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CLIMA: IN RISPOSTA A MAZZEI di Aldo Zanchetta

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[ 9 aprile 2019 ]

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento in risposta ai tre articoli sul clima di Leonardo Mazzei (Prima parte Seconda, Terza) . Il dibattito continua…

Ho letto con sommo interesse, anche per “fatti personali”, i tre interventi di Leonardo Mazzei sul clima. 

Essi infatti non sfidano solo l’interpretazione dominante delle ragioni del cambiamento climatico (che Mazzei non nega, ma sul problema specifico tornerò), essi sfidano addirittura l’attuale strapotere sulle menti della maggioranza delle persone di questo inizio di millennio, strapotere esercitato dalla cultura tecno-scientifica, oggi in mano ai militari (sono loro che controllano non meno dei due terzi della ricerca) e a specifiche e potentissime multinazionali. La scienza è morta da tempo, sostituita da questo ibrido di scienza, tecnologia e business), che è in mano, al vertice, di uomini come Bill Gates, Jeff Bezos, Marc Zuckerberg, Streve Jobs e dintorni, tutti in grado di investire somme enormi nelle loro folli imprese (leggere “Essere una macchina” di Marc O’Connell, ed. Adelphi, 2018) nonché delle lobby petrolifere, detentrici queste ultime dell’80% degli avveniristici progetti di geoingegneria di cui mi occuperò in un prossimo intervento,

perché potrebbero costituire la ragione motivante alternativa al ritorno del nucleare, o il succoso complemento a questo, secondo l’ipotesi di Mazzei. 

Nel libro “La farfalla e la crisalide”, il genetista Edoardo Boncinelli, preconizzatore dell’amortalità del futuro prossimo essere umano, -afferma con sicumera che invece è la filosofia, questa “inutile zavorra”, ad essere morta, ormai sostituita dalla scienza. Nella recensione del libro su Il Corriere della Sera leggo: 

«La crisalide è fondamentale per la nascita della farfalla, ma appena questa nasce le due strutture biologiche si devono separare una volta per tutte, perché la presenza della crisalide si rivelerebbe ora tossica per l’insetto alato. Fuor di metafora, la filosofia è stata fondamentale per la nascita del pensiero scientifico, ma col passare del tempo ha avuto un’influenza sempre più negativa, come una sorta di a priori indiscusso che ha finito per ostacolare il progresso scientifico. L’analisi di Boncinelli è spietata. E senza dubbio corretta, anche se a volte scivola in qualche semplificazione eccessiva». (Sottolineatura mia)


Uno che di scienza qualcosa sapeva, Albert Einstein, in una lettera inviata nell’ottobre 1950 ai membri della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, riuniti quell’anno a Lucca, dove era stato invitato ma dove fu impossibilitato a essere presente a causa dell’incipiente malattia che lo avrebbe condotto a morte, parlando dell’”uomo di scienza” scrisse: 

«Egli è cosciente del fatto che i metodi tecnici che si basano sulle sue ricerche hanno condotto a una concentrazione del potere economico, e con ciò anche di quello politico, nelle mani di piccole minoranze, dalle cui manipolazioni è divenuto dipendente il destino della massa, che appare sempre più amorfa, degli individui. Di più, ancora. Quella concentrazione del potere economico e politico in poche mani ha non solo comportato una dipendenza materiale esteriore anche dell’uomo di scienza, essa minaccia anche la sua esistenza dall’interno, in quanto attraverso la creazione di mezzi raffinati di influenza spirituale e psichica,impedisce la crescita di personalità indipendenti». 

(Lettera riportata per intero nel libro di Angelo Genovesi “Einstein : Scienza e società”, Boroli, Milano, 2005, pagg. 197/200). Come è noto Einstein è molto citato, ma questa lettera è quasi sconosciuta. Strano, no? Ci tornerò sopra in altra occasione.


Di questo potere pericoloso dell’uomo di (tecno)scienza per la società statunitense parlò anche il presidente-generale Eisenhower nel suo messaggio alla nazione al termine del suo doppio mandato presidenziale (2009), includendolo fra i tre pericoli che la società statunitense correva. 


Il grande dissacratore di “verità acquisite” Ivan Illich, che negli anni 70 e 80 del secolo scorso passò come un turbine sulla cultura dominante del tempo, concluse così il libro-intervista di David Caylay (Conversazioni con Ivan Illich. Un profeta contro la modernità): 

«Nel 1992 non provo più alcun interesse per le teorie scientifiche. Queste erano davvero interessanti negli anni Sessanta e ancor più quando studiavo la scienza negli anni Quaranta. Ormai la scienza in America è diventata ricerca finanziata e in Germania è mirata a creare carriere nella pubblica amministrazione. Basta con questo fascino della scienza».

L’“uomo comune” lettore dei testi di Mazzei sarà rimasto sconcertato. Come è possibile che un oscuro tecnico di provincia (nel senso di non famoso scientificamente, Mazzei mi scuserà) possa sfidare il fior fiore della scienza meteorologica e geofisica mondiale? A me invece, oscuro ingegnere chimico, pure di provincia questa lettura, si parva licet, ha richiamata una vicenda personale degli anni Ottanta, quando usando con mente libera normali conoscenze ingegneristiche, mi trovai schierato contro (o silente) l’intero mondo dei direttori di produzione e di direttori dei dipartimenti di ingegneria impiantistica di centinaia di aziende farmaceutiche di tutto il mondo (con qualche lodevole eccezione, che a qualcuno costò cara). Dopo diversi anni di rifiuto ad allinearmi ed anzi attaccando (per necessità di far sopravvivere la mia piccola azienda), la vicenda ebbe la parola fine quando, di fronte ai (non) risultati della tecnologia cui mi ero opposto testardamente, la prestigiosa rivista di settore, International Pharmaceutical Engineering, si rammaricò che la “disinformazione terroristica” portata avanti da un ingegnere italiano avesse sotterrato una “promettente tecnologia innovativa”. Un modo quanto mai infame di riconoscere la sconfitta, trasformando l’accusatore in accusato. 

A Mazzei potrei raccontare per filo e per segno come una potente lobby affaristica monopolista, anche se ristretta o forse proprio per questo coesa e determinata, può influenzare e dominare una massa di persone scientificamente “qualificate” quali laureati in scienze farmaceutiche o in biologia o ingegneri di vari rami industriali. 


Opportunamente Mazzei ricorda la dubbia peer rewiew di prestigiose riviste scientifiche (che in campo biotecnologico però è reduce da alcuni imbarazzanti infortuni), l’ansia carrieristica  di molti che sanno quanto sia sconveniente opporsi al parere di una lobby ramificata e spietata, o di quanti sono alla ricerca di finanziamento delle proprie ricerche o, infine, più semplicemente la paura di perdere una posizione lavorativa di prestigio faticosamente conquistata e sempre insidiata. Per non parlare dei congressi scientifici, dove non si muove foglia che la lobby non voglia. 

Non ultime, le tecniche di persuasione di massa, già note artigianalmente a Goering. E’ di questi giorni la notizia, che dovrebbe preoccupare assai, che da anni l’esercito inglese finanzia l’approfondimento di tecniche di “manipolazione psicologica” con un contratto con la famosa università inglese di Cambridge per la ricerca sulla “manipolazione mirata delle informazioni nei domini fisici e virtuali per formare atteggiamenti e credenze nel dominio cognitivo”. 


Una cosa è certa, caro Mazzei: sarai deriso, oltraggiato e certamente avrai vita dura. Meriti perciò solidarietà, se non fosse altro, per il tuo coraggio. Non privo di lucidità.


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Un pensiero su “CLIMA: IN RISPOSTA A MAZZEI di Aldo Zanchetta”

  1. Anonimo dice:

    Mazzei ha scritto tre articoli per confutare, non tanto il cambiamento climatico, ma le sue presunte conseguenze catastrofiche e l'uso strumentale che ne viene fatto per, è l'ipotesi che fa, riproporre dalla lobby nucleare il riavvio su grande scala della costruzione di centrali. A mio parere la questione si può porre così: il cambiamento climatico è in atto ma le sue origini hanno un'origine ciclica naturale, il contributo antropogenico c'è ma è trascurabile. Ergo il catastrofismo che se ne fa è strumentale a favorire determinati e ben precisi interessi economici e di potere. Mazzei suggerisce di ridurre si l'uso dei combustibili fossili, più per problemi d'inquinamento che per il loro contributo al cambiamento climatco. Questa posizione trova il conforto di un certo, se pur ristretto, gruppo di scienziati. Molti altri manifestano una posizione diversa: la causa antropogenica del cambiamento è data dalla concordanza di più osservazioni partendo dal dato dei 280 ppm di co2 presente in atmosfera all'inizio della rivoluzione industriale per arrivare, in un crescendo esponenziale ai 405, 410 ppm di oggi, imputando quindi ad incremento dell'effetto serra dovuto alla parte di gas legati alle attività umane come la co2, il ch4 e il vapore acqueo. Questa parte di scienziati ritiene urgente una rapida transizione energetica e, a quanto risulta, propone il passaggio alle energie rinnovabili e alcuni, insieme ad un cambiamento del modello di sviluppo energivoro che ha dettato la crescita degli ultimi settanta anni. Recenti carotaggi nel ghiaccio dell'Antartide hanno verificato che tre o quattro milioni di anni fa il territorio era coperto di grandi foreste e la tempratura si aggirava sui 3 o 4 gradi C. i mari erano più alti di circa 15, 20 m. La cosa interessante, a mio parere, è la presenza di immense foreste che coprivano il pianeta. I sommovimenti della crosta terrestre hanno imprigionato questi enormi recettori di co2 nelle viscere della terra creando quei giacimenti di carbone, petrolio e metano che in modo sempre più intensivo abbiamo utizzato soprattutto negli ultimi cinquanta anni. Immettere in atmosfera la co2 imprigionata nella vegetazione e successivamente fossilizzata milioni di anni fa può far legittimamente ritenere che si stiano ricreando le condizioni climatiche che il pianeta aveva allora con tutte le conseguenze che questo comporta. Questa è una spiegazione dell'origine antropogenica del cambiamento climatico in atto. Naturalmente il pianeta è un corpo vivo e quindi complesso.un nuovo equilibrio climatico si forma nel tempo: quanto? Non sono in grado di dirlo. Certo è che un nuovo equilibrio climatico è in formazione. Per tornare all'articolo di Zanchetta non ho capito, oltre alle interessanti riflessioni sulla filosofia e la scienza, sulla pervasiva presenza della tecnoscienza si ritiene il cambiamento climatico prevalentemente di origine antropogenica o no? È urgente un cambiamento del modello di sviluppo o è solo strumentazione di gruppi di potere economico alternativi a quelli legati ai fossili? C'è un bel libro di Viveiro de Castro, antropologo e filosofo brasiliano esperto mondiale delle culture amazzoniche intitolato:" Esiste un mondo a venire?" Lettura interessante e lucidamente pessimistica.

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