UN ANNO FA, ERA IL 4 MARZO
[ 5 marzo 2019 ]
Non è l’incertezza politica. Non è il deficit al 2 virgola. Non è il debito pubblico, che l’Italia ha dimostrato nei decenni di saper gestire in maniera sostenibile. Non è neppure il populismo, che ormai è una realtà nelle stanze dei bottoni di molti Paesi. Non è niente di tutto ciò. A terrorizzare davvero i mercati finanziari è sempre stata un’altra cosa: il fantasma di Italexit. È questo che ha fatto paura sui mercati nell’ultimo anno. Per un motivo semplice: gli investitori che prestano euro all’Italia, comprando i suoi titoli di Stato, vogliono vedersi restituire euro alla scadenza. Non lire svalutate. Se bisogna analizzare, a un anno dalle elezioni che hanno cambiato l’Italia, il rapporto travagliato tra la Penisola e i mercati finanziari, da qui bisogna dunque partire. Da questo fantasma, più volte evocato e più volte smentito. Italexit.
Sono i numeri e i grafici a raccontarlo in maniera inequivocabile.
Le smentite sulla prima bozza calmano subito gli animi.
Ma la tensione torna alle stelle quando, incaricato Giuseppe Conte di formare il Governo, spunta il nome di Paolo Savona come potenziale ministro dell’Economia. Se sulla professionalità e la caratura di Savona nessuno ha nulla da eccepire, ad agitare gli animi sui mercati è un altro elemento: la firma di Savona gira su Internet su un cosiddetto «Piano B» che contempla proprio l’uscita dall’euro dell’Italia. Ecco perché Savona, in quel momento, diventa indigesto al mercato: perché la sua potenziale nomina sembra confermare – almeno a prima vista – quella volontà di abbandonare l’euro.
I timori diventano terrore domenica 27 maggio, quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella blocca la nascita del Governo Conte proprio perché Savona sarebbe stato visto – testuali parole – «come sostenitore di una linea che potrebbe provocare, probabilmente o addirittura inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’euro». Queste parole spaventano i mercati ancora di più: se anche il capo dello Stato paventa questo rischio — pensano tutti gli investitori — allora significa che il pericolo è concreto. Così nei giorni successivi, mentre l’incarico lo prendeva Carlo Cottarelli senza possibilità alcuna di formare un Governo, lo spread tra BTp e Bund s’imbizzarrisce letteralmente e arriva a toccare i 350 punti base pur chiudendo molto più basso. Secondo i calcoli di Calipso, società di consulenza specializzata in derivati, in quei giorni i mercati finanziari “prezzano” un rischio Italexit quasi al 26%.
Panico e speculazione imperversano.
Gli investitori internazionali vendono e riducono l’esposizione sull’Italia. E gli speculatori ci sguazzano sopra. Il fondo hedge Brevan Howard (che a novembre aveva incontrato esponenti dei 5 Stelle) a maggio ha registrato una performance del 37%. Loro non hanno mai confermato — pur chiamati dal Sole 24 Ore —, ma sul mercato si vocifera che a fruttare tali guadagni sia stata la speculazione sull’Italia. Come il fondo Discovery di Robert Citrone, che dopo le elezioni italiane si trovava nel nostro Paese: a maggio ha portato a casa un guadagno del 10%. Idem per i tanti fondi che hanno giocato sul ribasso delle banche italiane in Borsa. Ma non sono loro a muovere il mercato. Quello lo muovono i capitali in uscita dall’Italia. Secondo i dati di Bankitalia solo a maggio le vendite nette da parte degli investitori internazionali sono ammontate a 33 miliardi. Vendite solo parzialmente compensate dagli acquisti da parte delle banche italiane, che a maggio 2018 hanno incrementato i titoli di Stato italiani nei loro bilanci di 11 miliardi (dati Bankitalia).
Con la nascita del Governo Conte il clima però si tranquillizza. Lo spread sale e scende, ma non arriva più sulle vette di quel martedì nero. Perché il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, offre sempre parole pacate sulla politica di bilancio dell’Italia. Questo tranquillizza non solo per il bilancio pubblico, ma soprattutto perché Tria dà l’impressione di voler tenere il Governo dentro i binari delle regole europee. E questo — nella testa degli investitori — allontana l’ipotesi e il rischio di Italexit. Fino al 27 settembre, quando il Governo annuncia un deficit al 2,4% per il 2019: percentuale in netto contrasto con gli accordi presi dai precedenti Governi con Bruxelles. Questo fa risalire le tensioni. Non per il 2,4%, sia ben chiaro. Il problema è sempre lo stesso: la violazione degli accordi presi dall’Italia con Bruxelles dà la sensazione agli investitori che il Governo voglia cercare lo scontro per avere il pretesto per uscire dall’euro. Il Governo smentisce, smentisce, smentisce. Ma il mercato continua a prezzare un rischio Italexit. E lo spread sale. E continua a salire durante tutti i mesi in cui Roma e Bruxelles trattano per la Manovra. Fino al 18 dicembre, quando trovano l’accordo. E il clima si calma.
* Fonte: Il sole 24 ore, 3 marzo 2019