CONCEZIONE NON IMMACOLATA di Moreno Pasquinelli
[ 9 dicembre 2018 ]
Ieri, davanti ad una Piazza del Popolo stracolma (a confermare plasticamente quanto dicono i sondaggi), Matteo Salvini, nei panni del sommo sacerdote, ha officiato la cerimonia battesimale con cui ha consacrato l’avvenuta nascita della Post-Lega, santa, apostolica e romana.
La distanza dagli anni del secessionismo e dei riti celtico-pagani, è siderale. E di acqua, sotto i ponti, ne è passata anche dal 2015, quando la Lega era al 4% e dallo stesso palco e nella stessa piazza venne messo in scena l’improvvisato sodalizio (Sovranità) con Casa Pound.
Col suo comizio Salvini ha tratteggiato non solo l’aspetto della sua metamorfica Lega, ha svelato quale sarà la sua natura. Non ha citato a caso, e più volte, “San Giovanni Paolo II”, quindi Alcide De Gasperi e Martin Luther King. Quel che ha in mente, “Buon Dio volendo”, pare essere una destra nazional-popolare ancorata alla santissima Trinità: Dio, Patria e Famiglia. Non tuttavia, come alcuni analisti dicono scambiando i loro auspici con la realtà, una “Democrazia Cristiana 2.0”. In quella Dc palpitava un’anima popolarista (non populista si badi!) e progressista che diventerà egemone dopo il Concilio Vaticano Secondo. La Lega salviniana invece, e non a caso è antibergogliana, politicizza correnti spirituali anticonciliari per loro natura conservatrici e tradizionaliste.
“Ti adoro ma non ti venero”, disse il patriarca di Bisanzio all’imperatore. Piazza del Popolo, in un feedback a tratti commovente, ha incoronato Salvini, se non come messia, come profeta, considerandolo dunque come degno di venerazione. Cercata o non cercata, l’allusione di ieri al martirio — “Sono pronto a dare la vita per il Paese” —, è stata come un’auto-santificazione.
Che questa celebrazione sia avvenuta nel giorno dell’Immacolata Concezione è forse solo una fortuita coincidenza. Non fosse che il Salvini, contrariamente a Maria, di peccati ne ha molti alle spalle, compreso quello originale, che gli fu tramandato da una madre un po’ puttana, la Lega di Bossi. Ma il popolo, tanto più se cattolico di fede, è di manica larga e molte colpe perdona.
La Lega, come ebbe a dire Maroni, segue il rito ambrosiano, e Salvini è un milanese. E da Milano sono spesso sorte le onde destinate a scuotere l’Italia. Ora Salvini, prima Bossi e prima ancora il fascismo mussoliniano. Io penso addirittura, mutatis mutandis, all’eresia dei patarini dell’XI secolo. Tutto ciò che è partito da Milano diretto a Roma è finito inghiottito dalla cloaca curiale, fornendole addirittura nuovi papi.
Che proprio dalla pancia del separatismo padano sia venuto fuori il “partito della nazione” potrebbe sembrare l’ennesimo paradosso italiano, ma non lo è. “Tutto ciò che è reale è razionale” disse il grande filosofo; per dire che Salvini ha compreso, non senza aver compiuto diversi zig zag, che si poteva e doveva dare sostanza e forma alla profonda spinta sociale “nazional-popolare”, occupando quindi uno spazio largo che sinistra e destra di regime, acciecati dall’élitismo mondialista e cosmopolitico, avevano lasciato completamente vuoto.
Il populismo, tanto più nella cornice della democrazia rappresentativa, è spesso una via di fuga, uno stratagemma dell’élite dominante per conservare un consenso che altrimenti diventerebbe anti-sistemica. Da Berlusconi a Renzi noi italiani ne sappiamo qualcosa, come gli americani con Trump o i francesi con Macron. Il populismo di Salvini, invece, non è un trucco dell’élite né è antisistema. Egli non viene dai circoli esclusivi del clero intellettuale, né è stato costruito nei laboratori patrizi dell’alta borghesia. Il suo populismo è potente in quanto non è solo di matrice plebea ma fieramente antintellettuale — di qui la sua capacità di stabilire una diretta connessione emotiva con le masse e di suscitare devozione soprattutto tra i ceti massacrati dalla crisi e dalla globalizzazione —; ma esso populismo è tanto plebeo quanto conservatore — un conservatorismo tranquillo, riformistico, con dosi di eversivismo pari a zero. Sintomatico quanto ha affermato sul sommovimento dei Gilet Gialli in Francia: “Noi siamo qui per evitare che in Italia accada la stessa cosa… Capisco le ragioni dei francesi ma usare la violenza contro la polizia è inaccettabile… ha ragione la Le Pen, dissociandosi dai rivoltosi, a difendere le istituzioni della Quinta Repubblica”.
Un populismo che la “società liquida” alimenta la sua fisica solidità, destinato dunque a durare. La sinistra, le sinistre anzi, hanno una responsabilità enorme per la sua avanzata. Avendo disprezzato come reazionario il sentimento patriottico e identitario, avendo rifiutato di interpretarlo consegnandolo gratis a Salvini, si sono scavate la fossa. Non resta loro, come al cigno della fiaba, che intonare l’ultimo lugubre canto, accompagnando a miglior vita l’élite mondialista.
Se una sinistra rinascerà in tempi politici, ammesso che non sia troppo tardi, essa potrà riuscirci solo ponendosi sì come avversario del salvinismo ma ficcandosi nel campo populista, come sua terza forza (visto che c’è anche il Movimento 5 Stelle), al contempo patriottica e socialista. Un varco stretto e rischioso, ma l’unico che ci sia.
Una sinistra rinascerà comprendendo davvero la lezione di Antonio Gramsci il quale, memore della lezione fascista, sostenne che non soltanto quello nazionale era il decisivo terreno della “riforma intellettuale e morale” di cui l’Italia aveva bisogno (quindi per l’affermarsi egemonico del socialismo); sostenne la necessità di costituire un “blocco nazionale-popolare” (il “popolo-nazione”). In questo senso egli comprese che non si poteva disprezzare il nazionalismo, che bisognava invece contaminarlo, proponendo il “patriottismo” come “elemento egemonico etico-politico”, che si misurasse con la sfida del potere statale e perciò fosse, cito ancora, “una vera e propria religione popolare”.
Non so se ce la faremo poiché, sempre come disse il rivoluzionario sardo, “la storia insegna ma non ha scolari”.