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NO ALLA FUSIONE DEI COMUNI – Comunicato n. 15 di P101

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[ 3 dicembre 2018 ]
 

No alla “fusione” dei Comuni

Comunicato n. 15 del Comitato centrale di P101

Laddove è presente, Programma 101 si è sempre schierato contro la fusione dei Comuni, uno dei tanti modi messi in campo dalle èlite per cancellare storia, diritti e democrazia per i cittadini che vivono nei comuni più piccoli, in genere nelle aree interne e di montagna. Un processo fortemente accelerato dopo gli incentivi voluti dal governo Monti.

Negli ultimi tempi i referendum per la fusione hanno visto sempre più spesso la vittoria del no. Nei mesi di ottobre e novembre questa ondata di rifiuto si è decisamente rafforzata, vincendo la grande maggioranza delle consultazioni che si sono tenute in Toscana, Emilia Romagna e Piemonte. Il segnale politico è stato talmente chiaro che se ne è accorta per la prima volta anche la “grande” stampa nazionale.

Dopo questi netti successi del no, è ora il momento di fermare del tutto la foga fusionista degli ultimi anni. Nuovi referendum sono infatti in programma in diverse regioni, tra queste il Veneto dove il prossimo 16 dicembre andranno al voto ben 26 comuni.

Al pari delle privatizzazioni, l’unificazione dei comuni viene presentata come un atto di modernizzazione. I comuni sarebbero troppi, spesso troppo piccoli, dunque inefficienti se non addirittura inutili. Ma la realtà è assai diversa: i comuni italiani sono 7.954, contro gli oltre 12mila della Germania per non parlare dei 36mila della Francia! Dunque non è il numero il problema, bensì la logica, del tutto interna ai principi liberisti, che mira a negare la polis, per ridurre la politica alla governance, cioè alla mera amministrazione dell’esistente, con la crescente trasformazione dei cittadini in sudditi privi di ogni diritto.

Il meccanismo col quale si è arrivati al taglio dei Comuni è assai banale. Prima si sono tagliati drasticamente i trasferimenti dello Stato agli enti locali, colpendo particolarmente le comunità più piccole; poi si è detto a queste popolazioni che l’unica soluzione alla totale assenza di fondi sarebbero state le fusioni. I sostenitori del sì nei tanti referendum di questi anni hanno avuto in effetti un unico argomento, quello degli incentivi statali, talvolta incrementati da quelli regionali. Ogni altro aspetto, riguardante la storia, le tradizioni, la struttura economica, i criteri organizzativi, geografici e territoriali è stato sacrificato alla scelta di puntare su incentivi peraltro solo temporanei. Il fatto che, sempre più spesso, i cittadini stiano rifiutando questo autentico ricatto ci mostra una maturità ben di rado presente nel dibattito politico. E difatti gli amministratori locali restano in genere basiti di fronte ai risultati dei referendum…

La stessa entità degli incentivi è ridicola. A fronte della scomparsa di 336 comuni in otto anni (in testa alla classifica dei tagliatori il Trentino, la Lombardia, il Piemonte e la Toscana), la cifra erogata dallo Stato nel 2017 è stata pari alla miseria di 37,5 milioni di euro!

I fatti ci dimostrano come le fusioni riducano i comuni più piccoli in periferie di quelli maggiori, peggiorando ancor più la condizione delle frazioni, specie se montane. Paesi dove già manca qualsiasi servizio (la scuola, trasporti decenti, un ufficio postale, spesso perfino un locale pubblico) vedono allontanarsi il loro municipio a volte anche di 20 chilometri). Gli incentivi consentono di tappare qualche buco e nulla più, mentre la logica finanziaria delle fusioni trasforma i comuni in semplici centri amministrativi, tanto focalizzati sui bilanci quanto lontani dai bisogni dei cittadini.

Sono questi i motivi di fondo dell’onda del no alle fusioni: un modo di dire basta al peggioramento della vita di chi vive fuori dalle città, che ha tante ragioni in comune al movimento francese dei “Gilet Gialli”.

Come Programma 101 pensiamo che anche su questo tema sia ormai matura una svolta. Chiediamo dunque al governo Conte di invertire le scelte disastrose di questi anni. In concreto questo significa:
1. Aumentare i trasferimenti finanziari ai Comuni, cancellando progressivamente tutti i tagli operati negli ultimi 10 anni, quantificabili attualmente in 8,3 miliardi all’anno.
2. Applicare concretamente l’art. 119 della Costituzione, laddove afferma che le risorse assegnate agli enti locali debbono consentire “di finanziare integralmente le funzioni pubbliche a loro attribuite”.
3. Lavorare ad una legge speciale per i comuni delle aree interne e di montagna, anche al fine di arrestare lo spopolamento di queste zone.
4. Rifinanziare adeguatamente il fondo perequativo, previsto dal già citato art. 119 a favore dei “territori con minore capacità fiscale per abitante”. I circa 100 milioni annui attualmente previsti (peraltro già decurtati a causa della quota destinata a chi si fonde) sono infatti del tutto insufficienti.
5. Eliminare ogni incentivo, statale e regionale, alle fusioni dei comuni. Le possibili future aggregazioni, al pari delle ugualmente possibili separazioni, dovranno essere unicamente il frutto di processi sociali democratici, realmente condivisi e partecipati dalle popolazioni interessate.

P101 – 29 novembre 2018

2 pensieri su “NO ALLA FUSIONE DEI COMUNI – Comunicato n. 15 di P101”

  1. Manlio Padovan dice:

    Abito dal 1993 in un Comune che allora faceva 1800 abitanti e provenivo da Padova in piena città da cui mi sono trasferito per amore della campagna e solo qui ho trovato un modesto pezzo di terra alle condizioni che la mia posizione sociale mi permetteva. Qui ho potuto vivere di persona quello che Karl Marx ha chiamato "l'idiotismo della vita di campagna". Non è un paese di montagna ma di pianura in pieno Polesine di Rovigo. Oggi fa 1400 abitanti e la diminuzione di popolazione è continua. Non c'è mai stato un teatro, né mezzi pubblici di spostamento, né attività culturali nel vero senso della parola.Qui vicino, nel Comune di Adria c'è la frazione di Bottrighe che sta tentando da anni di separarsi per diventare Comune ed in effetti molti anni fa, in periodo fascista mi pare, Bottrighe era Comune. Ma se Bottrighe si separasse non finirebbe certo la consuetudine di vero e proprio abbandono della sua periferia, così come oggi fa con Bottrighe il suo Comune di Adria.Io non so se il vostro atteggiamneto farebbe cambiare le cose nei riguardi delle epriferie.Ho scritto solo per far notare, con due casi pratici, come tutto nasca da un malinteso senso della democrazia…è questa che ci manca! E così perdura l'idiotismo della vita di campagna e la gente, il popolo, trova rifugio tra i preti. E lo spirito critico, la cultura, va a farsi friggere.Manlio Padovan

  2. Anonimo dice:

    Ho dimenticato di scrivere che qui mai c'è una manifestazione e si è sempre fuori del giro della politica del Paese; se si vuole partecipare occorre andare nelle città: ma raramente a Rovigo che è provincia ma sempre di forte idiotismo, occorre andare a Padova, a Bologna, a Ferrara.E credo che ciò succeda in tutti i piccoli Comuni.Manlio Padovan

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