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LA DOTTRINA STRATEGICA PERSIANA di F.S.

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[ 8 aprile 2019 ]

Notizia di ieri, 7 aprile: la Casa Bianca inserirà i Pasdaran nella lista delle organizzazione terroristiche. Segno che l’Iran è ad oggi il principale bersaglio della coppia USA-Israele. L’articolo che pubblichiamo analizza i vari aspetti della visione strategica iraniana. Volentieri lo pubblichiamo pur non condividendo alcune asserzioni.


*  * *

“Il forte diventa debole, il debole diventa forte”
Imam Khomeini


Questo articolo costituisce una continuazione rispetto ai due precedenti che questo sito ha gentilmente ospitato — QUI e QUI


Ero e sono dell’idea che la Repubblica islamica dell’Iran costituisce il punto di massimo antagonismo rispetto al mondialismo imperante. Di conseguenza, i maggiori sforzi strategici occidentali (euroatlantici) saranno diretti, come del resto lo sono stati sino ad ora dal 1980, ad un cambio di regime in Iran. Per i vertici della Repubblica Islamica, non vi era e non vi è differenza tra il blocco euroatlantico liberal o quello conservatore. Sono i due volti dello stessa moneta, il “Grande Satana” d’occidente. Diversa è la loro tattica per arrivare alla distruzione della Repubblica iraniana, perseguita con ogni mezzo da anni, ma medesimo il fine. Va al riguardo premesso, riguardo ogni dottrina strategica, che la strategia di guerra si può valutare esclusivamente nella fase di guerra ortodossa o non ortodossa. Esperti, analisti, intellettuali di dottrina militare che non hanno solitamente mai calpestato un campo di guerra con i Soldati non fanno al caso nostro, sono anzi un ostacolo per la comprensione diretta. Fabio Mini, che merita viceversa di essere preso in considerazione, ha sostenuto che non è la guerra a cambiare nel corso della storia, ma che siamo noi a dargli differenti metodi di classificazione (guerra non ortodossa, guerra asimettrica ecc). In Siria vi è purtroppo una guerra provocata da un’aggressione imperialista; idem in Yemen; idem in Iraq, idem in Palestina, idem in Ucraina. Piaccia o no, l’Iran si trova sempre in un fronte avversario rispetto a quello degli americani e sionisti. Lo stesso non si può dire, anzi il contrario, dei militanti curdi formalmente “antimperialisti”, concretamente braccio armato del Sionismo e dell’americanismo.

La Guida Suprema Ali Khamenei con il generale delle
Guardie Rivoluzionarie (Pasdaran) Mohammad Ali Jafari.

Non esistono, anzitutto, differenti fasi strategiche nella storia dell’Iran rivoluzionario, come sostengono invece i vari analisti occidentali. Vi è anzi una continuità diretta rispetto a quella che solitamente gli analisti considerano la “prima fase”, la fase in cui il regime khomenista, secondo la stessa propaganda persiana, dovette fronteggiare quella che rappresentò come la “Guerra Imposta” da Usa e Urss, rispettivamente Grande Satana e

Piccolo Satana, armando e scagliando contro il popolo persiano l’Iraq laicista e baathista di Sadam Husayn. Quale era la strategia di questa “prima fase”? A questo punto va compresa la visione e la prassi politico-religiosa Sciita, di cui ho già parlato nel precedente articolo sull’Islam politico, rilevando come l’Hezbollah libanese abbia aperto, dal 1983, una nuova fase strategica globale. L’Imam Husayn (A), nato a Medina anno 4 dell’Egira nel mese arabo di Sha’ban (gennaio 626), è il simbolo mitopoietico della visione sciita khomeinista e dell’Iran odierno. L’Imam Husayn (A), appartenente all’Ahl al Bayt, è colui che nella storia dell’uomo insorge in difesa degli Oppressi e dei poveri tra i poveri, pur combattendo in condizioni di assoluta inferiorità tattica-strategica. L’Imam Husayn è il Ribelle e il rivoluzionario per antonomasia, ovvero colui che si ribella contro la tirannia degli omayyadi di califfo Yazid e del comandante Uman ibn Sad che usano l’Islam come pretesto per opprimere e sfruttare i poveri e il “popolo”, come diremmo oggi da “populisti”. Leggendo durante una lezione il martirio di Imam Husayn, che aveva sposato la persiana Sharbanu, Imam Khomeini sostenne che lottare per la causa degli Oppressi, anche andare al martirio per loro, è l’azione metafisica più alta e nobile dei nostri tempi. Oppressi, in questa “logica” mistica e metafisica, non significa semplicemente sfruttati, come è nell’economicismo marxista. Oppressi ha qui una radice morale e metafisica, sovrasensibile come dice il fine orientalista Henry Corbin. Oppresso è colui che incarna l’evangelico “sale della terra”; è dunque la luce del mondo, la scintilla divina della terra. Nel minuscolo esercito di Imam Husayn – le cronache dicono 72 persone che affrontano i circa 8 mila dell’esercito del Califfo, nella piana desertica di Karbala nel 680 dopo Cristo– vi sono anche dei cristiani. Lì a Karbala, nel 680,  avviene un massacro sanguinario, spaventoso, una sorta di Golgota islamico che nessuno è stato veramente in grado di raccontare a causa del sangue che scorre in quei tragici, terribili momenti, in cui mani nemiche si accaniscono anche contro donne e bambini nati da poco che seguivano devotamente la carovana dei fedeli della Shia. Imam Husayn aveva esitato per anni prima della battaglia; aveva incarnato un principio di attendismo tatticistico-politico. Non per timore o forse non solo per quello. Ma perché sapeva che la sconfitta immediata era nel suo destino, una volta intrapresa la via dell’azione pura. Sapeva che saltata ogni mediazione, sarebbe arrivata l’ora della via del sangue. Imam Husayn sapeva di andare verso la morte, di essere sconfitto e umiliato. Ma il suo grido è rimasto immortale nei secoli e nei millenni, come quello di Gesù Cristo. La testa mozzata di Imam Husayn, l’eterno comandante stratega della fazione sciita, arriverà poi a Damasco, in segno di scherno e totale umiliazione. Molti pensatori cristiani, tra cui Goethe e Gibran, molti induisti tra cui il Mahatma Gandhi, considerano Imam Husayn il simbolo di un cristianesimo mistico vissuto, non recitato o astrattamente teorizzato o la torcia radiante di tutte le religioni del mondo. La celebrazione dell’Arba’in a Karbala – quarantesimo giorno dall’anniversario del martirio di Husayn, della sua famiglia, dei suoi fratelli – è il più grande e numeroso raduno religioso dei nostri tempi (si viaggia sulle 30 milioni di persone), ma si svolge costantemente in un clima di concordia, amore, fratellanza, senza violenza alcuna, in un clima di serenità tale su cui cattolici, giudei, sunniti avrebbero assai a lungo da riflettere.

Il mito dell’Imam Husayn è dunque il cuore della strategia persiana e tale è stato nella storia politica e militare dell’Iran rivoluzionario. L’Imam Khomeini era solito dire che “solo il sangue può vincere sulla spada e sull’Oppressione”. Non a caso, quando ormai l’Iraq aveva sfondato in territorio iraniano, Imam Khomeini lanciò una operazione che faceva leva sulla mobilitazione patriottica e sul “sacrificio” di masse umane. I limiti tecnologici e l’impossibilità di realizzare pezzi di ricambi, quasi esclusivamente di

fabbricazione americana e israeliana, non rendevano possibile d’altra parte differente strategia. Migliaia di giovanissimi persiani con bende rosse sulla fronte iniziarono a comparire sulle prime linee, lasciando  sbigottito l’avversario. Le onde umane degli Oppressi che marciavano verso il sacrificio fronteggiavano la logica “demoniaca” della superiorità tecnologica ancor più che il nemico fisico. Il quattordicenne Ali Reza Najar Adabi dichiarò a un giornale dell’epoca: “Eravamo undici fratelli quando ci siamo trovati di fronte al nemico. Due di noi sono immediatamente diventati martiri. Poi però è comparso dall’alto lo Spirito Santo e ci ha dato nuova forza per combattere. E presto le truppe nemiche sono state respinte”. Riferendosi a un caduto di giovanissima età che proveniva dalla più profonda campagna persiana, Imam Khomeini disse alla nazione e scrisse in più punti che il giovane era un propiziatore del definitivo avvento del Mahdi o Imam Zaman, portatore del regno di pace e amore; ribadì fino ai giorni alla morte (3 giugno 1989) che quel giovanissimo era ormai tramutato in Angelo protettore della Repubblica iraniana, considerandolo la vera guida politica della nazione. “Non io ma Lui ma conduce l’Iran” disse in più casi l’Ayatollah. 

Passerò ora ad affrontare, nei limiti degli spazi di un breve articolo, aspetti più tecnici. Se vi sono mancanze nell’analisi tecnica, anche di rilievo, me ne scuso con il lettore, ma ho cercato di privilegiare gli aspetti a mio parere più importanti. Potrebbe sembrare non esservi collegamento tra quanto detto sino ad ora e quanto esporrò; viceversa, va

clicca per ingrandire

compreso che la Dottrina Strategica iraniana si fonda sulla consapevolezza di una posizione di certa inferiorità tecnologico-militare rispetto all’occidente, ai Sauditi e al Sionismo. E’ importante fare un raffronto. I Sauditi nello scorso anno hanno avuto una spesa militare stimata attorno ai 69,8 miliardi di dollari (pari al 10,5% del pil). Quella persiana, di contro, è stata di 14,3 miliardi di dollari, pari al 2,9% del pil. Sono numeri che a ragione preoccupano gli iraniani, e si commentano peraltro da soli. Di conseguenza, la Dottrina Strategica persiana tende a sfruttare le pur piccole e minime posizioni di vantaggio che indubbiamente possiede: primo e decisivo vantaggio è l’idea del mondo e dell’uomo. Se gli occidentali e seppur in misura decisamente minore anche i sionisti considerano, con una visione individualistica e edonistica, ogni singolarità, ogni vita soggettiva il bene più prezioso, unico, irripetibile nell’economia spirituale universale, la visione sciita-persiana ritiene che l’uomo si realizza come autentico soggetto positivo, creatore proprio in quanto depositario attivo e vivente incarnazione di una Tradizione primordiale, originaria che si incarnerebbe nel “Puro Islam” dell’Imam Husayn “adattato” ai nostri giorni . L’Islam iraniano radicalizza dunque una “gerarchia della purezza” nella volontà comunitaria e organicistica di eguaglianza, libertà spirituale e fratellanza, mentre nell’occidente plutocratico ed agnostico i diritti civili vorrebbero sopperire alla mancanza di ogni etica e morale superiore. Legge nella Shia significa perciò Tradizione spirituale e concreta, sperimentabile, non astratto intellettualismo. Di conseguenza identità religiosa mistica e identità nazionale si identificano nella storia più recente dell’Iran. Comprendere ciò significa tentare di entrare nel “ciclo culturale” persiano. Significa anche comprendere perché non sarà facile avere ragione di una civiltà come quella iraniana, forte della sua identità profonda. 

Samuel Huntington (1927 2008) ha fornito, sul piano dell’interpretazione dei cicli culturali, di civiltà, una impostazione e un modello che ritengo siano abbastanza oggettivi, considerando non a caso il Politico Khomeini una delle espressioni più alte, se non la più alta, del Pensiero rivoluzionario del ‘900. Altro vantaggio della Dottrina Strategica e politica iraniana, strettamente connesso al primo, è che la politica estera della Repubblica islamica ha saputo concretizzare un fronte “sciita” internazionale (con sottosistemi regionali e alleati regionali) che non osserverebbe passivamente un eventuale attacco imperialista al popolo iraniano e che sarebbe capace di infliggere (come ha mostrato ad esempio il confronto militare più che decennale tra Israele e l’Hezbollah) serissimi danni, probabilmente irreversibili, al fronte imperialista. Connessi a questi vi sarebbero altri vantaggi che diventa ora superfluo e secondario esporre. Se dunque l’inferiorità iraniana è al riguardo indiscutibile, altrettanto indiscutibile è il potere strategico di concreto antagonismo e deterrenza asimettrica che l’Iran può esercitare contro l’imperialismo. 

Quando Ahmadinejad diviene presidente iraniano (2005), come prima cosa si reca al Cimitero dei martiri della “Guerra Imposta”, Behest-e Zahra a Tehran, dicendo esplicitamente che tutti i persiani devono la loro libertà e la loro stessa vita a quelle decine di migliaia di caduti in operazioni di sacrificio su territori minati dal nemico.
Dal 2011, in corrispondenza con i tumulti definiti “Primavere Arabe”, la fazione Ahmadinejad sviluppa la medesima Dottrina strategica adattandola al contesto tattico. Il concetto di difesa della nazione si amplia. Dai primi anni del 2000 era in vigore il principio della sicurezza interna sovrana: ciò voleva dire che erano stati creati dai Pasdaran 34 centri di difesa in tutte le province più in altri luoghi segreti in previsione di una probabile Invasione USA. tale modello era ricalcato sulla tattica bizantina eracliana dei “themi”. Tale decentramento operativo, che si basava sulla mobilitazione permanente dei Basij-e Mostad’afin e degli altri corpi volontari, era una classica rivisitazione della lunga guerra di guerriglia di cui il generale russo Kutuzov è stato il più geniale interprete e realizzatore. Dal 2011, invece, la fazione Ahmadinejad, per evitare l’aggressione imperialista globale contro l’Iran, radicalizza un avanguardismo strategico. 


Va rilevato che sia Ahmadinejad sia la Guida Suprema Khamenei considerano in quei giorni le arrivanti “Primavere Arabe” parte di un più generale “Risveglio globale islamico”, sul quale però vanno illegittimamente interferendo Britannici, Sauditi, Sionisti. A tal punto, con una azione imprevedibile e rivoluzionaria, per contrastare l’azione degli avversari della Repubblica, vengono spostati i confini naturali e nazionali. Ciò porta molti osservatori occidentali a parlare di offensiva nazionalista e imperiale persiana. Ciò può essere vero se si considera però il fine strategico di prevenzione rispetto alla guerra ibrida condotta dai nemici dell’Iran, ossia Sauditi, Britannici e Sionisti. Come dicevo nel mio primo articolo, Ahmadinejad ha tradotto l’antimperialismo e il terzomondismo khomeinista in un patriottismo rivoluzionario imperiale a base persiana-sciita. Peraltro, la distinzione tattica e operativa, su cui insistono i vari osservatori, tra il tradizionale Artesh, i Pasdaran e le forze di polizia, che non si trovano più sotto il controllo del Ministero della Difesa, è del tutto irrilevante e a mio parere secondaria almeno da anni. L’esercito dei Basiji è la forza armata numericamente più grande. Fino alla riforma del 2009 era articolato in 15 divisioni (tra forze corazzate, motorizzate, fanteria, forze speciali); la trasformazione in 31 comandi regionali, voluta dalla Guida Suprema Alì Khamenei, ha posto l’importanza del ruolo esercitato nella sicurezza interna. L’Hizbullah iraniano è un corpo di volontari che vigila sull’etica e che è sulla prima linea del sostegno ad Ahmadinejad e nell’aperta contestazione del governo Rohani. La forza Al Quds, appartenente ai Pasdaran, del generale Qasem Soleimani, imponendosi con grande qualità tattica sui campi di battaglia, è divenuta la prima linea del fronte patriottico ed ideologico sciita. Le Forze Quds, con proiezione internazionale, ricoprono un ruolo centrale nel coordinamento tra milizie locali, siriane, irachene e militari russi. Il conflitto yemenita ha messo in rilievo la flessibilità nel tramutare missili tecnologicamente superiori in ordigni capaci di sconfiggere i più moderni sistemi di difesa aerea. Il conflitto siriano ha visto primeggiare, sui nemici occidentali britannici e francesi presenti anche loro dietro le quinte, i consiglieri militari persiani. Il drone mandato in territorio israeliano, l’abbattimento di jet israeliani, nel 2018, nel cielo di Siria sono stati chiari segnali di cui le varie stanze occidentali, vicine da sempre a Sionisti e Sauditi, dovrebbero aver preso atto. Nell’agosto 2018 è presentato al paese il cacciabombardiere di quarta generazione Kowsar, messo in serie, che segna una rilevante innovazione nel settore della stessa Aeronautica.

I funerali del Generale dee Guardie Rivoluzionarie Ali Allah-Dadi,
ucciso in Siria nel gennaio 2015 da un attacco aereo israeliano

Nel settore marittimo, alla IRGCN (Marina delle Guardie Rivoluzionarie) si affianca la Marina tradizionale, ossia la IRIN. La IRGCN si specializza sull’uso di piccole e velocissime unità costiere in grado di depositare mine letali su missili antinave e sottomarini: tali mezzi focalizzati sulla tattica del “colpisci e fuggi” sono efficaci in particolare negli approcci A2AD. Letali allo scopo finale anche i sottomarini Ghadir e Nahang, i barchini esplosivi sul modello della italiana X MAS in dotazione IRGCN come i missili leggeri, antinave, come i C-701. La guerra di mine è centrale in uno scenario come il Golfo Persico, in quanto i fondali sono bassi e ben adatti a essere minati, anche con siluranti, mine magnetiche, acustiche. Sul Golfo Persico, una marina più debole se all’altezza nella costruzione di difese a sbarramento nello Stretto di Hormuz, può aver ragione di marine più forti e attrezzate.

La IRIN è invece consapevole di una notevole pregressa debolezza strategica. Si è focalizzata perciò nella prassi di una tattica di “dissuasione”, distinguendosi più come “Flotta in potenza” come si dice in gergo. Nel caso di un aperto conflitto con la flotta USA presente nel Golfo Persico, la IRIN non resisterebbe ai primi colpi. Per questo si è focalizzata in anni recenti nel tipico approccio della “Marina d’alto mare”: le visite strategiche in Sudan, Sri Lanka, nel Mediterraneo nel 2012 con la fregata “Jamaran” (nella quale vengono addestrati i cadetti della Accademia Navale Imam Khomeini), l’invio degli incrociatori Alvand e Shahid Qandi e della nave da trasporto Kharg nella base russa Tartus, l’ingresso (prima volta nella storia dell’IRIN) nel Mar Cinese, sono eventi lineari con tale tattica. La presenza di navi iraniane nel Mediterraneo orientale ha suscitato scalpore; non si sa, allo stato attuale, se la Guida Suprema darà responso positivo alla richiesta di varcare l’Atlantico. Entrambe le Marine dispongono di forze anfibie e di mezzi da sbarco, quali catamarani e mezzi arenabili. Il Golfo Persico è l’ancora occidentale dell’Asia e l’Iran ha una funzione di mediazione centrale nelle Vie della Seta: l’Iran e la Cina conducono regolari esercitazioni navali nel Golfo dal 2013 e la flottiglia cinese è una presenza stabile a Bandar Abbas nei pressi dello Stretto di Hormuz. La Marina dei Basiji coopera con l’IRIN nella difesa delle acque territoriali. Sono di incerto valore le sue capacità tattiche e militari.

I settori della missilistica, della difesa aerea, della sperimentazione priva di equipaggio e della missilistica di ultima generazione, come quelli della cyberdefence, degli ordini tecnologici ad uso delle unità sui campi di battaglia – come mostrano i fatti – vedono l’Iran in posizione di avanguardia. La creazione di una industria missilistica nazionale in grado di produrre vettori con capacità regionale è una forma di deterrenza verso Israele e Arabia saudita. Tehran può produrre un numero alto di missili a corta gittata come Shahab-1/2 e ha sperimentato un missile a media gittata come Shahab 3/ Ghadr 1. Il Segil-1 sarebbe in grado di raggiungere Israele e Europa centrale. L’Iran è peraltro a buon punto nello sviluppo di missili balistici e secondo varie fonti sarebbe in atto a un punto avanzato un ambizioso programma satellitare e spaziale. Il comando antiaerei possiede 12 mila uomini, fa corpo a sé, coordinando anche elementi della Difesa antiaerea dei pasdaran. I vecchi sistemi teleguidati sono stati modernizzati dal 2007 grazie alla dotazione dei russi Tor M-1, ma Mosca non ha ancora consegnato gli S-300. I Basiji sono attivi nel campo della guerra cibernetica, soprattutto nel controllo del web e nella difesa dagli attacchi di hacker; il comando della guerra cibernetica si trova all’interno del ministero dei Servizi. Il dicastero dei Servizi (Vezarat-e Ettel’at-e Comburi-ye Eslami, VAJA) è in sostanza la centrale strategica dei Servizi, con competenza anche su sicurezza interna e sulla strategia dell’informazione. Le decisioni di politica strategica e sicurezza, comprese quelle relative al nucleare, sono prese nel Consiglio dei capi dei tre poteri: legislativo esecutivo giudiziario. Tale Consiglio è detto anche Comitato per le questioni eccezionali.

Elemento da sottolineare, ultimo ma non per ordine di importanza, è che l’avvento globale, ormai prossimo, del “Socialismo con caratteristiche cinesi” e neo-confuciane trova la Repubblica islamica pronta e preparata. La collaborazione politica, economica, militare con la Cina socialista-confuciana è divenuta strategica, più d’ogni altra relazione, dal

Il potente generale Qasem Soleimani, a capo della Forze speciali Qods.

Secondo gli americani egli sarebbe il vero stratega per quanto concerne
la politica militare iraniana in Medio oriente.

Governo Ahmadinejad ad oggi. Questo logicamente non significa che la Cina interverrà direttamente in difesa dell’Iran in una eventuale aggressione imperialista; ma potrebbe significare un aiuto asimettrico sostanziale, alla Repubblica islamica. Nel suo viaggio del 2010, durante l’Expo di Shangai, l’allora presidente iraniano Ahmadinejad definì la Cina un esempio concreto di Socialismo che voleva uscire dalle gabbie del materialismo e dell’economia come unica dimensione umana, un Socialismo caratterizzato perciò da un impulso culturale e religioso, portando l’esempio della diffusione globale degli Istituti Confucio e sperando che quello sarà il Socialismo, antiliberista, non ateista e antimaterialista, che in Cina si affermerà nel suo futuro di superpotenza globale.
Lo sviluppo di una dottrina strategica coinvolge in Iran una quantità di accademie e centri di ricerca pari solo a Cina e Russia. Ciò rende pressoché impossibile, per i nemici della Repubblica persiana, una esatta comprensione analitica dello stato effettivo delle cose. La forza strategica persiana è dunque rappresentata dalla sua imprevedibilità e flessibilità. Ciò non va confuso con un pragmatismo o un realismo di bassa specie. E’ invece l’attuazione di quel principio dottrinario definito da Imam Khomeini “flessibilità eroica”, cardine dello Stato iraniano, nel suo Testamento.

Un pensiero su “LA DOTTRINA STRATEGICA PERSIANA di F.S.”

  1. Anonimo dice:

    Un pezzo eccezionale, come gli altri due, complimenti all'autore. Francesco Vicenza

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