Anche allora la protesta nacque pressoché spontaneamente sulla spinta di quello siciliano dei “Forconi” del gennaio 2012, di cui adottò la modalità di lotta dei blocchi stradali. E anche allora, come per i “gilet gialli” nel fiume della protesta confluirono tanti rivoli, alcuni anche contaminati. Allora non solo la sinistra politicamente corretta (leggi liberista) si scagliò contro la protesta satanizzandola, ma pure la gran parte di quella radicale e antagonista. Era quello il segnale del suicidio delle sinistre, sempre più arroccate nei loro fortilizi identitari e sempre più distanti dalla realtà.

Un errore clamoroso che La France Insoumise per fortuna non ha fatto..

2 pensieri su “CON I FORCONI FRANCESI”

  1. Vincenzo Cucinotta dice:

    Questo è il testo del mio post apparso sulla mia pagina fb: "Gli aumenti della tassazione sui combustibili per autotrazione in Francia e le conseguenti proteste dei "gilet gialli"costituisce l'ennesima occasione per il movimento ambientalista per diventare adulto, uscendo dai limiti angusti che si è finora dato, tutto preso in sostanza nell'impresa di scavarsi una propria nicchia dove sopravvivere, mentre le scelte fondamentali avvengono nel turbine tempestoso della vera politica.Per una corrente di pensiero che sostiene l'urgenza di intervenire subito, ora, e non domani, perchè la catastrofe ci attende già dietro l'angolo, è davvero paradossale questa sorta di gioco di rimessa che gli ambientalisti hanno finora praticato, lasciare l'iniziativa all'avversario che tra l'altro non è mai stato chiaramente individuato, contentandosi di potere rivendicare il proprio inutile stare dalla parte della ragione, e trastullandosi nel frattempo sfornando tabelline e grafici di dubbia affidabilità, ma in ogni caso rassicuranti in quanto ci confermano nelle nostre opinioni.Io sostengo appunto che la vicenda dei gilet gialli è emblematica di questo impasse mortale in cui si è andato a rinchiudere l'ambientalismo.Perchè la gente in Francia è scesa in piazza senza disdegnare di scontrarsi anche con le forze di polizia? Perchè si tratta di persone che non hanno alternativa, per andare a lavorare devono necessariamente servirsi del proprio mezzo individuale e non hanno i mezzi finanziari per acquistare un mezzo meno inquinante. In tali condizioni, un aumento puro e semplice del prezzo della benzina si traduce immediatamente in un aggravio di costi in quanto l'azione di disincentivazione non funziona, qualunque altra soluzione sarebbe ancora più gravosa, in tanti casi proprio impossibile.Leggevo che si tratta di gente che abita nei dintorni della grande città, anche a distanze abbastanza ragguardevoli, in pieno ambito agreste, essendo stata espulsa dalle grandi città per i costi crescenti delle abitazioni. Certamente, ci sarà un'ampia tipologia e quindi situazioni molto differenziate, ma tra queste vi è certamente una componente di spostamento quasi forzato per potere fronteggiare costi costanti con introiti sempre più modesti dovuti a una forte deflazione salariale scatenata dalla criminale politica economica UE."(continua…)

  2. Vincenzo Cucinotta dice:

    Continua da…)Questo è appunto ciò che avviene in una economia di mercato, il singolo soggetto si adatta alle situazioni date, ma così diventa vittima di qualsiasi cambiamento comunque generatosi, che sia nel frattempo intervenuto. L'economia di mercato si basa appunto secondo un modello ideologico liberale sull'esistenza di individui liberi e razionali in grado di operare così le scelte ottimali nel contesto dato. E' quanto sta avvenendo, Macron fa gli interessi dell'industria automobilistica che tenta disperatamente di rilanciarsi con l'auto elettrica, la gente al momento reagisce opponendosi al provvedimento, dopo si adatterà sottraendo le tasse frutto dell'aumento dal proprio standard di vita. La soluzione più ovvia, un piano di mobilità collettiva che faccia fronte a queste esigenze, non può essere contemplabile in un'economia di mercato almeno fino a quando non ci saranno operatori economici che vogliano farne oggetto del loro business, magari quando quella soluzione si rivelerà già fuori tempo. Ognuno certo si adatta a sopravvivere come può, ma il risultato sarà che chi è più povero ne soffrirà le conseguenze e i più ricchi faranno soldi proprio sui sacrifici economici dei più poveri cavalcando il nuovo business.Dovrebbe quindi per tutti gli ambientalisti essere evidente di quanto sia inadeguata la parola d'ordine della decrescita più o meno infelice.Noi non abbiamo bisogno di crescere o decrescere, dovremmo tutti convenire che abbiamo bisogno di entrare nel merito delle singole scelte di politica economia, non di quanto produrre ma di cosa produrre e cosa smettere di produrre, cioè dovremmo svolgere dei ragionamenti un tantino più articolati. Lo stesso del resto vale anche in termini demografici, non ha senso volere imporre uno stop improvviso a nuove nascite, dobbiamo nazione per nazione vedere se l'attuale popolazione è sostenibile e secondo quale stile di vita e ad esempio programmare la crescita nulla, o se troviamo troppo gravoso ridurre abbastanza il costo in termini di risorse dell'attuale popolazione proporre una lieve crescita negativa perchè frenare bruscamente sarebbe letale per la nostra società, una popolazione di anziani non potrebbe sopravvivere. Ciò si potrebbe fare senza isterismi, scontando il fatto che ogni nascita in più porta a una maggiore riduzione di consumi individuali di risorse naturali.Alla fine, mi pare di potere concludere che in assenza di una capacità di esprimersi sui gangli sociali fondamentali, così come sulla capacità di operare delle scelte anche di schieramento, ed in particolare questo ritrarsi rispetto al modello economico da abbracciare, questo rifiutare di abbracciare il modello di un'economia pianificata, agli ambientalisti non rimane che la solita pratica predicatoria delle decrescita dei consumi e della decrescita della popolazione, senza uno straccio di ipotesi strategica su come pervenirvi."

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