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VIVA L’8 MARZO, ABBASSO NON UNA DI MENO! di Daniela Di Marco

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[ 08 marzo 2019 ]

Critica all’appello di Non una di meno per lo sciopero dell’otto marzo

8 marzo, Festa della Donna, o meglio, Giornata internazionale della donna.

Non festeggerò nulla né tantomeno parteciperò allo sciopero (trans)femminista indetto da Non una di meno.

Non sono fra quelle donne che in questi anni ha avallato il business commerciale, trastullandosi in consumistici festeggiamenti trasgressivi a base di cene in locali stracolmi di donne e spogliarelli maschili, contribuire a creare un uomo-oggetto pronto a far battere cassa a coloro da cui viene ingaggiato, non è nelle mie corde.

Che senso ha?

A ciò è stata per molto tempo relegata questa giornata il cui senso è stato totalmente stravolto, ma che trae origine dai sacrosanti movimenti femminili di inizio novecento che, rivendicando diritti fondamentali quali quello al voto, si battevano per l’emancipazione della donna.

Alcuni fanno risalire la data dell’otto marzo alla commemorazione degli incendi scoppiati in alcune fabbriche statunitensi, in cui perirono moltissime operaie (c’è discordanza storica su luogo e data: 1908 alla Cotton, una fabbrica di camice di New York che però sembra sia inesistente, o 1911 presso la fabbrica Triangle) altri, cui mi rifaccio, la ricollegano all’otto marzo 1917 (23 febbraio secondo il calendario giuliano) quando le donne di Mosca organizzarono un imponente manifestazione per chiedere “il pane e la pace”, l’inizio della fine per lo zarismo.

Per questo motivo nel 1921, la Seconda conferenza delle donne comuniste, fissò quel giorno come data celebrativa per la Giornata internazionale dell’operaia.

Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora; il movimento femminista ha percorso la sua strada.
Non c’è lo spazio per analizzare ciò che è stato, quali fratture lo hanno attraversato e i tanti rivoli in cui è diviso, una cosa è innegabile: da movimento rivoluzionario e socialista, si è trasformato oggi in movimento d’opinione e istituzionale, annullando le istanze rivoluzionarie. Non più movimento antisistema, niente più lotta contro padroni e sfruttatori, non più lotta di classe né progetti di trasformazione sociale, ma conflitto di genere.

Siamo oggi davanti ad un movimento a forte vocazione individualista che, in perfetto stile postmoderno decostruzionista, seguendo il femminismo radicale statunitense degli anni ’70 e l’esplosione dei Women’s e Gender Studies, sostenuti dai Cultural Studies, ha concentrato la sua attenzione sulla sessualità, arrivando, secondo me, a compiere il più grande femminicidio della storia: l’uccisone della donna in quanto tale, proprio per mano della donna.

E se non esiste più la donna, che senso ha una giornata internazionale a lei dedicata?

Ma spieghiamoci meglio.

Gli studi citati ci dicono che non c’è correlazione fra sesso biologico assegnato alla nascita e il genere di appartenenza conseguente, essendo il genere un costrutto socio-culturale, implicante da una parte la percezione che ciascuno ha di sé (identità di genere) dall’altro il sistema socialmente costruito intorno a quella identità (ruolo di genere). Dal momento che il sesso non è più sufficiente per individuare l’appartenenza al genere, sostenendo che dietro esso non vi sia nessuna natura e nessuna realtà, pervengono all’individuale e del tutto arbitraria modificabilità degli stessi grazie ai progressi tecnoscientifici e per di più ad una mobilità assoluta fra generi. Secondo il desiderio del momento, le infinite identità di ciascuno sarebbero libere scelte individuali sempre reversibili.

Il massimo dell’atomizzazione della persona, altro che donna, altro che genere!

E’ necessario secondo queste idee, che le convenzioni sociali si emancipino dalla natura, che le persone sleghino la loro identità dall’ordine sociale sottraendosi al dualismo sessuale di quello che definiscono eteronormatività (e il passo in direzione eterofobica è già avviato).

A tutto questo è collegata la rivendicazione di nuovi diritti sessuali dei moderni femminismi che individuano il nemico nel maschio, eterosessuale, bianco, occidentale e fanno del desiderio un imperativo categorico: scegliere il proprio sesso, difendere le cosiddette minoranze sessuali, battersi per il diritto al matrimonio omosessuale e all’adozione, il diritto ad avere un bambino a qualsiasi costo, chissenefrega se viene sfruttato qualche utero di qualche donna (!) di qualche parte povera del mondo. «E’ un gesto d’amore» dicono. Tutto è sovvertito.

In nome della libertà dell’individuo borghese, unico dogma e valore intoccabile nella società liquida contemporanea, è stato seppelito il femminismo storico per far nascere il Trans-femminismo (Queer): «Che 100 nuovi generi nascano».

Non più le rivendicazioni delle donne proletarie, né un semplice inglobare le rivendicazioni delle comunità LGBT di postmoderna memoria.

Queste ormai sono un reperto archeologico, soppiantate dal più includente e terribilmente fluido LGBT*QIAP+ [ 1 ], sigla per forza di cose in costante cambiamento.
Il fatto è che per i teorici di questo pensiero tutto sembra girare intorno all’identità di genere e quindi al sesso.

Mi chiedo: ma l’identità di un soggetto da cosa è determinata? Veramente dall’appartenenza di genere, come pensano le transfemministe? Penso di no, piuttosto credo che se si parla di “identità” ci sono di mezzo fattori come l’appartenenza di classe (sei un proletario o sei un capitalista), la funzione sociale (sei un funzionario del sistema o un suo nemico), sei un socialista o sei un liberista.

Non è un caso che questo radicale smantellamento del concetto di identità si inscriva dentro la visione globalista cosmopolita neoliberale («Porti aperti come i nostri culi»), con la sua esigenza di ingrassare il mercato promuovendo una mobilità internazionale che offre su un piatto d’argento paradisi fiscali, nazioni da depredare, forza-lavoro a basso costo, livellando sempre più i salari verso il basso e distruggendo quindi paesi, comunità, territori, madre natura, condizioni di lavoro e di vita, a unico beneficio di grandi imprese e multinazionali. Il passaggio da un genere all’altro è l’altra faccia della medaglia delle trasmigrazioni no border.

Per dirla con Formenti [ 2 ]: «I nuovi eroi di questa cultura sono gli appartenenti alle comunità LGBQT e i migranti (…) avanguardie cosmopolite di inedite comunità nomadi, figure che anticipano l’avvento di un cittadino del mondo destinato a rimpiazzare le vecchie identità nazionali etniche e culturali».

Ora, criticare questa brodaglia postmodernista è ritenuto non solo illecito, ma addirittura scabroso nei salotti elitari del Politicamente corretto, quelli, per capirci, di Jeff Bezos, di Marc Zuckemberg e Tim Cook.

Tutto ciò Non una di meno lo ha scritto nel suo dna.

Poteva sembrare che la nascita di questo movimento riportasse in auge dentro il movimento femminista italiano una battaglia politica degna di tale nome. Ma la confusione sotto il cielo è grande e grandi sono le contraddizioni di cui è portatore ben tradotte nell’Appello con cui hanno convocato lo sciopero di oggi.

Se guardate il sito di Non una di meno, vedrete in home il banner, in cui a caratteri cubitali è scritto: 8 marzo Sciopero Globale Transfemminista.

Hanno avuto l’accortezza di non usare la dicitura transfemminista nel testo dell’appello che indice lo sciopero, ma non siamo così stupidi da non tenere conto di ciò che da tanto tempo teorizzano, dicono e scrivono («la rivoluzione o sarà transfemminista o non sarà»). Hanno anche tolto il riferimento alle diverse possibili soggettività sessuali, ma sono ben incluse nel testo specifico che indice lo sciopero “dei e dai generi”.

Non si limitano a questo, sostengono lo sciopero “dei e dai consumi”, dal “lavoro produttivo e riproduttivo”, e, denunciando l’attuale reddito di cittadinanza, chiedono: reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale, così da essere libere di andare dove vogliono, coperte dal “permesso di soggiorno europeo senza condizioni”.

Richieste nuove «per inventare un tempo nuovo».

La distanza siderale dalle masse di donne lavoratrici e precarie, è evidente, per non parlare della conclamata subalternità alla distopia europeistica.

Scommetto che la maggioranza delle donne che oggi sono in strada, non hanno idea di tutto ciò.

Stando così le cose, non solo non ho nulla da festeggiare, non ho motivazioni per aderire ad uno sciopero ideologico e politico di cui non condivido nulla, per di più sul tavolo ce ne stanno tante perché oggi osservi addirittura una giornata di lutto.

NOTE:

[ 1 ] LGBT*QIAP+ è l’acronimo per persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans o non binarie (*), Queer, Intersessuali, Asessuali, Pansessuali, il + finale sta a indicare l’apertura verso qualsiasi altra autodefinizione in relazione alla propria identità di genere e/o orientamento sessuale.

[ 2 ] Carlo Formenti, Il Socialismo è morto, viva il Socialismo!, Meltemi Editore, gennaio 2019

4 pensieri su “VIVA L’8 MARZO, ABBASSO NON UNA DI MENO! di Daniela Di Marco”

  1. Anonimo dice:

    Una di meno!! Ce ne faremo una ragione.

  2. Anonimo dice:

    Ben detto.E per quelli che pensano che la donna sia vittime a prescindere:Marito segregato in soffitta perché non lavava bene i piatti e stendeva male il bucatoEra una peruviana.Giovanni

  3. Anonimo dice:

    QUESTO 8 MARZO DEVE AVERE AL CENTRO LA LOTTA CONTRO L'ATTUALE GOVERNO LEGA/SALVINI/M5S FASCISTA/SESSISTA/RAZZISTA!http://femminismorivoluzionario.blogspot.com/2019/02/la-giornata-dell8-marzosciopero-donne.html

  4. Anonimo dice:

    Anche altre Organizzazioni e Associazioni oggi scioperano, con ben altre motivazioni da quelle con cui comodamente vi confrontate in questo articoletto. Informatevi, studiate, venite in mezzo a chi lotta, mettetevi a disposizione, per una volta! Uscite dalla vostra ipocondria politica. Il tempo dei guru è finito.Maria Rosaria M.

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